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1 Dic 2013

Paolo tra mafiosi, qaedisti e loro insospettabili alleati

Più di quattro mesi fa scompariva nel nord della Siria Padre Paolo Dall’Oglio, gesuita romano fondatore della comunità monastica di Mar Musa a nord di Damasco e da oltre trent’anni impegnato nel suo Paese d’adozione a promuovere, tra l’altro, il dialogo islamo-cristiano.

Da più parti si è affermato che Padre Paolo è stato rapito il 29 luglio 2013 da un gruppo di sedicenti qaedisti che si presentano come membri dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil).

Padre Paolo era stato di fatto espulso dal regime del presidente Bashar al Asad nel giugno 2012, dopo che in una sua ormai celebre Lettera aperta a Kofi Annan, allora inviato speciale Onu per la Siria, aveva chiesto esplicitamente l’arrivo nel Paese di decine di migliaia di esponenti non violenti della società civile, l’ingresso e la libera circolazione per giornalisti locali e stranieri e la protezione delle comunità locali da parte di caschi blu.

Da prima del 2011 Padre Paolo era diventato un personaggio non gradito al regime, che in quell’inizio d’estate del 2012 considerò colma la misura: quella sua lettera aperta ed esplicita sosteneva – dall’interno della Siria! – il piano Onu: questo avrebbe di fatto consentito a milioni di siriani di scendere in strada a manifestare pacificamente senza il timore di essere uccisi e sotto i riflettori della stampa internazionale.

A distanza di un anno e mezzo dalla pubblicazione di quella lettera e dall’espulsione di Padre Paolo, suonano ancora attualissimi molti dei passaggi del suo testo, scritto a Mar Musa, nel cuore del Qalamun orientale, ormai da settimane in quest’autunno 2013 investito dalle battaglie in corso.

In particolare, Padre Paolo scriveva:

(…) Signor Annan, lei sa meglio di chiunque altro che il terrorismo internazionale islamista è uno dei mille rivoli dell’«illegalità-opacità» globale (mercato di droga, armi, organi, individui umani, finanza, materie prime …).

La palude interconnessa dei diversi «servizi segreti» è contigua alla galassia della malavita anche caratterizzata ideologicamente e/o religiosamente.

Meraviglia che pochissimi giorni siano bastati ad altissimi rappresentanti dell’Onu per accettare la tesi della matrice «qaedista» degli attentati «suicidi» in Siria [i primi "attentati suicidi" attribuiti ad al Qaida risalgono al dicembre 2011/gennaio 2012, n.d.r].

Una volta accettata mondialmente la tesi liberticida che in loco c’è solo un problema d’ordine pubblico, non rimane che aspettarsi il ritiro dei suoi caschi blu disarmati per lasciare alla repressione tutto lo spazio necessario a conseguire il «male minore».

Che la potenza nucleare e confessionale israeliana abbia interesse in una guerra civile a bassa intensità e lunga durata è solo un corollario al teorema. Si aggiunga che «gli arabi» non sono culturalmente maturi per la democrazia «reale» e il gioco è fatto!

Resta in alternativa l’opzione della frantumazione su base confessionale del Paese, magari ritagliando ai caschi blu un ruolo anti strage per evitare disdicevoli eccessi bosniaci. (…)

Le sue affermazioni sono di una semplicità disarmante. E, al tempo stesso, denunciano le tragiche semplificazioni di questi giorni.

Il “terrorismo internazionale islamista” – e non l’etichetta “al-Qaida” dietro cui, ormai si nascondono un po’ tutti – è solo uno “dei mille rivoli dell’«illegalità-opacità»  globale”, nella quale rimestano in tanti.

In questa palude sguazzano vari attori, anche i servizi segreti di tutte le potenze regionali e internazionali coinvolte nella partita siriana. I servizi non sono un oggetto monolitico le cui sigle possono essere messe in pagina come in un romanzo sulla Guerra Fredda.

Si tratta di una realtà “interconnessa”, che agisce nella macroscopica bolla della “malavita”. E’ in un quadro come questo che dobbiamo pensare ad “al-Qaida in Siria” e ai sospetti, ormai sempre più fondati, di infiltrazioni da parte del regime di Asad e di tutti gli altri attori che non hanno alcun interesse a vedere cadere il raìs di Damasco.

L’attualità del messaggio di Padre Paolo, espresso così lucidamente nella sua lettera a Kofi Annan del maggio 2012, è dunque un altro dei motivi per cui desideriamo ardentemente la sua liberazione. Non possiamo fare a meno delle sue riflessioni. Nell’attesa del suo ritorno, teniamo esposto il fiocco rosso.

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