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15 Marzo 2013

Siria due anni dopo – Quelle scritte sul muro

Il 15 marzo è la data convenzionale. Quel giorno in realtà ci fu una manifestazione nella città vecchia di Damasco. A febbraio c’era stata la sollevazione dei commercianti di Hariqa, sempre nel centro di Damasco. Mentre le prime proteste di Daraa sono del 18 marzo. Ma l’arresto dei ragazzini di Daraa risale alla fine di febbraio.

Una scritta sul muro per invocare la caduta del regime: tutto è cominciato così, nel sud della Siria, il 15 marzo di due anni fa. Una decina di ragazzini di una scuola di Daraa copiarono sulle pareti della scuola lo slogan della rivolte arabe. Finirono in carcere e a casa alcuni di loro non sono mai più tornati. Così come non torneranno più gli oltre 70.000 uccisi (fonte Onu) in questi due anni di proteste, sanguinosa repressione e conseguente rivolta armata di una parte consistente della Siria sunnita.

“Guerra civile”, “complotto straniero”, “rivoluzione per la libertà”: sono solo alcune delle definizioni che gli attori coinvolti e gli analisti di diverse scuole adottano per descrivere la tragedia del Paese al centro degli equilibri mediorentali e a sole tre ore di volo dall’Italia. Impossibile fornire cifre esatte, ma in tutta la Siria si contano circa 200.000 persone scomparse, chi nelle carceri del regime, chi rapito dalle bande armate, chi seppellito in fosse comuni dimenticate.

Secondo le Nazioni Unite, tra sfollati interni (almeno tre milioni e 600mila) e rifugiati nei Paesi confinanti (un milione e 300mila) e in Nordafrica, sono circa cinque milioni i siriani colpiti: poco meno di un quarto della popolazione totale. E sono circa due milioni i minori che sono stati vittime dirette o indirette di violenza.

Tra l’estate e l’autunno 2011, con l’aumentare delle diserzioni tra le file dell’esercito governativo, la rivolta si è armata. E di fronte all’immobilismo occidentale, col passare dei mesi gli attori che hanno cominciato a sostenere con armi e danaro la resistenza agli Assad sono stati i Paesi arabi del Golfo, che hanno preferito gli estremisti islamici ai manifestanti laici.

Al maggio 2012 risale il primo sanguinoso attentato terroristico che ha preso di mira i civili. Damasco, che sin dall’inizio ha puntato il dito contro bande armate di mercenari venuti dall’estero, ha da allora intensificato la repressione, mentre all’Esercito libero dei disertori si sono unite schiere di civili delle regioni colpite.

E dall’estate scorsa i bilanci giornalieri di morte superano quasi sempre i cento uccisi. Le opposizioni in esilio continuano a esser divise e quelle tradizionali in patria hanno uno scarso seguito nella rivolta. La diplomazia si è arresa più volte di fronte all’assenza di un accordo internazionale per far cessare quella che per molti è ormai “una guerra mondiale” combattuta sulla pelle di un intero popolo.

 

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