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31/05/2013

Munira: un’insegnante d’arte travolta dalla guerra

Munira ha poco meno di trent’anni. Prima della crisi abitava nel nord della Siria ed era professoressa in un istituto d’arte.

Insegnava il disegno, la scultura e la lavorazione dell’argilla a gruppi di giovani allievi tra 13 e 18 anni di età. Ogni anno organizzavano una mostra dei loro lavori in varie città del paese. Munira gestiva anche una serie di attività artistiche per persone portatrici di handicap. Infine nel suo tempo libero si dedicava alla pittura e alla fotografia.

Nella sua città all’inizio del 2012 ci sono stati dei violenti scontri tra i ribelli e l’esercito regolare. Le forze di sicurezza governative hanno passato al setaccio le case del suo quartiere alla ricerca di persone sospette. Munira racconta la perquisizione con una punta di ironia: “Sono venuti, hanno rovistato tra i materassi, le coperte, hanno guardato tutto… hanno frugato persino tra i materiali che utilizzo per i miei lavori. Ad esempio, io recupero delle fialette da iniezione usate, le riempio di lenticchie, di grano macinato, ci unisco della tela, ci faccio delle cose… insomma dei lavoretti manuali. Le hanno viste e ci hanno detto: «Avete un ospedale clandestino!? [per gli oppositori]» …mia madre gli ha spiegato perché le collezionavo e a cosa mi servivano. Per fortuna non hanno detto niente…”

In seguito Munira si è trasferita a Damasco. Suo marito partecipava alle manifestazioni contro il governo ed è diventato un ricercato. Per questo motivo nell’estate del 2012 hanno deciso di scappare in Giordania. Hanno attraversato la frontiera clandestinamente, di notte, a piedi. Le autorità giordane li hanno sistemati nel campo di transito “Re Abdullah”, nella città di Ramtha, proprio sul confine. La situazione era pessima. Ogni giorno arrivavano 500 nuove persone; c’era un grande tendone per gli uomini e un altro per le donne in cui tutti dormivano assieme; per andare in bagno bisognava fare mezz’ora di attesa. Per fortuna dopo una settimana hanno ottenuto il permesso di uscire dal campo e si sono trasferiti a Irbid, una grande città nel nord della Giordania.

Anche lì però non se la passavano bene. Hanno dovuto vendere i gioielli d’oro del suo matrimonio per pagarsi da vivere. In quanto siriana, Munira non è riuscita a farsi assumere in nessuna scuola locale. Suo marito ha trovato un lavoro da cameriere, ma guadagna soltanto 250 euro al mese. Hanno preso in affitto un piccolo alloggio indipendente, con un unico stanzone, un angolo cottura e un bagno minuscolo. L’umidità risale dal pavimento e penetra nelle ossa; le pareti sono scrostate e ammuffite. Ciò nonostante non possono permettersi un letto e dormono su un materasso appoggiato al suolo.

L’esilio in un paese straniero e le dure condizioni di vita hanno avuto un impatto sulla sua produzione artistica: “Mi sono portata dietro questa tela per dipingerla, ma onestamente mi sono bloccata… psicologicamente non mi sento serena. Sono venuta con questa tela da quattro mesi, e vorrei lavorarci su, ma non riesco a completarla…

In compenso Munira si dedica al disegno di caricature a sfondo politico. In una vignetta il presidente siriano Bashar al Asad e il leader iraniano Khameini brindano allegramente con il sangue della popolazione siriana. In un altro disegno un israeliano guarda alla televisione le immagini dei bombardamenti in Siria, e con gli occhi pieni di lacrime dice: “Se vi avessimo invaso noi, non sarebbe stato meglio di Bashar?”*

Nonostante tutto, Munira è convinta che lei e gli artisti in generale abbiano un ruolo positivo da giocare nella crisi attuale. Assieme a una collega, ha proposto a una scuola di organizzare una serie di corsi gratuiti per i bambini: lavori manuali, disegno, etc. Inoltre spera che in Siria, dopo la fine della guerra, vengano creati dei centri giovanili con attività artistiche e ricreative: “I bambini, a causa dell’esilio e dei bombardamenti, sono diventati psicologicamente più fragili. Persino noi adulti non riusciamo a sopportare questi eventi; immagina i bambini! Spero che si organizzino delle attività per dargli l’opportunità di raccontare, attraverso il disegno, ciò che gli è successo. In modo che si svuotino di tutto ciò che hanno dentro…”

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