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mar 31st, 2014

E’ evidente che la cessione della Crimea conviene a tutti. Anche a Kiev
di Enrico Oliari

Tentativi di stabilizzazione in corso. L’incontro di Parigi presso la residenza dell’ambasciatore russo fra il Segretario di Stato Usa John Kerry e il ministro degli Esteri Serghei Lavrov, definito da quest’ultimo come “costruttivo”, sta già dando i primi frutti con il ritiro (ancora in corso) delle truppe russe dal confine con l’Ucraina.
A confermarlo è Dmitry Tymchuk, direttore del Centro di studi politici e militari di Kiev, il quale ha riportato che “Questo non significa che possiamo prendere il cappotto e tornare a casa, ma la probabilità di invasione ora è significativamente ridotta; direi: se una settimana fa abbiamo valutato la probabilità di invasione della Russia all’80%, ora è intorno al 50% e fa piacere…”.
Da parte dell’Ucraina rimane un secco “no” alla cessione ufficiale della Crimea alla Russia, di fatto già in mano a Mosca, ma potrebbe trattarsi di un espediente per alzare la posta e pretendere dal Cremlino un risarcimento importante, magari per le forniture di gas a quel costo che l’Ucraina aveva ottenuto nel momento in cui si dava come scontata l’adesione all’Unione doganale di Vladimir Putin.
A ben guardare, infatti, il passaggio ufficiale e riconosciuto della Crimea alla Russia sistemerebbe molte cose: andrebbe bene agli abitanti della piccola ma strategicamente importante penisola, in stragrande maggioranza russofoni, che così si legherebbero ad un’economia più forte di quella sgangherata ucraina; ne gioverebbe Bruxelles, che una volta per tutte chiuderebbe la questione del Kosovo, anche grazie alle pressioni della Russia sull’alleata Serbia, come pure metterebbe nella propria orbita l’Ucraina; ne guadagnerebbero gli Stati Uniti che, grazie all’impegno di Kerry, passerebbero come salvatori della pace e riaffermerebbero Urbi et orbi la propria determinazione in campo della politica internazionale; ed anche a Kiev una tale cessione non sarebbe del tutto indigesta, dal momento che stabilirebbe un confine netto e chiaro con la Russia, non solo geografico.
Così, se non sono del tutto chiari i termini dell’incontro fra i due “big” della politica estera, certo è che a tutti preme che la crisi della Crimea rientri quanto prima e, soprattutto, che tutti ci possano guadagnare qualcosa.
Kerry e Lavrov si sono parlati per quattro ore, al termine delle quali ne sono uscite “posizioni divergenti sulle ragioni della crisi ucraina”, ma, come ha spiegato il rappresentante russo, “Abbiamo concordato sulla necessità di trovare dei punti di accordo per arrivare a una soluzione diplomatica della crisi”.
Il segretario di Stato Usa ha ribadito che senza la partecipazione dell’Ucraina non può essere presa alcuna decisione, e che comunque è necessario disarmare le forze irregolari presenti in Crimea, come pure inviare osservatori internazionali per la protezione dei diritti delle minoranze, intensificare il dialogo diretto tra Mosca e Kiev e favorire l’introduzione di riforme costituzionali per l’Ucraina. E qui Lavrov, rispondendo ad un’intervista, ha rimarcato che Mosca spinge perché tutta l’Ucraina si trasformi in una federazione, dove ogni regione dovrebbe avere giurisdizione sulla propria economia, cultura, lingua, oltre a “collegamenti economici e colturali con i Paesi vicini e della regione”, cosa d’altronde chiesta nelle molte manifestazioni di queste ore a Donetsk.

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