giugno 2014

Contributo al Libro Bianco Difesa 2014
di Prof. Giovanni Scotto

Docente di International Conflict Transformation - Università di Firenze / Syracuse University Florence ; con la collaborazione della Rete di esperti per la pace e la trasformazione dei conflitti – Laboratorio FORMA MENTIS – PIN Polo Universitario di Prato

Premessa

Il presente breve scritto si incentra su un allargamento delle prospettive rispetto alla tradizionale visione della sicurezza intesa come difesa con mezzi militari. In particolare i punti di partenza del ragionamento sono:

1.    un concetto di sicurezza multidimensionale (militare, politico-sociale, economica, ambientale, umana), e attento alla dimensione comunicativa (securitizzazione, creazione / costruzione / messa in discussione del consenso intorno alle politiche di difesa;

2.   una visione delle sfide alla sicurezza incentrata sulla dimensione sistemica (sfide derivanti dagli effetti sull'Italia di problematiche globali) e di medio lungo periodo (da 10 a 30 anni);

3.   il principio della limitata fungibilità tra la capacità militare e la possibilità di governare processi politici

4.    un approccio incentrato sul concetto di conflitto politico-sociale, in cui la fase della violenza organizzata  costituisce solo una parte di un “ciclo di vita” (escalation, stand-off, de-escalation) assai più complesso. e della loro a) prevenzione, b) gestione nei momenti di crisi e 3) costruzione della pace (peacebuilding) a breve – medio termine;

5.    dai principi sopra enunciati consegue una necessaria contestualizzazione dell'uso dei mezzi militari all'interno di un repertorio di intervento di cui fanno parte anche : diplomazia tradizionale, diplomazia non ufficiale (di “secondo livello”), cooperazione allo sviluppo, gestione consapevole degli aiuti umanitari, forme di difesa non armata e nonviolenta;

6.   Di conseguenza, una indispensabile relativizzazione dello strumento militare nella definizione e implementazione delle politiche di difesa, che vanno intese in senso comprensivo (civile – amministrativo – militare).

Di seguito proverò a declinare queste diverse prospettive all'interno della griglia fornita per la conferenza.

1. Il quadro sistemico e le implicazioni strategiche

Com’è e come sarà il mondo nel prossimo futuro? Quali sono le tendenze dominanti e quali gli effetti attesi nei prossimi 5 -10 anni?

Ci concentriamo qui su due fenomeni sistemici che avranno di certo un impatto globale notevole, e metteranno potenzialmente in discussione molte delle certezze su cui si basa la nostra società e che orientano le decisioni delle istituzioni.

a) picco globale della produzione petrolifera (impatto prevedibile: 3-7 anni)

Negli ultimi due secoli la civiltà industriale si è abituata a un modello basato sulla crescita costante, e sull'aumento esponenziale della produzione di beni e del consumo di risorse.

La crescita indefinita si scontra tuttavia con i limiti dati da un pianeta finito. La questione fondamentale che si pone è se tali processi abbiano una rilevanza storica (cioè possano avere un impatto nel giro di anni o decenni, e non di molti secoli), e, in caso affermativo, se richiedono una risposta a livello di decisioni politiche nel breve-medio periodo.

Questo vale in particolare per alcune tipologie di materie prime non rinnovabili, in primis per il petrolio, oltre ad alcuni minerali (tra cui ad es. gallio e alcune terre rare di grande rilevanza per i prodotti ad alta tecnologia). Il superamento del picco (ovvero la quantità massima possibile) di produzione ha come conseguenze la crisi dei meccanismi di mercato, la corsa all'accaparramento e crescenti rivalità per il controllo. In particolare , non può essere sottovalutato l'impatto sistemico del superamento del picco di produzione globale del petrolio. All'incirca dal 2006 la curva della produzione globale di petrolio e materie assimilate ha raggiungo un tetto massimo (plateau), anelastico rispetto alle oscillazioni anche drammatiche dei prezzi negli anni successivi. Inoltre la composizione dell'offerta di petrolio si va costantemente trasformando, con una diminuzione del greggio leggero e ad alto ritorno energetico, e l'aumento di materia prima assai più difficile da estrarre e raffinare, con un rendimento anche di molto inferiore (ad es. il petrolio di scisto o da sabbie bituminose oggi prodotto in Nord America).

Lo sviluppo di energie rinnovabili, e il ritorno all'energia nucleare in alcuni Paesi non potranno sostituire appieno il flusso di petrolio in diminuzione. Un aumento relativo del consumo di carbone, come si verifica già oggi ad es. in Cina, potrebbe condurre a un peggioramento del problema climatico.

b) Cambiamento climatico (impatto prevedibile: oltre 10 anni).

Il 5. Rapporto dell'IPCC (International Panel for Climate Change) conferma in maniera ormai inequivocabile l'aumento della CO2 atmosferica, la sua natura antropogenica, e il relativo tendenziale aumento delle temperature a livello globale. La comunità internazionale si è data negli ultimi anni l'obiettivo di limitare a 2 °C l'aumento medio globale entro la fine del secolo: tuttavia le tendenze attuali rendono più probabile un aumento fino a 4 °C , con conseguenze di difficile previsione, ma senz'altro di impatto fortissimo rispetto alla situazione attuale. Già da diversi anni sono state analizzate in diversi Paesi le possibili implicazioni dal punto di vista delle sicurezza. Data la collocazione geografica dell’Italia, i cambiamenti climatici a breve termine nel bacino del Mediterraneo e nella regione del Sahel sono di immediato interesse per il nostro Paese.

Quale sarà l’effetto dei cambiamenti attesi sulla regione europea e mediterranea?

a) Picco del petrolio: L'Europa come grande consumatore di energia sarà di fronte alla necessità di una radicale ristrutturazione del sistema economico. La principale sfida sarà costituita dal dilemma dei singoli stati se cooperare o gestire da soli la crisi.

Il Sud del Mediterraneo dovrà trovare difficili strategie di adattamento a una diminuzione costante dei flussi di materie prime energetiche in uscita (in Egitto dal 2010 il consumo interno di prodotti petroliferi ha superato la produzione, in declino da 20 anni).

b) Cambiamento climatico: Verosimilmente aumenterà la frequenza di eventi climatici estremi (come le inondazioni del 2014 in Serbia e Bosnia-Erzegovina); vi saranno importanti modifiche agli ecosistemi globali e regionali, a cui è possibile in linea di principio dare risposte in termini di policies (la Svizzera si sta attrezzando al proposito ad es. nel settore forestale dall'inizio degli anni 2000); è plausibile pensare che ci saranno importanti ripercussioni negative sul ciclo dell'acqua e sull'agricoltura.

Ancora più preoccupanti sono i possibili impatti sulla sponda sud del Mediterraneo (in particolare il Delta del Nilo), e la regione del Sahara, in quanto aree già di per sé fragili dal punto di vista climatico. 

Quale sarà l’effetto sull’Italia?

a) Picco del petrolio: Gli effetti includeranno un aumento progressivo dei prezzi del greggio; la diminuzione progressiva delle disponibilità e il blocco progressivo dei meccanismi di mercato internazionale e interno (accaparramento, razionamento); la progressiva difficoltà a sostenere componenti rilevanti del sistema industriale (in particolare i trasporti); difficoltà persistenti nei conti pubblici e quindi nei dispositivi di redistribuzione della ricchezza propri del nostro sistema di welfare.

b) Cambiamento climatico: gli effetti potranno includere: ulteriore stress su un sistema idrogeologico già oggi molto fragile e conseguente aumento della frequenza di eventi estremi (frane, inondazioni); innalzamento progressivo del livello del mare, con messa a rischio delle aree costiere e delle zone più fragili (es. Venezia, Delta del Po); impatto sull’agricoltura; possibili rischi per la salute pubblica.

Implicazioni generali per i conflitti armati

In numero assoluto, i conflitti armati sono diminuiti costantemente dalla prima metà degli anni novanta: le tensioni dovute al crollo dell'URSS e della RSFJ , e degli improvvisi processi di apertura in Africa, sono stati lentamente riassorbiti. La “comunità internazionale” si è dotata di una molteplicità di strumenti di intervento, politico-diplomatico, economico-sociale e militare. Gli eventi del settembre 2001 e la risposta militare di USA e NATO  hanno parzialmente impattato su questa tendenza globale di medio termine.

E' lecito attendersi un aumento dei conflitti violenti locali a medio termine in ragione delle tensioni che i due fenomeni globali provocheranno (e in parte stanno già provocando) su singoli stati e società.  Alle situazioni ben note di “nuove guerre”, “stati falliti” e conflitti su base identitaria (etnica, religiosa), che continuano a permanere, il prossimo futuro potrebbe aggiungere guerre civili derivanti dal collasso di stati un tempo stabili (come per certi versi è accaduto con la Siria). Il rischio connesso è che si arrivi a una moltiplicazione di territori sottratti al controllo e alla responsabilità statuale, con le implicazioni relative al terrorismo locale e internazionale,  alla criminalità organizzata, alla violenza diffusa (es. Somalia, ma anche situazioni come in parti del Messico, El Salvador ecc.).

Parallelamente, è possibile che le capacità di proiezione degli attori tradizionalmente garanti della sicurezza o impegnati in interventi – militari o di altro tipo – diminuiscano con il diminuire tendenziale delle risorse disponibili, e l'aumento generalizzato di tensioni nel sistema internazionale. E' plausibile pensare che in futuro diminuirà la disponibilità dei Paesi donatori a sostenere sforzi come quelli effettuati in passato in Bosnia-Erzegovina, in Kosovo, o – in particolare in chiave militare – in Afghanistan.

2. Interessi “vitali” e “strategici” dell'Italia

Naturalmente diamo per scontate categorie come l'incolumità dei suoi abitanti e la preservazione di un nucleo fondamentale di valori della comunità statuale (“patriottismo costituzionale”). E’ possibile che nel medio periodo le spinte centrifughe porteranno alla messa in discussione dell’assetto statuale del nostro Paese (non solo al Nord ma anche al Sud): se questo dovesse accadere, è essenziale evitare di rispondere a questa possibile sfida con un processo di “securitizzazione” (interpretare questa come una minaccia a interessi vitali): l’interesse principale del popolo italiano è quello di riuscire a gestire nel modo più efficace  e indolore possibile le crisi del futuro, che si annunciano come inevitabili.  

Da un punto di vista sistemico, il principale interesse del Paese non può che risiedere nella stabilità e  nel rafforzamento di strumenti di governance internazionale. Ciò soprattutto in virtù delle crisi sistemiche appena considerate, che porteranno la tendenza a comportamenti opportunistici e/o di free riding da parte degli stati. A livello internazionale dovremo aspettarci pertanto processi del tipo “tragedy of the commons” che potranno mettere in pericolo la capacità di cooperazione dei singoli stati. In quanto Paese di importanza media, l'Italia da sola non ha gli asset economici, militari, di possesso di materie prime necessari per perseguire politiche unilaterali. La capacità di cooperare degli attori del sistema internazionale può quindi a buon diritto essere considerata un'area immateriale degli interessi nazionali da preservare.

Una risposta appropriata a questa possibilità è di costruire, sostenere e diffondere strategie di “egosimo illuminato” (perseguimento dei propri interessi anche a beneficio del resto del sistema). La costruzione e diffusione di  tali strategie richiede un investimento di ricerca e intelligenza da un lato, un lavoro culturale e di formazione da un altro.

Un secondo ordine di interessi strategici è costituito dalla necessità di governare nel modo più efficace possibile i conflitti politici, sociali ed economici che possono escalare in conflitti armati e guerre civili, destabilizzando paesi limitrofi e intere regioni. Occorre abbandonare una visione manichea di sicurezza intesa come stabilità a tutti i costi (anche sostenendo élites dittatoriali e corrotte) o un acritico sostegno a leadership e opposizioni viste come “amiche”, che possono a loro volta abusare del sostegno occidentale per decidere a loro volta il ricorso alla forza armata e alla destabilizzazione.

In che misura i nostri interessi nazionali coincidono con quelli dei Paesi partner in Europa o alleati nella NATO?

Si tratta di una domanda non banale in situazioni del tipo “tragedy of the commons”, dove una massimizzazione a breve degli obiettivi del singolo attore può pregiudicare il benessere della comunità di appartenenza.

Dal punto di vista della tradizionale logica dell'interesse nazionale, i costi dell'attività multilaterale devono essere inferiori ai benefici attesi. In una prospettiva di “egoismo illuminato”, può essere utile ridefinire i propri interessi e il modo di perseguirli allo scopo di preservare la cooperazione e la capacità di azione collettiva. Anche qui c'è bisogno di conoscenza, intelligenza politica, formazione, capacità di costruire consenso diffuso in istituzioni e tra i cittadini.

Il discorso si differenzia per l'UE e per la NATO, data la diversa natura dei due organismi. Il grosso dei costi che l'UE produce per i propri membri sono destinati al mantenimento del sistema al proprio interno; viceversa la NATO negli ultimi 15 anni si è candidata a gestire complesse operazioni “fuori area” con tratti simili al peacekeeping, o veri e propri interventi di guerra, dai costi assai elevati. Per ciò che riguarda la NATO, è  opinione di chi scrive che tali costi diventeranno in un prossimo futuro sempre meno sostenibili e meno suscettibili di vasto consenso politico.

Su quali obiettivi dovrebbe concentrarsi l’azione della politica, per tutelare gli interessi vitali e quelli strategici?

- Estendere e rafforzare la capacità di governance del sistema internazionale nel suo complesso: privilegiare l'azione e rafforzare le cornici istituzionali delle organizzazioni “inclusive” (ONU, OSCE, altre organizzazioni regionali come UA), prima che / insieme con quelle “esclusive” (NATO e UE).

- Estendere e rafforzare la capacità di prevenzione dei conflitti armati, di gestione civile delle crisi, mediazione e peacebuilding – sia negli organismi multilaterali di cui l'Italia fa parte, sia come sistema-Paese. Il prossimo semestre di presidenza europea affidato all'Italia può essere un momento importante per consolidare le capacità di gestione civile delle crisi della UE , e per lanciare in modo forte il nuovo European Institute for Peace.

- Individuare in questo quadro il valore aggiunto che il sistema-Paese, e all'interno di esso le Forze Armate, possono fornire in contesti specifici per la de-escalation, gestione e soluzione dei conflitti internazionali: in quali contesti, quando e con quali strumenti intervenire per favorire una trasformazione in senso pacifico dei conflitti.

- Come sistema-Paese, assumere come centrale l'obiettivo di lungo termine di resilienza, ovvero capacità di sostenere, adattarsi e rispondere a situazioni critiche, diminuendo la fragilità complessiva del sistema (come ad es. sta avvenendo lentamente nel comparto energetico). Il discorso sulla resilienza riguarda la progettazione e gestione delle infrastrutture complesse (reti di trasporti, energetiche, sistemi di approvvigionamento agricolo ecc.) e comporta la collaborazione con la P.A. (impegnata nella gestione quotidiana ) e la Protezione Civile per far fronte a eventuali emergenze. La resilienza deve essere cercata e costruita a livello di comunità locali; di sistema-Paese; di Europa nel suo complesso (inclusi i Paesi vicini).

- Ripensare la pianificazione, formazione e gestione dello strumento militare nell'ottica di un approccio “complesso” sistemico e multidimensionale alla sicurezza e ai conflitti di rilevanza internazionale.

3. Rischi e minacce

A quali tipi di rischio e a quali minacce sono esposti gli interessi vitali e quelli strategici dell’Italia?

I principali rischi a cui è esposto il Paese sono quelli già menzionati di natura sistemica, ed eventuali fenomeni di spill-over dall’escalation di conflitti locali (come di recente nei casi di Libia e Siria).

L’immigrazione di per sé non può essere considerata una minaccia, perché non attenta all’integrità del Paese né alle sue esigenze fondamentali: al contrario, anche in una visione tradizionale della sicurezza, l’immigrazione costituisce una risorsa fondamentale per un paese dalla struttura demografica come quella italiana.

Elementi di forza del sistema-Italia

Il retaggio storico-culturale fa del nostro un paese potenzialmente molto importante nel sistema internazionale. Tra gli elementi di forza interni: la storia di uno sviluppo economico in presenza di scarsità di capitali, una società civile molto articolata e robusta, una lunga tradizione democratica.

Nel campo specifico della mediazione dei conflitti a livello internazionale, il nostro Paese ha alcune esperienze di eccellenza (tra tutte, la Comunità di Sant’Egidio) ma non è stato in grado finora di “metterle a sistema”. Occorre lavorare alla costruzione di una infrastruttura per la pace, un insieme di strumenti di analisi, previsione, progettazione, civili, amministrativi e militari , in grado di rispondere alle sfide poste da eventuali escalation di conflitti locali. 

Elementi di forza: difesa civile non armata e nonviolenta

L'Italia ha effettuato interessanti sperimentazioni di difesa civile non armata e nonviolenta (DCNANV), con il servizio civile sostitutivo, e successivamente con il servizio civile nazionale. Tali sperimentazioni hanno interessato sia il versante interno (con progetti relativi alla solidarietà, coesione sociale, resilienza, lavoro antimafia ecc.), e sono state promosse e studiate da un apposito Comitato consultivo. Un settore non irrilevante della società civile è motivato a dare un contributo sulle tematiche della difesa lavorando a una DCNANV.

E' quindi utile e necessario ascoltare le proposte che arrivano dalla società civile italiana in materia di Difesa Civile (prevista dalla legislazione vigente e riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale),  come   la campagna per una Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta (lanciata dalle principali reti di associazionismo italiane all'Arena di Verona il 25 aprile 2014) e la richiesta di costituzione di un Dipartimento per la Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

E' importante sottolineare che questo approccio è diverso dal tradizionale CIMIC, perché presuppone la strutturazione di un sistema di difesa civile e protezione civile interamente indipendente dall'esercito, con mezzi e risorse umane proprie, all’interno di un concetto di sicurezza e di difesa ampio e non limitato allo strumento militare.

Tale ampliamento delle prospettive sulla difesa può costituire un passo importante per costruire un nuovo consenso democratico sulla difesa, che non sia semplicemente la “persuasione” di un’opinione pubblica tendenzialmente restia a costosi sistemi d’arma o rischiose e poco chiare operazioni internazionali. 

Elementi di debolezza del sistema-Italia

Sono elementi da considerare con attenzione: la già menzionata fragilità idrogeologica, che rimane il principale rischio alla vita e all’incolumità nel Paese; la scarsa coesione sociale tra diverse aree del Paese (Nord – Sud) e tra diverse classi sociali, che rende il nostro paese tendenzialmente più fragile di fronte a possibili future crisi. La radicata sfiducia di buona parte della cittadinanza nei confronti dello Stato, dei partiti nazionali, delle istituzioni e della Pubblica Amministrazione è un altro elemento di debolezza: un rilancio del sistema italiano della difesa dovrebbe tenere conto di questi aspetti e dare un segnale di fiducia e apertura, basandosi un dialogo ampio in vista di un consenso democratico sulle politiche della difesa.

Come possono essere gestiti gli eventi “cigno nero”?

Occorre sottolineare anzitutto che nella prospettiva adottata nel presente scritto le criticità più preoccupanti non derivano da eventi del tutto imprevedibili, ma da tendenze che consideriamo robuste e di per sé allarmanti (cambiamento climatico, picco della produzione del petrolio).

Per usare il gergo di N. Taleb, la strada maestra per gestire eventi “cigno nero” consiste nella trasformazione degli assetti interni dell'attore adottando modalità di azione anti-fragili, ovvero in grado non solo di vivere, ma anche di prosperare di fronte a eventi eccezionali avversi.

Si propone anche qui di assumere come concetto guida la “resilienza del sistema-Italia”: rendere le istituzioni, la modalità di funzionamento dello stato e la struttura sociale ed economica in grado di resistere adattarsi e rispondere a shock esterni improvvisi. Anche sotto questo profilo assumono grande importanza gli strumenti civili di difesa non armata e nonviolenta, di prevenzione , gestione costruttiva e soluzione dei conflitti armati.

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