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25 feb, 2014

Diario cinese (1)

Comincia oggi la sua collaborazione al Journal Daniele Pezzini che sta svolgendo uno stage in giornalismo a Shanghai, in Cina, presso un quotidiano cinese. Ecco le prime impressioni di un collega che osserva dall'interno, il "pianeta cina"

Stazione della metropolitana di Jing’an Temple, Shanghai, ore 8:45. Un uomo sulla quarantina, vestito di tutto punto con cappotto e abito elegante, auricolare all’orecchio e tablet di ultima generazione alla mano, viaggia verso gli uffici di West Nanjing Road a bordo di un taxi-risciò che, come nessun altro mezzo di trasporto saprebbe fare, si destreggia abilmente tra le trafficate vie del centro.

Saremo forse ripetitivi, noi occidentali, ma mai come quando ci si vive è facile rendersi conto di come questa Cina contemporanea sia effettivamente, come in molti hanno osservato, il paese delle contraddizioni.
Si può facilmente fare riferimento alle profonde disparità che sussistono tra le arretrate politiche educative, sanitarie e salariali delle zone rurali dell’entroterra e quelle più moderne e sviluppate della costa orientale, invasa dalle sterminate aree urbane di popolosissime metropoli come Pechino, Shanghai e Guangzhou. Tuttavia bastano pochi giorni in uno di questi mostruosi agglomerati per rendersi conto di come, al loro interno, i contrasti e i paradossi siano, sebbene forse meno stridenti, senza dubbio altrettanto presenti e, per certi versi, anche più surreali.

Shanghai può essere considerata, nel suo complesso, la più moderna e occidentalizzata tra le città della Repubblica Popolare. Centro nevralgico dell’impero economico cinese, è una delle città che negli ultimi due decenni ha conosciuto la maggiore espansione su scala globale, tanto a livello economico-industriale, quanto a livello demografico. Simbolo della nuova Cina convertita al capitalismo è, proprio per queste ragioni, la metropoli in cui più che in ogni altra parte del paese passato e futuro entrano quotidianamente in conflitto nei modi più curiosi e inaspettati.
Passeggiando per le sue strade non è difficile imbattersi in piccoli negozi mal tenuti, sporchi e pullulanti di prodotti scadenti che spaziano dall’abbigliamento all’elettronica di pessima qualità, gestiti da solerti proprietari spesso e volentieri dediti a profondi pisolini e occasionalmente attrezzati di pigiama. Basta però voltare l’angolo per imbattersi nelle imponenti e moderne strutture delle banche o dei centri commerciali che, con tanto di doormen in divisa alle porte, spacciano dosi massicce di occidente alla popolazione locale.

Grosse automobili europee solcano l’asfalto di Huaihai Road facendo lo slalom tra scassatissimi scooter elettrici e biciclette cariche all’inverosimile di pacchi e pacchetti guidate da donne col volto nascosto da enormi cappelli di paglia.
Agli angoli delle strade bancarelle improvvisate espongono prodotti alimentari indecifrabili cucinati al momento da donnine verosimilmente ultracentenarie, ricalcando i perfetti stereotipi della China Town newyorkese e mescolando i propri odori con quelli dei ristoranti e dei fast food occidentali di East Nanjing Road.
Lussuosissimi alberghi e moderni uffici situati in grattacieli che oramai spuntano come funghi attorno a Renmin Square si alternano a centri massaggi e parrucchieri dall’aspetto losco che, ci vuol poco a capirlo, nascondono ben altre attività.
Templi buddisti come quello di Jing’an, depositi della millenaria cultura cinese, si ritrovano inglobati tra sopraelevate e avveniristici palazzi nel cuore della città, mentre i prodotti dei grandi brand occidentali venduti a prezzi rialzati nelle boutique di lusso del futuristico distretto finanziario di Pudong si mischiano per le strade ai fedelissimi falsi disponibili nei numerosi “fake market” sparsi in ogni angolo della città. Vere e proprie “mecche del tarocco” che attraggono come mosche i turisti. Ma non solo. L’attrazione verso tutto ciò che è occidentale, anche se non propriamente genuino, è infatti sentimento comune da queste parti.

È qualcosa che, soprattutto a Shanghai, si percepisce nell’aria e si legge negli occhi dei suoi abitanti. Dei giovani soprattutto. Nel modo in cui si vestono, in cui si muovono, nel modo in cui occasionalmente sostituiscono il tradizionale tè verde con il caffè di Starbucks, le serate passate ad accendere fuochi d’artificio con quelle nelle sempre più affollate discoteche e locali notturni.
Nel modo in cui vivono la loro vita di tutti i giorni in una città, e in un paese, che può certamente apparire avanti coi tempi ma che, a volte, ad essi fatica a stare dietro, mantenendo quell’alone di mistero e tradizione orientale che lo rende ancora affascinante e tutto da scoprire.

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