Proponiamo qui di seguito un'intervista realizzata questa mattina da un nostro redattore su Radio Blackout.

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Mercoledì 12 Febbraio 2014 09:21

Bosnia: una lotta operaia contro il modello Dayton

Quanto sta avvenendo in questi ultimi giorni in diversi centri della Bosnia-Herzegovina è importante e, ci si augura, denso di conseguenze per il futuro. Dopo due decenni di sanguinosi scontri fratricidi, istanze di classe infiammano l'intero paese, liberando bisogni reali, fuori dalla morsa nazionalista.

Da diversi giorni la Bosnia Herzegovina è attraversata da imponenti manifestazioni contro il peggioramento delle condizioni di vita: Sarajevo, Tuzla, Zenica, Mostar, Brčko, Orašje, Bugojno, Zavidovići, Livno, e  altri centri minori il teatro di una protesta che, per la prima volta da 20 anni, non vede tra i propri contenuti le rivendicazioni nazionali, etnico-identitarie.

La protesta nasce come espressione di esplicite rivendicazioni operaie nella cittadina di Tuzla – importante centro industriale fin dal periodo jugoslavo -  dove migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere il pagamento dei contributi previdenziali e pensionistici e per protestare contro la privatizzazione delle industrie del territorio: Konjuh, Polihem, Dita e Resod-Gumig, principali fonti di reddito per la città e per la sua popolazione.
La polizia ha attaccato i blocchi dei manifestanti a Tuzla ma la risposta è stata determinata, producendo un dilagare della rivolta in altri centri urbani. Venerdì le manifestazioni sono sfociate in attacchi contro le sedi governative nella capitale, Sarajevo.

Dopo la fiammata del week-end le mobilitazioni non sono rientrate e i dimostranti si stanno ora organizzando in Forum civici nei diversi centri coinvolti dalle proteste. Per la prima volta dalla fine delle guerre jugoslave, una protesta di massa ha visto cittadini croati, musulmani e (più raramente) serbi manifestare insieme contro il governo centrale, all’insegna di rivendicazioni sociali ed economiche che il corrotto regime della Bosnia-Herzegovina non sembra più in grado di contenere entro il paradigma delle nazionalità. Un dettaglio significativo è dato dalla presenza di manifesti inneggianti al vecchio presidente Tito, da non leggersi tanto come testimonianza yugo-nostalgica ma come rifuto delle linee di faglia nazionaliste su cui il paese è stato diviso e governato dagli accordi di Dayton.

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