Nella foto: Valeriy Gerasimov
Chief of the General Staff of the Armed Forces of the Russian Federation / First Deputy Minister of Defence of the Russian Federation, General of the Army

http://www.huffingtonpost.it/
04/09/2014

           

Il piano di Putin per l'Ucraina secondo un alto ufficiale russo
di Robert Coalson
Prague-based editor and writer for Radio Free Europe/Radio Liberty
Traduzione di Stefano Pitrelli

Quando nel novembre scorso la crisi in Ucraina si è drammaticamente aggravata, nelle settimane immediatamente seguenti se c'è una cosa che mi ha colpito riguardo al comportamento dello stato russo è stata la sua prontezza nel mettere in campo i mezzi più diversi per destabilizzare il paese confinante. È diventato immediatamente chiaro come i politici russi, i giornalisti, le organizzazioni presumibilmente non governative, le aziende statali, i think tank, l'esercito, i tribunali, le agenzie governative e la Duma stessero tutti lavorando ai medesimi obiettivi, seguendo le medesime istruzioni. All'epoca osservai su Twitter come la crisi avesse messo in risalto l'efficacia tattica di quello "stato unitario" a cui il presidente russo Vladimir Putin ha lavorato sin dal 1999.

A giugno ero poi incappato in un articolo ben poco diffuso scritto dal generale Valery Gerasimov, capo di stato maggiore della Federazione Russa. Ne rimasi colpito, constatando quanto da vicino rispecchiasse le mie osservazioni sugli sviluppi della crisi in Ucraina.

Nel suo articolo Gerasimov nota come "un paese perfettamente prospero possa in pochi mesi, o perfino in pochi giorni, finire col trasformarsi in teatro d'aspro conflitto armato, diventare vittima di interventi da parte di paesi stranieri, e finire invischiato in una rete di caos, catastrofe umanitaria e guerra civile".

E ciò si ottiene, scrive Gerasimov, attraverso "l'uso ad ampio spettro di strumenti politici, economici, giornalistici, umanitari e di altri mezzi non-militari, adoperati in coordinazione con le potenziali manifestazioni di protesta da parte della popolazione". Lo scopo: "Creare un fronte permanente attraverso l'intero territorio dello stato nemico".

Per gli specialisti in questioni militari l'articolo di Gerasimov risulta di grande interesse, ma lo è anche in senso più ampio. Getta luce sull'opinione che la Russia ha dell'Occidente, e in particolare degli Stati Uniti -, e mostra come il Cremlino ritenga che simili operazioni vengano regolarmente portate avanti in giro per il mondo. La mia impressione è che il punto di vista sugli affari esteri presentato nell'articolo rifletta accuratamente un aspetto importante di ciò che pensano al Cremlino. In fondo, è stato pubblicato su una rivista piuttosto sconosciuta, e certamente la sua scoperta da parte di un pubblico straniero non poteva essere prevista.

Il testo presenta inoltre una valutazione onesta e piuttosto critica della scienza militare russa. Gerasimov osserva come lo sviluppo del settore sia stato ostacolato in passato da "un atteggiamento sprezzante nei confronti delle nuove idee", per il quale l'Unione Sovietica ha pagato "versando parecchio sangue" durante la Seconda Guerra Mondiale. Leggendo fra le righe, da questo articolo si può anche imparare parecchio sui rapporti fra l'esercito e il governo, nonché fra scuole di pensiero in competizione fra loro all'interno dello stesso apparato delle forze di sicurezza.

Infine, ritengo che questo articolo possa offrire una lezione per l'Occidente. Il governo russo si avvolge intenzionalmente nella segretezza, ma non è certo imperscrutabile quanto lo era quello sovietico. C'è una vasta mole di informazioni importanti ed eloquenti a cui poter accedere, informazioni che c'è bisogno di studiare, tradurre e immettere nel dibattito più ampio sui rapporti della Russia con l'Occidente, e sul suo ruolo nel mondo. Ma molto poche di queste informazioni fuoriescono dalla cerchia ristretta degli specialisti. Cosa che si sta dimostrando un errore costoso.


Ecco la mia traduzione di alcuni passi significativi dell'articolo scritto dal Generale Gerasimov, apparso sul "Military Industrial Kurier" del 27 febbraio 2013.

***


Nel 21esimo secolo abbiamo potuto osservare la tendenza a sfumarsi del confine fra lo stato di guerra e quello di pace. Le guerre non vengono più dichiarate, e una volta cominciate procedono secondo modelli a noi non più familiari.

L'esperienza dei conflitti militari -- inclusi quelli legati alle cosiddette rivoluzioni colorate in Africa del Nord e Medio Oriente -- conferma come un paese perfettamente prospero possa in pochi mesi, o perfino in pochi giorni, finire col trasformarsi in teatro d'aspro conflitto armato, diventare vittima d'interventi da parte di paesi stranieri, e rimanere invischiato in una rete di caos, catastrofe umanitaria e guerra civile.

La Lezione della "Primavera Araba"

Ovviamente sarebbe più facile sostenere che quelli della "Primavera Araba" non siano eventi di guerra, e che perciò essi non rappresentino per noi -- uomini in divisa -- una lezione da imparare. Forse è vero piuttosto il contrario -- e cioè che proprio questo genere di eventi sia tipico della guerra nel ventunesimo secolo.

In termini di bilancio delle vittime ed entità della distruzione -- le catastrofiche conseguenze sociali, economiche e politiche di questi conflitti di nuova generazione sono paragonabili a quelle di qualsiasi guerra reale.

Ad esser cambiate sono le stesse "regole della guerra". Ad esser cresciuto è il ruolo degli strumenti non-militari nel raggiungimento di obiettivi politici e strategici, strumenti che in molti casi hanno finito col superare in efficacia la potenza di fuoco delle armi.

Le metodologie del conflitto si sono orientate in direzione dell'uso ad ampio spettro di strumenti politici, economici, giornalistici, umanitari, ed altri ancora di natura non-militare, adoperati in coordinazione con le potenziali manifestazioni di protesta da parte della popolazione.

Il tutto integrato da strumenti militari di natura celata, incluso il ricorso ad azioni di conflitto informazionale, e a quelle delle forze per operazioni speciali. Ormai, all'uso delle forze in campo aperto -- spesso mascherate da interventi di pace e contenimento della crisi -- si ricorre solo quando si è arrivati a un certo stadio, principalmente in vista del raggiungimento dell'obiettivo finale dello scontro.

Quanto detto finora solleva logicamente le seguenti domande: che cos'è la guerra moderna? Cosa dovrebbe esser preparato ad affrontare un esercito? Come dovrebbe essere armato? Solo dopo aver risposto a queste domande potremo decidere quale strada seguire nella formazione e nello sviluppo delle forze armate nel lungo periodo. Per farlo, l'essenziale è formarsi una chiara idea delle forme e dei metodi d'applicazione della forza.

Di questi tempi, insieme agli strumenti tradizionali, ne vengono sviluppati altri non-standardizzati. Si è accresciuto il ruolo dei gruppi di forze mobili e miste, che -- grazie alle nuove possibilità offerte dai sistemi di comando-e-controllo -- funzionano all'interno di uno spazio informativo e d'intelligence condiviso. Le azioni militari si sono fatte più dinamiche, attive e proficue. Le pause di natura tattica e operativa, che un tempo il nemico avrebbe potuto sfruttare, stanno svanendo. Le nuove tecnologie d'informazione hanno permesso una significativa riduzione dei vuoti spazio-temporali e informativi fra le forze e i loro organi di controllo. Gli scontri frontali fra vasti schieramenti di forze, a livello strategico e operativo, si fanno man mano una cosa del passato. Azioni a lunga distanza e senza contatto diretto con il nemico diventano i mezzi principali per il raggiungimento degli obiettivi operativi e di combattimento.

La sconfitta del nemico si ottiene colpendolo in profondità nel suo territorio. Le differenze fra livelli strategici, operativi e tattici -- così come quelle fra operazioni offensive e difensive -- vengono cancellate. Si diffonde l'uso di armi ad alta precisione, e quelle di nuova generazione, dotate di sistemi automatizzati, vengono incorporate nelle attività militari.

Le azioni asimmetriche sono diventate d'uso comune, rendendo possibile l'annullamento dei vantaggi del nemico nel corso del conflitto armato. In questa categoria si colloca l'adozione di forze per operazioni speciali, e l'alimentazione dell'opposizione interna per creare un fronte permanente attraverso l'intero territorio dello stato nemico, così come azioni, mezzi e strumenti di conflitto sul piano delle informazioni, sempre più perfezionati.

I cambiamenti in atto si riflettono nelle dottrine dei paesi leader mondiali, e vengono assorbiti nei loro conflitti armati.

Già nel 1991, durante l'Operazione Desert Storm in Iraq, l'esercito statunitense elaborò il concetto di "portata globale, potere globale", e di "operazioni aria-terra". Nel 2003, durante l'Operazione Iraqi Freedom, le operazioni militari furono condotte in base alla cosiddetta Single Perspective 2020.

Oggi i concetti di "attacco globale" e di "difesa missilistica globale" sono ormai consolidati, e prevedono l'annientamento degli obiettivi nel territorio nemico, e delle loro forze, nel giro di poche ore, partendo praticamente da qualsiasi punto del globo, e prevenendo contemporaneamente qualsiasi danno dovuto alla rappresaglia. Gli Stati Uniti applicano inoltre la dottrina dell'integrazione globale delle operazioni, mirata ad attivare in un lasso di tempo molto breve gruppi misti di forze mobili.

Nei conflitti più recenti sono apparsi dei nuovi metodi di conduzione delle operazioni militari, metodi che non possono più essere considerati puramente militari. Esempio ne sia l'operazione in Libia, dove è stata fissata una no-fly zone, imposto un blocco navale [e] i contractor privati dell'esercito sono stati ampiamente adoperati a stretto contatto con le formazioni armate d'opposizione.

Dobbiamo riconoscere come, essendoci chiara da un lato l'essenza delle azioni militari tradizionali portate avanti da forze armate regolari, la nostra percezione delle forme e dei mezzi asimmetrici [di conflitto, ndt] risulti invece piuttosto superficiale. A questo proposito, l'importanza della scienza militare -- che ha il compito di creare una teoria-quadro di queste azioni -- sta aumentando. Il lavoro e la ricerca dell'Accademia di Scienza Militare potrà esserci d'aiuto.

I Compiti della Scienza Militare

Nell'affrontare il dibattito sulle forme e i mezzi del conflitto militare non dobbiamo dimenticare la nostra stessa esperienza. Mi riferisco all'uso delle unità partigiane durante la Grande Guerra Patriottica (http://it.wikipedia.org/wiki/Fronte_orientale_(1941-1945)), e la lotta contro le formazioni irregolari in Afghanistan e nel Caucaso settentrionale.

Vorrei notare come proprio durante la guerra in Afghanistan siano state formulate alcune specifiche tipologie di operazioni militari il cui fulcro stava nella velocità, nei movimenti rapidi, nell'uso intelligente di paracadutisti tattici e forze d'accerchiamento, e che insieme erano in grado d'interrompere i piani del nemico, causandogli perdite significative.

L'altro fattore che influenza l'essenza stessa del conflitto armato moderno è l'uso di equipaggiamento e di mezzi di ricerca automatizzati grazie all'intelligenza artificiale. Sì, oggi abbiamo droni volanti, ma i campi di battaglia di domani saranno pieni di robot che camminano, strisciano, saltano e volano. Nel futuro prossimo sarà possibile che vengano create unità completamente robotizzate, in grado di condurre operazioni militari in maniera indipendente.

Come combatteremo in queste condizioni? Quali forme e mezzi dovranno essere adoperati contro un nemico robotizzato? Di che genere di robot avremo bisogno, e come potremo svilupparli? Già da oggi le nostre menti militari dovranno iniziare a ragionare su domande come queste.

Ma il più importante insieme di problemi, che oggi richiede la nostra maggiore attenzione, è connesso al perfezionamento delle forme e dei mezzi d'impiego dei gruppi di forze. Sarà dunque necessario ripensare le attività strategiche delle Forze Armate della Federazione Russa. Già oggi sorgono domande che urgono una risposta: sono davvero necessarie tutte queste operazioni strategiche? Quali e quante di queste lo saranno anche in futuro? Al momento però, di risposte non ce ne sono.

Altri ancora sono i problemi che affrontiamo su base quotidiana.

Al momento ci troviamo nella fase finale di formazione di un sistema di difesa aerospaziale (VKO). Di conseguenza, il tema dello sviluppo di forme e mezzi d'azione mirati all'adozione di forze e strumenti VKO si è fatto concreto. Lo Stato Maggiore ci sta già lavorando. Propongo che l'Accademia di Scienza Militare vi prenda anch'essa attivamente parte.

Lo spazio informativo spalanca nuove asimmetriche finestre per ridurre il potenziale bellico del nemico. In Nord Africa abbiamo potuto osservare come l'uso della tecnologia sia in grado di influenzare, attraverso le reti informatiche, le strutture di uno stato e la sua stessa popolazione. Sarà necessario perfezionare questo genere di attività, anche nell'ottica della difesa dei nostri stessi punti più sensibili.

L'operazione per costringere alla pace la Georgia ha messo in risalto l'assenza di un approccio unificato nell'impiego delle Forze Armate al di fuori della Federazione Russa. L'attacco del settembre 2012 al consolato statunitense nella città libica di Bengasi, l'attività dei pirati [e] gli ostaggi recentemente catturati in Algeria confermano, nell'insieme, l'importanza della creazione di un sistema di difesa armata degli interessi dello stato anche al di fuori dei confini del suo stesso territorio.

Benché l'adozione della legge federale "Sulla Difesa" adottata nel 2009 autorizzi l'uso operativo delle Forze Armate russe al di fuori dei nostri confini, le forme e i mezzi di questa attività non sono stati ancora definiti. Inoltre, l'obiettivo di rendere più facile il loro impiego operativo non è stato raggiunto a livello interministeriale. Esso include la semplificazione delle procedure per l'attraversamento dei confini, l'uso delle acque territoriali e dello spazio aereo dei paesi stranieri, le procedure d'interazione con le autorità dello stato-destinazione, e così via.

Su queste tematiche sarà necessario accordarsi per lavorare in maniera congiunta fra gli uffici di ricerca dei diversi ministeri e le varie agenzie coinvolte.

Uno dei modi in cui l'impiego della forza militare fuori dai confini del proprio paese prende forma sono le operazioni di peacekeeping. Oltre ai compiti tradizionali, la loro attività ne può includere di più specifici, come quelli umanitari, di salvataggio, d'evacuazione e sanitari. Ma al momento la loro classificazione, la loro natura e il loro contenuto non sono ancora stati definiti.

In più, i diversi e complessi compiti del peacekeeping -- che le stesse forze regolari si troveranno presumibilmente a svolgere -- richiedono la creazione di un sistema di formazione fondamentalmente nuovo. Del resto, l'obiettivo di una forza di peacekeeping è quello di separare le parti in conflitto, proteggere e salvaguardare la popolazione civile, cooperare nel contenimento delle potenziali violenze, e ristabilire una vita pacifica. E tutto ciò richiede una preparazione accademica.

Controllare il Territorio

Nell'ambito dei conflitti moderni diventa sempre più importante essere in grado di difendere la propria popolazione, i propri punti sensibili e la propria rete di comunicazioni dall'attività di forze per operazioni speciali, dato il loro crescente impiego. La risoluzione di questo problema passa per l'organizzazione della difesa territoriale.

Prima del 2008, quando l'esercito contava 4,5 milioni di uomini, questi compiti venivano svolti esclusivamente dalle forze armate. Ma le condizioni sono cambiate. Oggi, la lotta alle azioni terroristiche e alle forze di ricognizione diversiva può essere organizzata solo grazie al coinvolgimento di tutte le forze di sicurezza e di polizia del paese, nel loro complesso.

Lo Stato Maggiore ha cominciato questo lavoro, fondandolo sulla definizione degli approcci all'organizzazione della difesa territoriale, così come sono stati intesi negli emendamenti apportati al testo di legge federale "Sulla Difesa". Da quando questa legge è stata approvata, si è reso necessario fornire una definizione del sistema di difesa territoriale, nonché un inquadramento giuridico del ruolo che avranno in esso le altre forze, le formazioni militari, e le altre istituzioni statali.

Per attuare la difesa territoriale avremo bisogno di indicazioni molto chiare sull'uso delle risorse e dei mezzi interforze, di metodologie anti-terrorismo, e di forze di diversione del nemico nelle variegate condizioni-tipo del conflitto contemporaneo.

L'esperienza accumulata nelle operazioni militari condotte in Afghanistan e in Iraq ci ha mostrato la necessità di chiarire -- d'accordo con gli organismi di ricerca degli altri ministeri e con le agenzie della Federazione Russa -- ruolo e limiti d'intervento delle forze armate nella fase postconflittuale, le priorità dei diversi compiti, le procedure per l'attivazione delle nostre forze, e la definizione dei loro limiti d'impiego.

[...]

Le Idee Non Nascono A Comando

Lo stato della scienza militare russa oggi non può paragonarsi alla fioritura del pensiero teorico militare nel nostro Paese alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale.

Naturalmente per questo ci sono diverse spiegazioni, oggettive e soggettive, e non è possibile scaricarne la colpa su qualcuno in particolare. Non sono io ad aver detto che è impossibile generare nuove idee a comando.

Sono d'accordo, ma devo tuttavia riconoscere un altro fatto: all'epoca non c'era gente con alti titoli d'istruzione, e non c'erano accademie o dipartimenti. C'erano solo personalità straordinarie con idee brillanti. Li chiamerei fanatici, nel senso migliore della parola. Forse oggi non abbiamo abbastanza gente così.

Gente come, ad esempio, Georgy Isserson, che indipendentemente dalla sua formazione prebellica, scrisse un libro intitolato "Nuove Forme di Combattimento". In esso, il teorico militare sovietico era già in grado di prevedere:

"Generalmente la guerra non viene dichiarata. Semplicemente ha inizio, con forze militari già sviluppate. La mobilitazione e la concentrazione non fanno parte del periodo successivo all'inizio dello stato di guerra, come accadeva nel 1914, ma si avviano già da molto prima, senza che nessuno ci faccia caso".

Il destino di questo "profeta della patria" conobbe tragici sviluppi. Il nostro paese pagò col sangue a caro prezzo per non aver dato ascolto alle conclusioni raggiunte da questo docente dell'Accademia dello Stato Maggiore.

Quali conclusioni trarne, insomma? Innanzitutto che un atteggiamento di sdegno nei confronti delle nuove idee, degli approcci non standardizzati, e di punti di vista alternativi, risulta del tutto inaccettabile nell'ambito della scienza militare. E un atteggiamento simile nei confronti della scienza risulta ancor più inaccettabile da parte dei professionisti.

Vorrei trarre le somme osservando come, indipendentemente dalle forze a disposizione del nemico -- da quanto ben sviluppate possano essere -- le forme e i metodi per batterlo possono sempre essere individuati. Una qualche vulnerabilità ci sarà comunque, e ciò significa che da qualche parte esisteranno i mezzi adeguati ad opporvisi.

Non dobbiamo imitare l'esperienza straniera, seguendo a ruota i paesi leader, ma dovremo superarli, occupando noi stessi la posizione di leader. Ed è proprio qui che la scienza militare occupa un ruolo cruciale.

L'eccezionale studioso sovietico di scienza militare Aleksandr Svechin scrisse:

"È straordinariamente difficile prevedere le condizioni di una guerra. Per ciascuna guerra è necessario definire una particolare linea di condotta strategica. Ciascuna guerra è un caso a se stante, e richiede l'adozione di una particolare logica, non l'applicazione di un qualche modello precostituito".

Un approccio che continua ad essere corretto. Ogni guerra si presenta come unica, e richiede la comprensione della sua particolare logica, della sua unicità. Ecco perché il genere di guerra nel quale la Russia o i suoi alleati potrebbero finire per esser coinvolti in futuro è davvero difficile da predire. Cionondiméno, dobbiamo farlo. Qualsiasi pensiero accademico nell'ambito della scienza militare risulterà inutile se la teoria militare non verrà sostenuta da un'adeguata capacità di previsione.

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