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10/05/2013

I bambini della Siria, una generazione rubata
di Anna Clementi

“Eravamo nella nostra casa di Hama quando hanno iniziato a bombardare. Due delle mie figlie che stavano guardando la televisione in salotto sono state ferite. E’ per questo che siamo scappati dalla Siria, per cercare un ospedale adeguato dove potessero essere curate”. La storia di Fatima*, una giovane donna conosciuta nel campo profughi di Za’atari in Giordania, è molto simile alla tragedia di tante altre madri, che in questi due anni di lungo conflitto, hanno assistito, curato e seppellito i loro figli.

Neonati, bambini, giovani studenti. Sono loro che stanno pagando il più alto prezzo della crisi siriana. Secondo il rapporto dell’UNICEF “I bambini della Siria: una generazione persa?”, pubblicato a marzo 2013, sono circa 2 milioni i bambini che hanno bisogno di assistenza all’interno della Siria e più di 1.2 milioni quelli che sono scappati verso la Giordania, il Libano e la Turchia alla ricerca di un rifugio. Sono gli attori silenziosi e dimenticati di questo conflitto, vittime di violenza, uccisioni, stupri, arresti, torture e detenzioni arbitrarie.

Le famiglie che han deciso di rimanere in Siria non hanno un accesso adeguato al sistema sanitario. Le condizioni igieniche in molte aree del paese sono disastrose e malattie come la diarrea, in mancanza di cure mediche di base, si sono rivelate mortali specialmente per i più piccoli. Anche i servizi educativi non vengono più garantiti in maniera regolare. Più di 2000 scuole sono state distrutte durante il conflitto e molti edifici scolastici sono diventati luoghi di rifugio per gli sfollati.

Nei campi profughi di Giordania e Turchia e negli accampamenti del Libano, le condizioni dei più piccoli rimangono precarie. Durante il mese di gennaio, con l’alluvione e l’ondata di gelo che ha colpito tutto il Medio Oriente, più della metà dei bambini si è ammalata a causa del freddo e della pioggia che filtrava attraverso le tende. E c’è grande preoccupazione per l’arrivo dell’estate, la siccità e il caldo secco e torrido.

La percentuale di abbandono scolastico è altissima. “I miei bambini da quando siamo arrivati nel campo hanno smesso di andare a scuola” racconta Mohammed*, un giovane padre di 4 figli, che ha trovato rifugio in Giordania. “Non capiamo dove siamo, siamo spaesati, senza punti di riferimento. Preferiamo stare tutti assieme qui, nella tenda”.

E anche chi ha continuato a frequentare la scuola, spesso ha molte difficoltà ad inserirsi in un nuovo contesto. Rana* vive nella città di Zarqa, nel nord della Giordania, da qualche mese ed è molto preoccupata per il fratello: “ho paura che mio fratello smetta di andare a scuola. E’ solo, viene preso in giro e non ha amici”.

Son gli effetti psicologici del conflitto e della violenza vissuta e subita a preoccupare di più. Si tratta di ferite che nemmeno il tempo potrà mai cicatrizzare, e ci saranno immagini che niente e nessuno riusciranno a cancellare dalla mente. “Mio figlio scappa perchè pensa che la macchina fotografica sia un fucile” racconta Hasna* mentre il piccolo Mahmoud*, 3 anni, si nasconde dietro una tenda urlando.

Il rapporto completo di UNICEF è disponibile in inglese

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