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21/07/2014

Stop armi ad Israele
di Giulio Marcon

Deputato indipendente di Sel. Fondatore campagna Sbilanciamoci

Nei giorni scorsi un centinaio di intellettuali e artisti (tra cui Ken Loach, Slavoj Zizek e Richard Falk), attivisti e di premi nobel per la pace (tra cui Desmont Tutu, Betty Williams, Jody Williams, Perese Esquivel) hanno promosso un appello (in Italia sottoscritto oltre che da me, anche da Ascanio Celestini e Luisa Morgantini) per chiedere l'embargo delle forniture di armi ad Israele. L'appello è stato pubblicato da The Guardian e lo si può trovare a questo link.

Il blocco della fornitura delle armi sarebbe previsto dalle normative di molti paesi, tra cui l'Italia (legge 185 del 1990): infatti non si possono vendere armi a paesi in guerra. E Israele in guerra lo è, nonostante il premier israeliano Netanyahu e il segretario di stato americano Kerry continuino a parlare di "autodifesa".

Le stragi (di bambini e civili di Gaza) di questi giorni non hanno niente a che vedere con "l'autodifesa": sono atti di guerra, disumani, che terrorizzano la popolazione civile. Non sono mirati, ma volutamente indiscriminati e violano i principi del diritto internazionale umanitario.

Questa guerra, Israele, la fa con armi comprate dagli Stati Uniti e da molti altri paesi tra cui l'Italia. Che ha appena rifornito Israele di due caccia M-346 (in totale saranno 30), prodotti dalla Alenia Aermacchi. Italia che, nel 2005, ha stipulato un accordo di cooperazione militare. A che serve questo accordo: per fare le stragi di civili e occupare la striscia di Gaza?

Ecco perché l'Italia deve al più presto revocare quell'accordo di cooperazione militare e bloccare immediatamente le forniture di armi ad Israele. E deve chiedere a Israele di fermare immediatamente la sua azione militare e stragista (ritirandosi dalla striscia di Gaza) come ad Hamas di interrompere ogni iniziativa bellica o terroristica.

Naturalmente la pace è cosa più complessa - soprattutto in Medio Oriente, tra israeliani e palestinesi - ma la prima cosa fare se si vuole essere credibili come attori impegnati per un negoziato possibile è non essere complici della guerra e della violazione dei diritti umani, soprattutto in una situazione così tremenda come quella di questi giorni a Gaza.

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