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Lunedì 26 Agosto 2013 

Davanti al rullo dei tamburi di guerra sorgono alcune domande

Se le considerazioni umanitarie sono così importanti, non erano sufficienti i centomila morti della guerra precedenti all’attacco chimico per impegnarsi seriamente e a fondo sulla via diplomatica? E ammesso e non concesso che le situazioni siano paragonabili, l’intervento in Kosovo del 1999 è davvero un esempio positivo da seguire? Non va dimenticato che le cifre delle stragi erano state gonfiate ad arte per provocare l’intervento, che l’Uck era una formazione ben più estremista di quanto si credesse e che sono occorsi anni per dare una sistemazione appena soddisfacente ad un territorio ben più piccolo e molto meno cruciale dal punto di vista geopolitico di quanto lo sia la Siria.

Obama ha chiarito più volte che se anche ci sarà un intervento, questo non implicherà l’uso di truppe a terra. E chi gestirà poi la fase post-conflittuale? 

La Siria è al centro dello scontro fra sciiti e sunniti in Medio Oriente e l’intervento non risolverà i problemi etnici, tribali, religiosi del Paese (o della regione). 

Purtroppo, come più volte abbiamo notato, la capacità diplomatica su cui gli Stati Uniti e l’Occidente hanno costruito i loro maggiori successi in politica estera sembra in qualche modo perduta. Negli ultimi decenni si tende a ricorrere sempre più all’uso della forza per risolvere le crisi, con un’efficacia peraltro molto scarsa. L’Iran e in questa fase soprattutto la Russia avrebbero un ruolo cruciale per tentare di forzare la mano ad Assad con metodi diplomatici, ma i rapporti fra Russia e Stati Uniti sono molto tesi, mentre l’Ue è muta come al solito. 

Papa Francesco invece si è pronunciato, con parole forti e vere sia dal punto di vista etico che politico. Se solo venissero ascoltate.

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