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18/12/2014

Sì, è possibile che il Renminbi* sostenuto dall'oro detronizzi il dollaro USA
Traduzione di Alessandro Lattanzio

Gli Stati Uniti hanno a lungo goduto di ciò che Giscard d’Estaing chiamava “privilegio esorbitante” di emettere moneta che appare essere la valuta di riserva mondiale

“Vogliamo utilizzare le nostre riserve in modo più costruttivo, investendo in progetti di sviluppo in tutto il mondo e non solo acquistare titoli del Tesoro USA. In ogni caso, di solito perdiamo soldi con i buoni, quindi dobbiamo trovare dei modi per migliorare il nostro ritorno sugli investimenti”.

Un alto funzionario cinese, citato in un articolo di FT, ‘Turing away from the dollar’, del 10 dicembre 2014  

“La distruzione reciproca assicurata”, scrive Tim Price su SovereignMan, è una dottrina che salì alla ribalta durante la guerra fredda, quando Stati Uniti e Unione Sovietica si affrontavano con arsenali nucleari così grandi da assicurarsi che un qualsiasi scambio nucleare tra le due grandi potenze militari avrebbe rapidamente portato al reciproco letterale annientamento. Nonostante i recenti tristi rapporti tra Stati Uniti e Russia, la “distruzione reciproca assicurata” ora descrive meglio la situazione di stallo tra un governo degli Stati Uniti sempre più indebitato e una Cina sempre più monetariamente frustrata, con diverse migliaia di miliardi di dollari di riserve in valuta estera che cerca, come apparirebbe ora, un luogo più produttivo delle obbligazioni del Tesoro USA dal valore intrinseco discutibile. Finora, i cinesi hanno avuto poca scelta su dove parcheggiare le migliaia di miliardi, perché solo il mercato del Tesoro statunitense (e in una certa misura, quello dell’oro) sono abbastanza profondi e liquidi da accogliere le loro riserve.

Il suddetto articolo di FT indica tre sviluppi politici correlati dalle autorità cinesi:

1. L’appetito della Cina per le obbligazioni del Tesoro statunitense è in declino;

2. La Cina amplia il programma di sviluppo all’estero per ragioni finanziarie e geopolitiche;

3. La promozione del renminbi quale valuta globale “gradualmente libera Pechino dalla zona del dollaro”.

Gli Stati Uniti hanno a lungo goduto di ciò che Giscard d’Estaing chiamava “privilegio esorbitante” di emettere moneta che appare essere la valuta di riserva mondiale. L’articolo di FT sembrerebbe suggerire che i giorni del privilegio esorbitante volgano al termine, sostituendola, col tempo, con una valuta di riserva mondiale bipolare che incorpora sia il dollaro statunitense che il renminbi. (L’euro potrebbe essere interssato, se un dimostrabile blocco disfunzionale della moneta dura abbastanza a lungo).

Ecco un quiz per potenziali clienti:

1. Quale Paese è il più grande estrattore sovrano di oro al mondo?

2. Quale Paese non consente che un’oncia di oro sia esportata?

3. Quale Paese ha avvisato i propri cittadini di acquistare oro?

Tre domande. Una risposta. Sempre: la Cina. E’ plausibile che, a un certo punto ancora da determinare, la volontà del renminbi (essenzialmente basato sull’oro) sia detronizzare il dollaro USA o coesistere con esso in un nuovo regime monetario globale? Pensiamo che la risposta sia sì, in entrambi i casi. Nel frattempo gli Stati Uniti fanno tutto il possibile per accelerare il declino della propria moneta. C’è un nuovo ‘grande dato’ che spiega la dimensione del debito nazionale degli Stati Uniti, sui 18 trilioni di dollari e che rappresenta solo un foglio del bilancio. Considerando il passivo dell’amministrazione statunitense, fuori bilancio, ben presto si arriva a una cifra (s)comoda di oltre 100 trilioni dollari. Non sarà mai restituita, ovviamente. Non potrà mai esserla. L’unica domanda è quale veleno l’estingue: ripudio formale o inflazione informale. Forse entrambe. Così la direzione di due temi “macro”-colossali è chiara (insolvenza dell’amministrazione statunitense e sua sostituzione sulla scena geopolitica/monetaria da quella cinese).

L’unica domanda a cui né noi, né nessun altro, può rispondere con precisione è: quando? Ci sono altre dichiarazioni che richiedono l’elemosina della risposta: “quando?” I rendimenti dei titoli di Stato sono già entrati nella ‘zona d’ombra’ dell’irrilevanza pratica per gli investitori razionali e senza vincoli. Ma quando si va in retromarcia? Quando il commercio mondiale sarà ancor più frustrante (‘la fabbrica di vedove’, vale a dire il cortocircuio del mercato dei titoli di Stato giapponese) inizierà finalmente a funzionare? Quando gli investitori potranno entrare o rientrare nel mercato azionario, senza preoccuparsi dell’impatto negativo dei meccanismi di sostegno ai prezzi delle banche centrali? Ecco un’altra domanda che richiede la risposta: “quando?” Il mercato azionario statunitense è già pesantemente sopravvalutato oltre qualsiasi misura storica oggettiva. Quando Jack Bogle, il fondatore della più grande impresa d’indicizzazione al mondo, Vanguard, riconosce che difendere il 100% dell’esposizione di mercato di uno dei mercati più costosi del mondo, al suo massimo storico, potrebbe risultare qualcosa simile a “un rischio d’investimento troppo concentrato“?

Molte domande, e poche risposte chiare. Alcuni suggerimenti, però:

• A livello di asset class, la diversificazione, per geografia e tipo di attività sottostanti, ha più senso che mai. A meno che non si creda fortemente possibile anticipare le azioni e le intenzioni dei burocrati delle banche centrali nel mondo. Warren Buffett ha detto una volta che la diversificazione è necessaria solo quando gli investitori non sanno ciò che fanno. Vorremmo rivedere tale dichiarazione per tener conto dei rischi particolari in gioco nell’arena macro-economica globale di oggi: è necessaria una diversificazione ampia quando i banchieri centrali non sanno quello che fanno.

• Espansione sul tema della diversificazione, il valore esplicito (“economicità”) oggi ha senso solo nei territori analiticamente meno tracciati del mondo. I mercati azionari di Russia e Cina, ad esempio, operano sui valori di libro o meno, mentre i mercati del Nord America a 3 volte tanto.

• Una qualche forma di esposizione del renminbi ha senso nell’ambito di un portafoglio di valute diversificato.

• Le azioni statunitensi dovrebbero essere selezionate, se non del tutto, con estrema cura; idem le azioni delle multinazionali globali, le cui valutazioni puntano fortemente al trionfo della massa.

• E qualunque sia la direzione nel breve e medio termine, i titoli del Tesoro USA ai livelli attuali non hanno alcun senso per gli investitori esigenti. Lo stesso vale per Gilts, Bund, JGB, OAT.

• Argomentare sui rendimenti molto più bassi attesi dal Tesoro a lungo termine, significa a) ignorare completamente l’eccesso di offerta attuale e quella travolgente futura, e b) l’assoluta mancanza di approvazione da uno dei loro maggiori detentori stranieri.

I detentori esteri di titoli del Tesoro USA sono avvertiti. L’ironia è che molti di voi sono completamente ignari del prezzo e quindi non se ne cura. Ci sono altre ragioni per essere timorosi delle valutazioni sui mercati azionari, in particolare nei costosi mercati occidentali, oltre e aldilà le preoccupazioni sul peso del debito. Come sottolinea Russell Napier nel suo ultimo pezzo ‘The Solid Ground‘, “Nel 1919-1921, 1929-1932, 2000-2003, 2007-2009 non ci fu ripresa dei salari, i tassi d’interesse controllati dalla FED e le imposte sulle società produssero il crollo dei profitti delle imprese e sul mercato azionario. In queste quattro occasioni gli investitori azionari subirono perdite del 32%, 85%, 41% e 51% rispettivamente, nonostante la continua passività di lavoro, creditori e Stato. La deflazione, o la paura della deflazione, costò agli investitori azionari molto. C’è una semplice ragione per cui la deflazione è sempre stata così dannosa per i profitti aziendali e le valutazioni azionarie: porta alla crisi del credito. Gli investitori dimenticano, a loro rischio e pericolo, ciò che può accadere al sistema del credito in un mondo altamente influenzabile, quando flussi di cassa di imprese, famiglia e Stato declinano. Nel mondo deflazionistico l’accesso al credito è molto più difficile, l’attività economica rallenta e spesso una grande istituzione o un Paese crea un rischio sistemico per l’intero sistema. Il crollo dei prezzi delle materie prime e delle valute dei mercati emergenti, in concomitanza con l’ascesa generale del dollaro USA, suggerisce un’altra crisi del credito prossima. Con i tassi di interesse nominali già così bassi, i rimedi monetari a una crisi di credito oggi sarebbero assai meno efficaci. Tale shock, dopo cinque anni e mezzo di QE, potrebbe suggerire che il paziente non reagisce a questo tipo di medicina“. E dato che Natale si avvicina velocemente, non possiamo parlare di incenso e mirra, ma dell’oro, la famosa “bolla di 6000 anni”, sempre popolare, ma raramente più rilevante per l’investitore alla ricerca di un vero rifugio sicuro dal forzato deprezzamento della valuta e dalla montagna sempre più grande del debito inesigibile. 

Note

* Valuta del Popolo cinese o anche Yuan oppure CNY

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