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6 Marzo 2014

Russia-Occidente, i toni si abbassano ma l’incontro di Parigi non risolve
di Matteo Tacconi

Grande lavoro diplomatico. Ma l'ombra di un'intercettazione che coinvolge la Ashton rischia di creare imbarazzo

L’asticella della tensione è ancora molto alta. Tutto può succedere. In Crimea, come nelle regioni dell’est, quelle russofone. Inoltre, dopo il pesantissimo «fuck the Eu» dell’assistente al segretariato di stato americano, Victoria Nuland, è piombata sulla scena un’altra intercettazione, anche in questo caso, si potrebbe azzardare, captata e diffusa con lo zampino russo.

Riguarda il capo della diplomazia estone, Urmas Paet, che di ritorno da Kiev avrebbe riferito alla titolare della politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, che i cecchini che hanno mietuto decine di vittime nella capitale ucraina non rispondevano a Yanukovich ma alle frange radicali della rivolta. Sarebbero in altre parole stati loro “infiltrati”. Messi lì a spingere la rivoluzione verso la vittoria, sacrificando la propria gente. Se la cosa fosse provata, cosa difficile da fare, comunque, l’Ue si troverebbe in grave imbarazzo.

In ogni caso c’è l’impressione che la finestra della trattativa si sia vagamente aperta. Ieri a Parigi si sono tenute consultazioni, a margine di una conferenza sul Libano, tra i capi delle diplomazie della Russia, degli Stati Uniti e di alcuni paesi Ue. È stato soltanto un confronto interlocutorio e le parti, come immaginabile, restano ancora distanti.

Gli occidentali invitano Mosca a porre fine alle operazioni in Crimea e a riconoscere il nuovo governo ucraino, bollato da Putin come golpista. Ma Lavrov ha spiegato che non ha potere sulle truppe in Crimea («non sono soldati russi ma forze di autodifesa») e la sua delegazione ha evitato di interloquire con quella di Kiev.

Il ministro degli esteri russo, dal canto suo, ha chiesto che si torni agli accordi negoziati il 21 febbraio sotto l’egida dell’Ue. Non vennero rispettati, sia perché Yanukovich fuggì e sia perché i segmenti radicali della rivolta non ne vollero sapere di schiodarsi dalla prima linea. Quell’intesa prevedeva, oltre al ritorno alla costituzione parlamentarista del 2004, la nascita di un governo di unità nazionale e il voto presidenziale anticipato entro la fine dell’anno.

Alcuni analisti pensano che se nella coalizione di Kiev fosse dato il giusto peso a esponenti dell’est ucraino e se il voto presidenziale slittasse (ora è in calendario a fine maggio), il Cremlino potrebbe discutere. Ma questo, rispetto a quello della Crimea (l’opzione resta quella dell’invio di una missione di monitoraggio a guida Osce), è un nodo meno ingarbugliato. A ogni modo la notizia è che ci si prova a parlare.

Intanto, sul fronte economico, l’Ue è pronta a stanziare 11 miliardi di euro a favore di Kiev. Un altro arriverà da Washington. Una boccata d’ossigeno per le casse profondo rosso dell’ex repubblica sovietica.

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