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24/08/2013

Siria, qual è il limite invalicabile per un'azione di forza?

La barbarie e i crimini del regime di Assad in Siria, ultimo l'uso di armi chimiche sui sobborghi di Damasco, hanno innescato la richiesta da più fronti di una soluzione militare.

Ma qual è il limite invalicabile per scatenare un'azione di forza, che inevitabilmente coinvolgerebbe la popolazione civile, nei confronti di un paese ritenuto colpevole di aver oltrepassato la 'misura'?

La Francia, sostenuta dalla Turchia, fa sapere attraverso il ministro degli Esteri Laurent Fabius che se si accertasse l'utilizzo di gas nervino da parte dell'esercito siriano contro i ribelli, la comunità internazionale dovrebbe rispondere adeguatamente.

Fabius ha poi insistito affermando che, se il Consiglio di sicurezza dell'Onu non fosse in grado di prendere decisioni, si dovrebbe procedere "in altro modo".

Leggendo tra le righe il messaggio è chiaro: i francesi, di fronte ai veti incrociati che bloccherebbero una risoluzione unitaria, non si fermerebbero.

Pur essendo gran parte dell'opinione pubblica convinta che non si debba permettere l'impunità di Bashar al-Assad, i cui crimini sono intollerabili - io stessa ho avuto modo di testimoniarlo attraverso gli amici siriani che chiedono di divulgare notizie su quanto stia avvenendo in Siria - il dubbio che si creino i presupposti per un nuovo Iraq obbliga a una riflessione sui 'danni collaterali' terribili e inconfutabili che ne seguirebbero.

Riguardo il presunto attacco chimico Barack Obama si è espresso definendolo "un fatto enorme che desta l'allerta degli Stati Uniti" e il Pentagono ha fatto sapere di aver iniziato a definire le possibili opzioni militari per un attacco nell'ambito di un piano d'emergenza nel caso in cui il presidente americano decidesse di agire.

La decisione non è facile. Se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite autorizzasse una no-fly zone e il ricorso a "tutte le misure necessarie" - formula di rito che di fatto da il via libera ai bombardamenti - le conseguenze ricadrebbero non solo sui militari ma anche e soprattutto sui civili.

Ma come ha dimostrato il nulla di fatto della riunione al Palazzo di Vetro, convocata per discutere dell'invio di ispettori a Damasco ma anche di eventuali iniziative da intraprendere, un voto su una risoluzione che dia l'ok a un intervento è ancora lontano.

Fino a quando non si riuscirà a trovare un punto di incontro fra chi ritiene ancor oggi la Siria un paese sovrano, nonostante sia diviso e in preda a una gravissima guerra civile che ha già mietuto centinaia di migliaia di vittime, e coloro che propendono per un'azione di forza legittimata dall'Onu per fermare lo spargimento di sangue e porre fine alla crisi, passeranno giorni, settimane.

E questo è il male minore. Se è incontestabile che Assad sia responsabile di crimini contro l'umanità, con l'ampliarsi del conflitto interno - fino a diventare una vera e propria guerra con l'impiego di aerei da bombardamento - le vittime potrebbero essere di gran lunga superiori a quelle registrate finora.

Basti pensare che la Siria è uno dei paesi con il più vasto programma di proliferazione di armi chimiche, con centinaia di impianti per lo stoccaggio e la produzione, alcuni dei quali situati in zone densamente popolate.

Se dovesse scattare un attacco contro le forze di Assad nella confusione del cambio di regime, nella migliore delle ipotesi, gli armamenti siriani potrebbero cadere nelle mani di Hezbollah, Hamas, Al Qaeda o altri gruppi terroristici. Nella peggiore, se una bomba colpisse una zona di stoccaggio di gas nervino o di fosforo bianco il numero delle vittime sarebbe incalcolabile.

È per questo che l'intervento militare dovrebbe essere l'ultima delle opzioni possibili per la soluzione della crisi in Siria. Di qualsiasi crisi.

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