Originale: War Times
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5 gennaio 2014

L’orrore della guerra in Siria: la speranza di pace con l’Iran
di Rami El-amine
Traduzione di Maria Chiara Starace

La radicalizzazione e l’instabilità caratterizzano gran parte del globo mentre il 2013 giunge al termine. Proteste massicce, prolungate hanno fatto quasi cadere i governi della Thailandia e dell’Ucraina, conflitti settari e tentativi di colpi di stato sono costati la vita a oltre mille persone sia nella repubblica Centrafricana che nel Sudan meridionale e hanno fatto spostare centinaia di migliaia di persone nei paesi confinanti. Omaggi alla giustizia e alla pace hanno contrassegnato la morte del grande combattente per la libertà, Nelson Mandela, ma in pochi luoghi a quelle nobili parole pronunciate al suo funerale corrispondono dei fatti. E il Medio Oriente – specialmente la complessa guerra in Siria – continua a presentare una minaccia alla stabilità globale e a esporre le contraddizioni e le ipocrisie della politica estera statunitense.

La controrivoluzione in pieno svolgimento

Nel terzo anniversario della Rivoluzione tunisina che ha scatenato la Primavera Araba, lo stato delle rivoluzioni arabe è addirittura disastroso. La causa è l’ondata controrivoluzionaria capeggiata   dall’Arabia Saudita e appoggiata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.

In nessun luogo questo è più evidente che in Egitto dove, in luglio,  un colpo di stato dell’esercito ha riportato le cose al punto di partenza, ai giorni più oscuri del regime di Mubarak. Le forze armate hanno  introdotto una legge che essenzialmente proibisce le proteste e poi, a metà dicembre, ha etichettato la Fratellanza Musulmana come organizzazione terroristica. L’esercito aveva già ammazzato nelle strade centinaia di sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi; ora possono arrestarli, processarli e condannarli a morte.

in loro appoggio, lodando il piano di azione del governo per la democrazia e criticando Morsi e la Fratellanza Musulmana.

La situazione in Libia, dove si è data tanta importanza al riuscito intervento della NATO, è perfino peggiore. Non c’è neanche un governo funzionante per poter organizzare un colpo di stato contro di esso. Patrick Cockburn descrive la Libia come paese “stato di illegalità e in rovina.”

In Yemen l’arrestarsi della rivoluzione causata da un accordo appoggiato dall’Arabia Saudita, è stata aggravata dalla guerra di Washington con i droni, che ha ucciso circa 400 persone. Un mio amico e attivista yemenita, Rooj Alwazir,  la  ha sintetizzata in questo modo: “Il programma con i droni è stato legittimato e ampliato da un presidente che si suppone debba portare ‘cambiamenti’ e ‘giustizia’ al paese. Uccidere i civili e non ammettere queste morti sta rendendo possibile che le comunità siano solidali con Al Qaida e con altri gruppi militanti simili che stanno fornendo reti di appoggio e che si occupano delle necessità economiche delle persone.”

Nel Bahrein, dove l’esercito saudita è intervenuto direttamente a reprimere la rivoluzione, la situazione attuale viene descritta al meglio come intifada di basso livello. Il regime continua a usare una dura repressione per evitare un’altra insurrezione di massa.

La Tunisia, che era l’unico raggio di speranza, è stata offuscata questa estate da una serie di uccisioni di leader laici che alla fine ha costretto l’Ennahda, il partito islamista che domina il governo, ad accettare una forma di governo più tecnocratica. Dopo un lungo stallo, l’Ennahda è stato in grado di convincere gli altri partiti della coalizione di governo, ad accettare che il loro candidato, ex ministro dell’Industria, Mehdi Jomaa, avrebbe guidato un governo  responsabile della stesura di una nuova costituzione.

La tracimazione settaria dalla Siria minaccia la regione

E poi c’è la Siria, dove ciò che è iniziato come rivoluzione per liberarsi, è stata  sfruttata fino alla morte dal regime di Assad da una parte e dalla controrivoluzione saudita e del Qatar dall’altra. Il risultato sono 120.000 siriani uccisi  (con  numeri uguali di forze governative, ribelli e civili), e più di 2,5 milioni di profughi. Naturalmente sono le nazioni confinanti più povere, come il Libano e la Giordania, che hanno dovuto sostenere il peso maggiore della crisi dei profughi. Paesi più ricchi del Golfo Persico, gli Emirati arabi, e gli Stati Uniti hanno invece contribuito alla crisi umanitaria riversando armi in Siria, e sono stati criticati dalle organizzazioni per i diritti umani per non avere neppure accolto il piccolo numero di profughi che tali istituzioni hanno assegnato loro perchè venissero reinsediate.

Il problema è particolarmente tragico in Libano. Questo piccolo paese di quattro milioni di persone,   ha accolto oltre un milione di siriani che sono fuggiti dalla loro patria. Lo stato è così debole che non può fornire i servizi essenziali, come l’elettricità e l’acqua potabile.

E’ però il diffondersi della guerra tra sette che pone la maggior minaccia al Libano e alla regione nel suo insieme. Più di 7.000 persone, per la maggior parte civili sciiti, sono astati uccisi quest’anno negli attacchi in Iraq. Una serie  di attacchi analoghi con autobombe e attentatori suicidi  ha ucciso più di 150 persone, sempre per la maggior parte sciite, e ne ha ferite centinaia in Libano soltanto negli ultimi 6 mesi del 2013.

Las carneficina ha toccato un altro punto pericoloso il 27 dicembre quando un’autobomba ha preso di mira e ha ucciso l’ex ministro delle Finanze e leader sunnita Mohamad Chatah e altre cinque persone. Il Movimento Futuro, cioè il partito sunnita dominante in Libano a cui apparteneva Chatah, ha immediatamente incolpato Hezbollah dell’attacco, anche dopo che le risultanze iniziali sembravano far pensare altrimenti. I fatti, però, sono irrilevanti. Il punto è intensificare il sentimento anti-sciita per mobilitare la base sunnita, non soltanto contro Hezbollah, ma anche contro il regime siriano.

Sebbene minore rispetto ad altri bombardamenti in termini di vittime, la mia famiglia e gli amici in Libano temono che questa potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso, e restano in casa. Gli Sciiti finora si sono controllati, specialmente grazie alla disciplina di Hezbollah e al rifiuto per principio di usare la retorica anti sunnita del gruppo o di incoraggiare sentimenti settari. Però un altro attacco indiscriminato in zona sciita potrebbe far esplodere la gente.

Sfortunatamente, la probabilità di un altro attacco è molto alta. Un offensiva da parte del regime assistito da Hezbollah, ha protetto la superstrada strategica da Damasco a Homs, tagliando fuori i ribelli – che sono ora dominati da raggruppamenti settari – dalle importanti vie di rifornimento che arrivano dal Libano. Più terreno perdono questi Sunniti jihadisti, o più precisamente, takfiri, rispetto alle forze governative, (e ne stanno perdendo molto), più questi e i loro benefattori del Golfo contano sulla creazione del settarismo anti-sciita per continuare la lotta, compreso il prendere di mira i civili in Libano e in Iraq. Questo è reso naturalmente più facile dalla brutalità a cui ha fatto ricorso il regime siriano in luoghi come Aleppo dove il suo bombardamento aereo ha ucciso 500 persone, compresi 150 bambini, negli ultimi 15 giorni.

L’Arabia Saudita alleva un mostro di Frankenstein takfiri

Gran parte del fallimento dell’insurrezione siriana inizialmente promettente, per consolidarsi come alternativa non settaria e progressista ad Assad, è dovuta all’ingerenza saudita. Un colpevole  particolare è il principe Bandar bin Sultan, ambasciatore negli Stati Uniti per 30 anni, che sta guidando i tentativi del regno di rovesciare il regime di Assad. Dopo aver lavorato per estromettere il candidato rivale del Qatar alla guida della Coalizione nazionale per le forze rivoluzionarie siriane e di opposizione, nota anche come Coalizione Nazionale Siriana (SNC – Syrian National Coalition),

appoggiata dagli Stati Uniti e dall’Occidente, ed avere installato il loro candidato alla sua guida, i Sauditi sotto Bandar hanno ora abbandonato del tutto la SNC e il suo braccio militare, il Libero Esercito Siriano (FSA – Free Syrian Army). Hanno messo tutto il loro denaro per aiutare il Fronte Islamico.

Parte del motivo di questo sta nelle perdite del Libero esercito siriano sul campo di battaglia. E’, però, anche un modo per i Sauditi di fare marameo  all’amministrazione Obama per non essere riuscita a intervenire direttamente in Siria e per aver avuto colloqui sul nucleare con l’Iran. Un grosso elemento di trazione di questo è anche la gara per guadagnare quanto più terreno è possibile contro il regime prima dei colloqui di pace “Ginevra 2″  che sono stati stabiliti per il 22 gennaio 2014.

Il Fronte Islamico è una coalizione di sette gruppi islamisti di opposizione, formatosi in novembre  sotto gli auspici sauditi. Comprende Jaysh al Islam (Esercito dell’Islam), una delle forze ribelli più forti che in settembre, nella cui creazione l’Arabia Saudita aveva avuto una parte. Anche se il Fronte è destinato a fare da contrappeso ai gruppi collegati ad Al Qaida che operano in Siria, (il Fronte Al Nusra e l’ISIS – Stato islamico di Iraq e Siria), condivide il loro scopo di stabilire uno stato islamico (sunnita). I gruppi membri e i loro combattenti si sovrappongono e coordinano regolarmente gli attacchi insieme ai gruppi di Al Qaida, compresi gli attacchi contro il Libero esercito siriano. Uno dei gruppi membri, Ahrar al Sham, secondo l’ Osservatorio per i Diritti Umani, è stato implicato, insieme ai gruppi di Al Qaida nel massacro di 190 civili nella provincia di Latakia (Siria) in agosto.  E quindi, invece di emarginare i gruppi di Al Qaida, il Fronte Islamico in realtà li rafforzerà, indebolendo ulteriormente i SNC/FSA e fornendo reclute, armi e finanziamenti di cui beneficeranno i gruppi di Al Qaida.

La situazione in Siria sta cominciando a somigliare a quella in Afghanistan dopo l’invasione sovietica iniziata nel 1979, dove i Mujahadeen appoggiati da Stati Uniti, Arabia  Saudita e Pakistan hanno dato origine ad Al Qaida. Inviati e analisti hanno cominciato  a fare questo collegamento e ad avvertire che questa convergenza di takfiri  da tutte le parti del mondo, pone ora più minacce del regime di Assad. Non è una coincidenza che abbiano cominciato ad accorgersi di questo dopo il coro  contro l’intervento  di Stati Uniti e l’Unione Europea in Siria in autunno.

Ci è voluto un po’, ma ci sono ora alcuni preminenti funzionari che stanno cominciando considerare questo fatto. Il diplomatico Ryan Crocker, che è stato ambasciatore sia in Iraq che in Afghanistan, ha detto di recente: “Per quanto Assad sia cattivo, non è così cattivo come gli jihadisti  che prenderebbero il controllo in sua assenza.”

Le dinamiche della Siria rendono più probabile l’accordo con l’Iran?

La decisione dell’Amministrazione Obama di fare sul serio riguardo a un accordo nucleare con l’Iran, è dovuta  a molti fattori compresa una riluttanza di un impero logorato a rimanere bloccato  in un’altra guerra in Medio Oriente e al desiderio di  spostare risorse in Asia. Ma il modo in cui la Rivoluzione Araba e la controrivoluzione si sono svolte – specialmente la situazione  esplosiva in Siria – possono aggiungere un ulteriore incentivo per un accordo. I redattori della rivista on line  MERIP – Progetto di ricerca e di informazione per  il Medio Oriente- fanno notare che: “E’ penetrata sempre di più nella mente degli strateghi statunitensi l’dea che la controrivoluzione non può ripristinare lo status quo. Al contrario, o la rivoluzione ha provocato un’intifada periodica, come in Egitto e, in qualche misura, in Bahrein, oppure minaccia un collasso sociale come in Siria. L’agonia della Siria è particolarmente preoccupante da un punto di vista geopolitico, perché potrebbe finire con il ridiseganre i confini fissati dopo la I Guerra mondiale, o in un trasferimento permanente della popolazione, cosa che potrebbe scuotere le fondamenta dei regimi alleati degli Stati Uniti in Giordania e in Iraq.”

Il sito Forum per i Conflitti (Conflicts Forum) fa eco a questa valutazione: “E’ anche abbastanza evidente che gli alleati dell’America nella regione non sono in grado di assicurare gli interessi statunitensi: non possono né contenere l’Iran, né stabilizzare la Siria o la regione ( anzi, la stanno attivamente destabilizzando); e, ciò che più conta, non possono certamente occuparsi di dare vita a  cellule jihadiste. Gli Stati Uniti stanno disinvestendo in campo militare nella regione, per fare investimenti militari in Asia. L’America potrebbe desiderare di mantenere in gioco tutte le sue possibilità, ma è stressata dal punto di vista militare e finanziario e deve stabilire delle priorità. Obama è stato esplicito…questo significa che gli Stati Uniti ridurranno rigorosamente le priorità per le alle quali dedicare il loro impegno politico e militare. E l’umore pubblico americano non è più preparato al fatto che gli Stati Uniti siano irretiti  o da Israele o dall’Arabia Saudita in un’altra guerra medio-orientale, per i loro propositi ben definiti.”

Questi fattori si aggiungono a pressioni da parte della Russia, della Cina e di alcuni paesi dell’Unione Europea di arrivare a un accordo, ma Israele, l’AIPAC, l’Arabia Saudita, e i neoconservatori sono fermamente decisi ad opporsi a questo. I maggiori beneficiari di finanziamenti dall’AIPAC per la loro candidatura – i senatori Robert Menendez, Mark Kirk e Chuck Schumer, hanno introdotto un progetto di  legge con forte appoggio bipartisan il quale aumenterà ancora di più le sanzioni all’Iran, nella speranza di silurare l’accordo. Nella la speranza di  sbarrare la strada a  questo progetto, Obama sta cercando di placare Israele, imponendo altre restrizioni all’Iran e all’Arabia Saudita sostenendo un accordo di difesa “che di fatto stabilirebbe il regno come la superpotenza militare della regione.” I rischi di un  accordo con l’Iran non potrebbero essere più alti. Il primo è un attacco di Israele all’Iran, il secondo, più indiretto viene dal conflitto in Siria. L’Iran potrebbe avere un ruolo fondamentale nel fare pressioni sul regime siriano perché accetti qualche compromesso con l’opposizione, compreso quello di fare accettare ad Assad di non candidarsi nelle elezioni siriane del 2014. E’ essenziale che l’opposizione popolare all’intervento degli Stati Uniti in Siria dello scorso autunno, si mobiliti di nuovo per assicurare un accordo con l’Iran.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/horror-of-war-in-syria-hope-for-peace-with-iran-by-ram-el-amine

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