Fonte: Strategic Culture Foundation.
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17 febbraio 2014

La primavera bosniaca e l’autunno serbo
Traduzione di Alessandro Lattanzio

I drammatici sviluppi in Bosnia Erzegovina assumono sempre più carattere pan-europeo. Nelle dinamiche del conflitto si vedono dei parallelismi con  la crisi in Ucraina e allo stesso tempo da di che pensare agli apologeti dell’eurointegrazione negli altri Paesi. Naturalmente, le proteste che travolgono le città bosniache hanno le loro peculiarità nazionali. Dopo tutto, sulla base degli indici aggregati socio-economici, la Bosnia-Erzegovina (BiH) è uno dei tre Paesi più deboli dell’Europa, assieme all’Albania e alla Moldavia, e la tendenza alla crisi non è difficile da vedere. Nonostante ciò, fino a poco prima le élite del governo della Bosnia-Erzegovina, musulmane, croate e serbe, potevano mantenere una relativa stabilità politica. La pressione esterna, la presenza dell’Alto Rappresentante a Sarajevo con poteri senza precedenti per uno Stato sovrano, ha avuto un ruolo. Tuttavia, la crisi europea, la crescita della disoccupazione, la tipica corruzione diffusa nei Balcani e l’aumento delle attività di forze estere hanno radicalizzato la situazione. Di conseguenza, sia Milorad Dodik, carismatico presidente della Republika Srpska, parte della Bosnia-Erzegovina, che il leader moderato dei musulmani Bakir Izetbegovic, hanno perso molta popolarità sotto la pressione delle forze radicali. La possibilità di tenere elezioni anticipate è all’ordine del giorno. I politici già al potere le supportano affrettandosi a “cavalcare l’onda” delle proteste. “La gente vuole un cambio di governo”, dice Bakir Izetbegovic, nella speranza di ampliare il suo sostegno elettorale, anche se attualmente è membro del massimo organo del potere in Bosnia-Erzegovina, la presidenza collettiva.
Per ora le proteste di massa interessano principalmente il territorio della federazione croato-mussulmana della Bosnia-Erzegovina, una delle due entità che compongono lo Stato. La posizione dei croati sembra più riservata per via dei peculiari aspetti della loro posizione. Il ricercatore inglese David Chandler caratterizza con precisione queste peculiarità, affermando che i bosniaci croati rafforzano la loro posizione in Bosnia, mantenendo e approfondendo i legami con la più benestante Croazia. Un ottimo esempio per i serbi di Bosnia e la Serbia! Dopo tutto, il rischio di una diffusione su ampia scala della crisi attuale nel territorio della Republika Srpska, non dovrebbe essere sottovalutato. Un dettaglio degno di nota. La Bosnia-Erzegovina ha firmato l’accordo di associazione con l’Unione europea nel 2008. Un documento simile a quello che Bruxelles cercava di far firmare all’Ucraina. La conseguenza diretta dell’eurointegrazione è che ciò che restava dell’industria della Bosnia-Erzegovina dopo la guerra civile del 1992-1995, collassa. L’agenzia nazionale di statistica segnala un tasso di disoccupazione del 44%, un abitante su cinque della Bosnia-Erzegovina vive al di sotto della soglia di povertà. Tuttavia, l’Unione europea e i suoi fondi anticrisi non hanno né la capacità né l’intenzione di aiutare un Paese che non è nemmeno candidato ufficiale all’adesione all’organizzazione. Ora sembra che Bruxelles si appresti a sottoporre la Bosnia-Erzegovina a una dimostrazione militare per “imporre un’operazione di pace”. L’Alto rappresentante della comunità internazionale a Sarajevo, il diplomatico austriaco Valentin Inzko, ha dichiarato al quotidiano viennese Kurier: “Se la situazione continua a complicarsi, pensiamo d’inviare truppe dell’UE…” Considerando l’intensità delle controversie interetniche persistenti in Bosnia-Erzegovina a quasi due decenni dalla fine della guerra fratricida, la crisi socioeconomica  potrebbe facilmente portare alla disintegrazione del Paese. E’ assai probabile che l’occidente si avvarrà delle manifestazione per forzare l’integrazione euro-atlantica della Bosnia-Erzegovina… il ministro degli Esteri inglese William Hague ha già esortato i suoi colleghi dell’UE e della NATO a fare ogni sforzo per aiutare la Bosnia-Erzegovina ad avvicinarsi all’adesione all’Unione europea e alla NATO.
Per ora il governo della Bosnia-Erzegovina ha potuto controllare la coalizione radicale della “primavera bosniaca” che guida le manifestazioni, tramite concessioni tattiche. I leader dei cantoni di Sarajevo, Zenica e Tuzla si sono dimessi, così come il capo della polizia di Mostar. Tuttavia, la crisi bosniaca è di natura sistemica e si presenta come nuova “riformattazione” di questa assai travagliata ex-repubblica jugoslava. Il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik ha già dichiarato che Banja Luka non consentirà un qualsiasi intervento della comunità internazionale negli affari della Bosnia-Erzegovina “che non sia previsto dalla costituzione e dalla normale procedura”. Ma l’occidente si farà davvero sfuggire l’occasione di giocare la “carta” bosniaca di nuovo a scapito degli interessi dei serbi e della Serbia?

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