L'immagine tratta da Wikipedia, rappresenta il regno polacco ai tempi di re Boleslao, e indica l’ubicazione della Crobazia

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12 dicembre 2014

Quando i croati fondarono Cracovia e diedero un re alla Polonia
di Matteo Zola

Abbiamo raccontato fin qui degli slavi che si spinsero a occidente, fino all’attuale Polonia e alla Germania, e di come abbiano mutato i propri nomi, lentamente differenziandosi in vari gruppi. Così abbiamo scoperto che l’etnonimo “serbo” era il nome collettivo con cui gli slavi emigrati verso occidente, nelle attuali Germania e Polonia, usavano chiamare se stessi. Solo in epoca più tarda, con la discesa delle popolazioni slave verso i Balcani, diventerà il nome di un gruppo specifico. Tale etnonimo conviveva però con altri nomi particolari tra cui quello dei “croati”.

L’origine della parola “croato” si perde nella notte dei tempi ma è opinione diffusa tra gli studiosi che sia di derivazione slavo-iranica. Bisogna spiegare adesso cosa s’intende per “slavo-iranica”. Fino al V° secolo gli slavi vissero a stretto contatto con i sarmati, una popolazione iranica stanziata tra l’Ucraina centrale, il Caucaso e la Russia meridionale. Una terra che gli antichi greci chiamarono Sarmazia e che è attestata con il nome di “Sairima” nell’Avesta, il testo sacro dello Zoroastrismo, antica religione praticata in quello che oggi è l’Iran. Secondo i greci i sarmati erano sciti, altra definizione collettiva che in greco andava a indicare tutte le popolazioni affacciate a nord del mar Nero. Sciti e sarmati erano “iranici”, una civiltà oggi scomparsa che si connotava per la cremazione dei morti e la tripartizione sociale, per la tradizione dell’allevamento dei cavalli e dell’agricoltura, oltre che per una lingua indoeuropea. Oggi l’osseto è l’ultimo retaggio linguistico derivante dalla lingua scito-sarmatica.

Gli slavi furono per molto tempo a stretto contatto con le popolazioni iraniche, forse da loro appresero l’amore per l’agricoltura (che li caratterizzerà) e l’abitudine a cremare i defunti. Forse erano loro quegli “sciti aratori” che – secondo Strabone – vivevano nel bacino del Dnepr, che abbiamo visto essere il primo luogo in cui gli slavi certamente si assestarono una volta giunti in Europa. Quello su cui gli studiosi concordano è che la lunga convivenza con i gruppi iranici influenzarono in modo decisivo la cultura slava precristiana. Da quell’epoca deriva la parola “croato”, dal protoslavo xorvat, il cui significato resta misterioso poiché si tratta probabilmente del modo in cui altri popoli non slavi chiamavano quel gruppo che – come spesso accade – fece suo il nome che gli veniva attribuito. Il loro nome si fissò nella forma attuale anche grazie all’assonanza con la parola protoslava krak o krakula, cioè quercia.

Questi croati erano parte delle tribù slave che mossero verso occidente intorno al sesto secolo. Erano parte di quel commonwealth di tribù dette “serbe” di cui abbiamo parlato. Arrivati nelle pianure dell’attuale Polonia meridionale, nota nei testi antichi (si veda Il racconto dei tempi passati redatto a Kiev nel 1100 ad opera del monaco Nestore di Pecerska) con il nome di “Croazia bianca”, fondarono Cracovia il cui nome richiama direttamente quello della popolazione “croata”.

Forse per questo il primo re di Polonia, Boleslao I, era detto “Chrobry“? Il termine in polacco significa “intrepido”, e non ha alcuna coloritura etnica. Secondo Francis Conte, autore del saggio “Gli Slavi” cui spesso facciamo riferimento, il termine chrobry sarebbe da mettere in collegamento con la Chrobatia (Crobazia), la regione dove si insediarono quegli slavi antichi detti “croati”, lasciandole in eredità il nome, attestato su molte delle carte alto-medievali e oggi perduto (la regione corrisponde infatti all’attuale Piccola Polonia).

Da questa Chrobatia la tribù dei “croati” mosse verso sud insieme alle altre tribù “serbe” di cui abbiamo già parlato portando con sé un etnonimo ormai consolidato. Unitamente agli altri “serbi”, si stanziarono nei Balcani lungo il corso del Danubio e in Dalmazia dando lentamente vita allo stato croato che, con la conversione al cristianesimo avvenuta nel 925, divenne uno stato “europeo” a tutti gli effetti, arrivando così ai giorni nostri e distinguendosi da quello dei serbi a causa del rito: romano, per i croati; greco per i serbi.

Ancora una volta la storia ci svela quanto moderne siano le opposizioni. L’unità degli slavi discesi nei Balcani intorno al VI° e VII° secolo fu spezzata dalla conversione al cristianesimo greco (i serbi) e romano (i croati). Eppure i due popoli erano uniti quando camminarono dal Mar Nero alla Polonia, e uniti restarono quando discesero nei Balcani dove continuarono a evolversi insieme, con gli stessi caratteri culturali (li vedremo in futuro) e con la stessa lingua. Diceva il celebre poeta (croato) Miroslav Krleza che “serbi e croati sono la stessa merda di vacca tagliata in due dal carro della storia”. A vederla in una prospettiva storica che non sia troppo appiattita sul presente, il solco che li divide non è poi così profondo.

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