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Agosto 30, 2013

Da Nobel per la Pace a guerriero infelice

Per oltre sei mesi, Obama «è stato a guardare le azioni brutali di Assad, senza intraprendere alcuna azione». Il settimanale progressista, vicino al presidente democratico, ricorda i suoi errori in politica estera

Barack Obama? È un «guerriero infelice», secondo Time, settimanale statunitense progressista. «Obama corse alla presidenza per portare gli Stati Uniti fuori dalle guerre, non dentro», come invece accadrebbe nuovamente se approvasse un intervento militare in Siria. Obama è il presidente «che ha dato la caccia ai terroristi nelle grotte e nei deserti, affibbiando un duro colpo ai talebani in Afghanistan», ma allo stesso tempo, prosegue Time, è anche «colui che si era presentato come un conciliatore, un operatore di pace, tanto da ricevere il Premio Nobel ancora prima di varcare la soglia dell’Ufficio Ovale».

FALLIMENTO DELL’UTOPIA. «La sua opposizione all’invasione dell’Iraq», definita dallo stesso Obama, “guerra stupida”, «ha lanciato la sua prima corsa presidenziale del senatore», ricorda il Time: «Arrivò alla Casa Bianca con la chiara visione di un’America più umile strettamente focalizzata sugli interessi nazionali, come la cura delle ferite economiche e sociali». Ma le sue parole «nei discorsi a Washington, a Praga, al Cairo», che parlavano di «speranza» e di un «ordine mondiale trasformato», sono rimaste senza conseguenze. Aveva parlato di un mondo nuovo, «di avviare un dialogo di “rispetto reciproco” con l’Iran, e con altri rivali, ai quali promise “vi tenderemo la mano se sarete pronti ad aprire il vostro pugno”». Aveva detto che la «visione “neocon” sarebbe andata in pensione, che c’era una «speranza di cambiamento su scala globale». «Ma la storia – osserva il Time -, non era interessata».

POLITICA ESTERA. «La crisi in Siria non è stata l’unica prova dei limiti della strategia di politica estera di Obama», osserva il settimanale americano. «La percezione della sua performance in politica estera è bassa, sotto il 40 per cento», a causa dell’eccesso di «cautela» e dei «passi falsi» che hanno contraddistinto i due mandati presidenziali.
«L’Iran si sta muovendo in avanti con il suo programma nucleare in barba agli avvertimenti di ritorsioni militari di Obama e «Al Qaeda, nel frattempo, è viva e vegeta in posti come lo Yemen e il Nord Africa, anche se Osama bin Laden non lo è più». Per non parlare della «caduta relativamente rapida di Gheddafi» che «aveva fatto inizialmente apparire l’intervento in Libia un successo», osserva il Time.
Da una parte, il presidente americano sosteneva di aver «”dimostrato quello che l’azione collettiva può ottenere nel ventunesimo secolo”», dall’altra si è guardato bene dal «cercare di ricostruire un’altra nazione araba». Obama «ha investito poco nella Libia post-Gheddafi», ammonisce il settimanale progressista, e così facendo «le milizie terroristiche e il radicalismo sono esplosi», arrivando a  uccidere, nell’attacco di Bengasi, l’ambasciatore Chris Stevens e altri tre americani.

È RESTATO A GUARDARE. Per oltre sei mesi, Obama «è stato a guardare le azioni brutali del regime del presidente siriano Bashar Assad», «senza intraprendere alcuna azione», ricorda la rivista. Soltanto ora agisce, dopo che attraverso un attacco chimico è stato celebrato «il primo anniversario dei suoi avvertimenti sull’uso di armi chimiche da parte del regime siriano», la famosa «”linea rossa” che, se attraversata, avrebbe “conseguenze enormi”». E già all’inizio della rivoluzione, Obama aveva compiuto un passo falso, ricorda il settimanale, aspettando «fino ad agosto del 2011 prima di dichiarare che fosse “giunto il momento per il presidente Assad a farsi da parte”.  Assad ignorò il consiglio, restando in carica «senza conseguenze». «”Non ha recepito il messaggio”, disse Obama ai giornalisti un anno dopo». Ma «più probabilmente – suggerisce il Time – Assad non ritenne di ascoltarlo».

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