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4 ottobre 2014

Cosacchi a Banja Luka, Sarajevo in fibrillazione. Sono solo figuranti?
di Davide Denti

Centocinquanta “soldati delle forze speciali russe” sarebbero arrivati il 28 settembre a Banja Luka; ignote le ragioni, e non registrata la loro presenza dall’Ufficio per gli Stranieri del paese. Questa la notizia rilanciata nei giorni scorsi dai principali media di Sarajevo e dintorni, a partire dalla televisione della Federacija BiH (l’entità a maggioranza croata e musulmana del paese), e che ha mandato in fibrillazione per un paio di giorni il panorama politico e giornalistico del paese.

La presena dei russi fa forse parte di un piano di Milorad Dodik, il presidente della Republika Srpska (l’altra entità del paese) per dichiarare la secessione a seguito delle elezioni? O è una clausola degli accordi tra Dodik e Putin in base ai quali la Russia finanzierà direttamente per 76 milioni di euro il bilancio della Srpska? Con il proliferare di “omini verdi” tra Crimea e Donbass, nonostante la distanza tra Bosnia e Russia, la notizia poteva effettivamente dare adito a preoccupazioni.

La smentita: sono solo figuranti?

Ma i “cosacchi” arrivati a Banja Luka sarebbero solo dei figuranti: secondo il ministero degli interni della Srpska, si tratta “per lo più di membri di gruppi artistici provenienti dalla Federazione Russa che partecipano alle celebrazioni del 100° anniversario della Prima Guerra Mondiale, organizzate dal Ministero dell’Istruzione e della Cultura della Republika Srpska assieme alla Federazione Russa.” La rievocazione dovrebbe tenersi l’11 ottobre, alla vigilia delle elezioni.

Anche l’Ufficio per gli Stranieri ha confermato la registrazione di 120 cittadini russi, alloggiati in diversi alberghi di Laktaši, presso Banja Luka, e in regime di esenzione dai visti per un soggiorno massimo di 30 giorni. Ed effettivamente i “cosacchi” sono stati visti in giro per Banja Luka nei giorni scorsi nei loro costumi tradizionali, comprensivi di berretto nero di pecora.

Tutto chiaro, dunque? Non proprio. Perché, sempre secondo i media di Sarajevo, la troupe di cosacchi con a capo Nikolai Djakonov avrebbe partecipato attivamente alla preparazione delle manifestazioni filorusse in Crimea ad inizio anno, poco prima dell’annessione della regione ucraina alla Russia di Putin.

La presenza di volontari russi”, poi, richiama alla mente memorie tetre per una parte della popolazione bosniaca. “Cosacchi” russi hanno combattuto a fianco dei serbo-bosniaci durante il conflitto del 1992-95, partecipando ad eventi quali i massacri di civili bosniaco-musulmani a Višegrad. Uno di loro, noto con il nome di Igor Girkiv “Strelkov”, è divenuto quest’anno uno dei nomi di punta dei “separatisti” filorussi in Ucraina orientale. E anche Strelkov si diletta in rievocazioni folkloristiche (per non parlare del suo gusto per il gessato).

Nervosismi pre-elettorali

La questione dei cosacchi a Banja Luka testimonia del clima nervoso nel quale la Bosnia-Erzegovina si avvicina alle elezioni del 12 ottobre. Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, ha rinnovato le sue periodiche minacce di indire un referendum per la secessione dell’entità, se la Bosnia non tornerà allo spirito iniziale del trattato di Dayton tramite un “rimpatrio dei poteri” da Sarajevo a Banja Luka (una posizione non dissimile da quella di David Cameron verso l’UE).

Ma in pochi credono che le minacce di Dodik abbiano una reale rilevanza. Esse rappresentano piuttosto il tentativo di galvanizzare la base elettorale del suo partito SNSD, minacciato dalla concorrenza dell’altro partito serbo-bosniaco, SDS, e dalla coalizione delle minoranze Domovina. Inoltre, la Srpska di Dodik non può oggi contare sull’appoggio della Serbia di Vučić, già impegnata in un difficile gioco di sponda tra Mosca e Bruxelles ed interessata soprattutto ad accelerare la propria integrazione europea. Il 16 ottobre, Putin sarà a Belgrado per commemorare il 70° anniversario della liberazione di Belgrado da parte dell’Armata Rossa, ma secondo Bodo Weber e Kurt Basseuner del think tank DPC nei mesi scorsi Vučić avrebbe frenato Dodik da qualsiasi tentativo di colpo di mano secessionista in Srpska a seguito dell’annesione russa della Crimea.

Questioni come questa dei cosacchi a Banja Luka, o come l’erezione della croce di Zlatište (due tubi incrociati, a dire il vero) sulle colline da cui i serbo-bosniaci sparavano su Sarajevo, vengono piuttosto utili ai partiti nazionalisti delle tre parti (SNSD, SDA, HDZ) per rafforzare il voto etnico “difensivo nei confronti delle altre comunità, in un dilemma della sicurezza che nell’etnopoli bosniaca non ha ancora trovato soluzione. La competizione elettorale infatti è ristretta all’interno delle linee di ciascuna delle tre comunità etno-nazionali, mentre i partiti civici fanno fatica a penetrare l’elettorato. Una situazione che, secondo analisti quali Valery Perry, impedisce di aspettarsi dal voto di settimana prossima quel cambiamento di cui la Bosnia ha sempre più bisogno.

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