La Mossa del Cavallo = Empatia

http://www.huffingtonpost.it
31/08/2013

La mossa del cavallo di Obama. Una nuova fase nella sua leadership e nel rapporto tra Usa e resto del mondo
di Lucia Annunziata

"Non sono stato eletto per evitare decisioni difficili". È questa frase probabilmente la chiave per capire cosa passa nella testa di un uomo decisivo oggi per gli equilibri del mondo, quel Presidente Obama che ha annunciato di aver deciso l'attacco in Siria. Definendo così forse una nuova fase della sua leadership, sfidando l'isolamento in cui nei giorni scorsi è stato lasciato dai suoi alleati occidentali.

Un isolamento che - anticipiamo - ha rotto, facendo un discorso di guerra in cui ha rovesciato la sua solitudine in un esercizio di leadership, elevando le ragioni della sua decisione dall'intervento specifico su Damasco a una questione di principio più ampia: la sopravvivenza stessa dell'assetto legislativo mondiale.

Un brevissimo discorso (e ancora una volta va segnalato il rapporto inversamente proporzionale nel mondo politico anglosassone fra Potenza e Lunghezza della comunicazione) con la definizione di tre questioni.

La prima, quella del principio sotteso all'intervento. C'è certo una questione umanitaria, ha detto ricordando i morti e i bambini uccisi dal gas, ma al di là della difesa delle vite di innocenti, l'uso del gas pone domande più ampie, rinvia a scenari ben più catastrofici: "Qual è lo scopo del sistema internazionale che abbiamo costruito se il bando dell'uso delle armi chimiche firmato dal 98% delle nazioni del mondo poi non viene fatto rispettare? Non fatevi illusioni: questo atto ha implicazioni più grandi. Se non imponiamo il rispetto degli accordi di fronte ad atti cosi' odiosi, cosa si penserà della nostra volontà e capacità di confrontare tutti coloro che rompono le regole internazionali? Ad esempio governi che scelgono di costruire armi nucleari? Terroristi che intendono usare armi biologiche? Eserciti che commettono genocidi?". È chiaro in questo discorso l'accenno all'Iran, ad Al qaeda. L'esistenza di una minaccia all'Occidente che va ben oltre la Siria è un richiamo cui è difficile per le nazioni occidentali non rispondere .

In questo senso è importante che la seconda questione aperta da Obama sia stato proprio un severo rimprovero delle debolezze dei suoi alleati. L'arma retorica di questo rimprovero è, come si diceva, il ribaltamento della solitudine degli Stati Uniti in manifestazione di leadership. Sull'Onu in particolare Obama è stato molto duro: "Ho fiducia nelle prove che abbiamo senza dover aspettare I risultati degli ispettori Onu. E sono perfettamente a mio agio nel procedere senza l'approvazione del Consiglio

di Sicurezza delle Nazioni Unite che fin qui è stato completamente paralizzato". Da anni non si sentivano in bocca di un presidente democratico critiche così pesanti - quelli repubblicani non hanno invece mai nascosto le loro impazienze nei confronti del Palazzo di Vetro. E in quella che appare come una aggiunta a braccio al discorso ufficiale (dove non ce n'è traccia) ha anche rivelato che molte nazioni che gli hanno detto no, "in privato ci hanno detto di procedere".

La terza questione sollevata dal Presidente è quella della leadership vera e propria: la sua personale e quella degli Stati Uniti. La scelta di chiedere al Congresso di approvare (o meno) la sua decisione siriana, è stata fatta in quanto "Presidente della più antica democrazia costituzionale del mondo. Ho sempre creduto che il nostro potere è basato non solo sulla nostra forza militare, ma sull'esempio di un governo del popolo, fatto dal popolo, per il popolo." Interessante che per sottolineare questa sua convinzione abbia anche fatto una seconda rivelazione, un piccolo gossip: "Come conseguenza del voto in Inghilterra, molti mi hanno consigliato di non portare la discussione in Congresso", ma " tutto ciò è troppo importante perché venga trattato come un affare corrente".

Infine Obama ha affrontato la domanda che gli viene ripetuta da molte parti: non era stato nominato per finire le guerre dell'era Bush? "So che siete stanchi della guerra" ha detto rivolgendosi direttamente ai cittadini, "ma tutti sappiamo che non ci sono facili vie d'uscita. E io non sono stato eletto per evitare decisioni difficili". È questa la frase di cui parlavamo all'inizio.

L'intervento è dunque una classica mossa del cavallo che mostra, al di là dell'essere o meno d'accordo con la sua decisione, che il Presidente democratico ha ancora capacità e voglia di essere un leader e di difendere il ruolo degli Stati Uniti.

Da questo discorso in poi, tuttavia, ci sono infinte incognite.

La prima e' quella del congresso: voterà a favore della posizione presidenziale, visto che negli Stati Uniti il consenso a questo intervento militare è bassissimo?

La seconda è quella delle prove. Obama dice di aver fiducia nel dossier del suo governo, ma dove sono le sue prove, e sono davvero convincenti? Il passaggio e' essenziale.

La terza ha a che fare con l'intervento in sé. La Siria è l'alveare di tutti in conflitti del medioriente, il vaso di Pandora (come spesso viene chiamato) in cui si ritrovano tutte le lacerazioni della regioni. Assad è difeso da Iran e da Hezbollah in Libano. È attaccato dalle monarchie Sunnite del Golfo, che hanno buona responsabilità anche nel chiudere gli occhi su un forte filone quaedista nelle file di coloro che si ribellano a Damasco. La Siria, infine, è confinante con Israele, con cui da anni va avanti una Guerra a bassissima intensità.

Toccare questo alveare, sia pur con solo un piccolo fuoco, un bombardamento limitato nel tempo e nei modi, come Obama promette, può facilmente tramutarsi nella esplosione dello scontro in mille pezzi, un contagio del conflitto di un'area più vasta , inclusa la nostra, sotto forma di terrorismo.

L'obiezione (fatta anche da alcuni ambienti militari americani) a questo intervento Usa ha a che fare con la sua efficacia, con il rapporto fra risposta alle atrocità e pericolo di una accelerazione delle dimensioni stesse della guerra.

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