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12 Maggio 2013

Siria, I sei giorni che non hanno sconvolto nessuno
di Eva Ziedan

Sei giorni strani, non perché siano stati più cruenti di altri giorni, molte cose, anche più gravi, sono accadute durante i due anni di rivolta in Siria. Ma forse l’ordine di questi recenti avvenimenti dà una diversa sensazione.

Questi sei giorni cominciano con i fatti di Sanamein, una cittadina sunnita nella zona di Daraa, nel sud del Paese.

Da Sanamein provengono molte canzoni popolari note in tutta la Siria. È un villaggio semplice, un villaggio di contadini che cantano queste canzoni tradizionali come: “Dalla città di Jasem alla città di Sanamein, non piango più per il mio amore dagli occhi neri”.

L’11 aprirle più di 60 persone sono state uccise, tanti di loro sono stati massacrati a coltellate, le case sono state bruciate e 200 persone sono state arrestate. Il motivo? Dei soldati e un generale originari di Sanamein, hanno lasciato l’esercito di Asad e si sono rifiutati di uccidere le loro famiglie. E per questo gli occhi neri degli abitanti di Sanamein hanno pagato.

Dalla zona meridionale dell’Hawran, il secondo di questi sei giorni ci porta al centro della Siria, nella città di Salamiyyeh.

In questa città non c’è stato alcun massacro, perché si tratta di una città a minoranza sciita (sono ismailiti) e se il regime compisse qui un massacro verrebbe meno il teorema degli Asad difensori delle minoranze religiose. Per questo motivo a Salamiyyeh il regime si limita ad arrestare e spaventare la gente. Il 21 aprile fuori dalla città è avvenuto uno scontro tra l’esercito di Asad e l’Esercito libero (Esl) in cui sono morti quattro soldati dell’esercito regolare e uno dell’Esl.

I servizi di sicurezza del regime presenti nella città, come monito per la popolazione, hanno tagliato la testa al soldato dell’Esl e l’hanno messa in bella mostra di fronte all’ospedale della città. Questo ospedale si trova al centro di Salamiyyeh, davanti a tre scuole: tutti, bambini e adulti che sono passati di lì, hanno visto la testa mozzata esposta.

Il giorno successivo, il 22 aprile, la gente del quartiere di Jdaidet al Fadel a Damasco stava scavando le fosse per seppellire le 479 persone uccise nei cinque giorni precedenti. Su Facebook la gente ha chiesto scusa per non avere messo online quanto accedeva giorno per giorno, ma non c’era la connessione Internet. Ha chiesto scusa anche per non aver prestato soccorso ad alcuni feriti, ma i cecchini del regime sparavano a chi usciva di casa e quindi molti sono morti in strada urlando e chiedendo aiuto.

Il 24 aprile è crollato il minareto della Grande Moschea omayyade di Aleppo. I combattenti si sono accusati a vicenda. Da più di mille anni questo minareto svettava sulla città e ne era uno dei simboli. Sono passati i crociati, i mongoli, gli ottomani e i francesi e il minareto non era mai stato danneggiato. In questi sei giorni anche Aleppo ha pagato il suo tributo.

Il 2 maggio anche la città di Deir ez Zor ha risposto all’appello, sacrificando la cosa più bella che aveva: il ponte della città costruito dai francesi è crollato e ora dorme sul letto dell’Eufrate, dopo essere stato bombardato dall’esercito regolare.

Il mostro assetato di sangue si agitava, mancava ancora la costa. Immediatamente, nello stesso giorno, il 2 maggio, la città di Baniyas e i villaggi di Bayda e Ras al Nabaa nella provincia di Tortosa sono stati teatro di un terribile massacro: più di 100 persone sono state uccise, ma stavolta in modo diverso. Non ho avuto il coraggio di guardare i video, ma so che alcune persone – tra cui donne e bambini – sono state bruciate, altre violentate e poi uccise, gli altri sono stati ammazzati a coltellate. Tutti gli uccisi sono sunniti. In questi villaggi che si trovano in una zona del Paese a maggioranza alawita, la popolazione sunnita sostiene e alimenta la rivolta e per questo motivo è presa di mira dalle truppe fedeli al regime.

Nonostante Bayda sia un piccolo villaggio, è ben noto sin dall’inizio della rivoluzione siriana, perché in principio l’esercito di Asad lo attaccò e torturò i suoi abitanti. All’epoca dei fatti, fu pubblicato online un video dell’accaduto, ma i media siriani si affrettarono a dire che il video era un falso girato in Afghanistan. Un ragazzo di Bayda, Ahmad Bayasi, confutò la versione ufficiale, sostenendo che il video era stato fatto nella sua città. Ahmad è stato arrestato e non vi è più alcuna notizia di lui.

Al contrario in questo secondo massacro di al Bayda il regime ha voluto far vedere a tutti cosa aveva fatto. E sempre per lo stesso motivo: instillare tra i siriani di confessioni diverse un odio che non vedrà mai fine .

Nella zona di Tortosa, forse proprio vicino ad al Bayda, un fedelissimo di Asad ha scritto sulla sua pagina pro-regime: “Spero che l’esercito uccida i piccoli prima dei grandi a Bayda, così non troveremo i loro figli davanti ai nostri figli in futuro”.

Il sesto giorno, Israele ha bombardato una base militare siriana sul monte Qasiyun a Damasco. E il regime ha risposto, ma attaccando il campo palestinese di Yarmuk.

Eppure ci sono ancora i “combattenti contro Israele” che difendo il regime “baluardo dell’anti-sionismo”. Ora a Qusayr ci sono i miliziani di Hezbollah che hanno lasciato la “difesa” del confine tra Libano e Israele per uccidere i siriani nella propria terra. Qusayr è la città che ha ospitato i profughi libanesi dopo la guerra del 2006 e gli abitanti di Qusayr hanno ospitato tutti, sciiti inclusi, senza domandare la loro comunità di appartenenza.

In questi sei giorni, prove dell’uso di armi chimiche sono arrivate da Jobar e Duma a Damasco, da Khan al Asal e Sheikh Maqsud ad Aleppo. Si tratta di quantità limitate e di un uso saltuario (rispetto a Halabja, la città curda dove Saddam Hussein uccise circa 5.000 persone) e così l’America riesce a fare finta che la linea rossa non sia ancora stata valicata.

Qualcosa di molto grave sta accadendo in questo Paese. Un regime ci sta portando a dire che una città è “sunnita” e l’altra è “alawita” e i suoi massacri a sfondo confessionale ci stanno portando a dire che gli alawiti uccidono i sunniti. Ma nel frattempo ‘Abdel Aziz Kheir, un noto attivista alawita, è ancora in carcere dopo quasi 10 mesi dall’arresto e non ci sono notizie di lui, non si sa nemmeno se sia vivo o morto.

È interessante guardare la terra mentre gira, fermarsi a riflettere su quanto sta succedendo. La Siria, il Paese che ha dato l’alfabeto al mondo, la Siria dove il dio Adone, il dio della primavera e della rinascita nei tempi antichi, è stato associato a San Giorgio presso i cristiani e al profeta Khader nell’Islam, ora sta perdendo la sua gente, le sue pietre e le sue diversità stanno diventando motivo di conflitti.

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