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10 luglio 2013

L’esplosione di Beirut e il jihad di Hezbollah in Siria
di Lorenzo Trombetta

L’esplosione di un’autobomba con oltre 40 chilogrammi di esplosivo ha terrorizzato ieri, alla vigilia dell’inizio del mese islamico di Ramadan, la vita di un quartiere della periferia sud di Beirut, roccaforte del movimento Hezbollah, principale rappresentante della comunità sciita libanese e alleato del regime siriano di Bashar al Asad e dell’Iran.

Hezbollah non ha ufficialmente risposto se non tramite un suo parlamentare, Ali Mikdad, che ha puntato il dito contro “agenti che cercano di creare divisioni in Libano”. Il leader del movimento sciita il sayyid Hasan Nasrallah aveva di recente affermato che, mentre i suoi miliziani combattono in Siria a fianco delle forze del presidente al Asad, Hezbollah in Libano deve mantenere la calma e non deve rispondere alle provocazioni.

Il bilancio dell’attentato di Bir al Abed non è stato particolarmente pesante: 12 persone ferite sono state ricoverate in ospedale, mentre altre 41 sono state medicate sul posto. Fortunatamente, nessuno è stato ucciso. Il presidente del parlamento Nabih Berri, leader del movimento sciita Amal e uomo di Damasco, ha per questo parlato di “miracolo divino”.

L’esplosione è avvenuta in un parcheggio gestito da un imprenditore vicino a Hezbollah in un rione densamente popolato e con numerosi negozi, in parte distrutto nei raid israeliani di 7 anni fa e poi ricostruito da società del movimento sciita, che controlla in modo capillare tutta l’area.

Non è un caso che i giornalisti libanesi e stranieri non abbiano potuto svolgere il loro lavoro quando hanno provato ad avvicinarsi al luogo dell’esplosione. Gli uomini del movimento sciita, che non hanno evidentemente notato nessuna auto sospetta in sosta nel parcheggio controllato, sono però immediatamente accorsi a formare un “cordone di sicurezza” attorno al luogo dell’esplosione.

Questo mentre decine di sostenitori di Hezbollah scendevano in strada, segnando un record nei tempi di mobilitazione spontanea secondo solo a quello più volte registrato dai seguaci del presidente Asad in occasione dei numerosi “attentati terroristici” compiuti in Siria negli ultimi 2 anni. Indignati, i manifestanti di Bir al Abed hanno esposto fotografie di Nasrallah e hanno apertamente accusato “i terroristi takfiri” (estremisti sunniti).

Al Manar, la tv di Hezbollah, è stata l’unico media a poter visitare da vicino l’area, protetta anche dai militari libanesi. Fotografi dell’agenzia Reuters hanno affermato di aver visto uomini di Hezbollah fermare 2 sospetti. Ma su questo non ha detto una parola il ministro dell’Interno, Marwan Sharbil, che si è recato sul posto e ha parlato del tentativo di “seminare la divisione tra sunniti e sciiti”.

L’azione,da più parti attribuita a gruppi vicini all’estremismo sunnita, è stata rivendicata dalla sedicente brigata 313 dei ribelli siriani; al momento l’autenticità della rivendicazione non è verificabile. Il coinvolgimento del movimento sciita nella guerra siriana contro il variegato fronte dei ribelli – espressione delle comunità siriane sunnite – è secondo molti il movente più logico per spiegare l’autobomba di Bir al Abed.

A maggio scorso, due razzi erano esplosi in un altro parcheggio in una zona ai margini della periferia sud di Beirut. Nessuno rimase ferito né tantomeno ucciso e anche quella volta, come nel caso di Bir al Abed, gli attentatori o non erano stati abbastanza precisi o non avevano voluto causare un bagno di sangue. Anche su quell’attacco, le autorità libanesi non hanno mai fatto chiarezza. E nemmeno Hezbollah.

L’esplosione di Bir al Abed è dunque un avvertimento? Su questo non hanno dubbi gli abitanti del quartiere: “I takfiri vogliono impedirci di compiere il nostro sacro jihad a fianco dei fratelli siriani. Ma non ci fermeranno, nemmeno con mille esplosioni”, ha affermato Hajje Alia, donna di 35 anni, intervistata da Reuters. Il sacro jihad è, nella retorica di Hezbollah, l’intervento militare in Siria.

Il movimento sciita non ha interesse a trascinare in casa propria schegge della guerra combattuta a piene mani oltre l’Antilibano. Difficilmente avrà quindi successo un eventuale tentativo di provocare una reazione della milizia filo-iraniana. Di certo, se nella piazza sciita della periferia sud fino a ieri qualcuno esprimeva dissenso per il crescente impegno di Hezbollah nel conflitto siriano, da oggi sarà più difficile mettere in dubbio, anche solo sussurrando, la retorica del jihad “a fianco dei fratelli siriani”.

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