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06-10-2014

#OccupyHK - Lettera di un professore
di Gabriele Battaglia

Come spiegare Occupy ai cinesi? Le categorie sono diverse dalle nostre e la democrazia non è percepita come un universale. E allora, per suscitare una solidarietà più ampia di quella circoscritta agli ambienti della dissidenza, bisogna spiegare l'utilità, la razionalità, di una democrazia realizzata per ottenere il benessere della gente. Ci ha provato un fantomatico "professore" di Hong Kong.

 “In Cina c'è la censura politica. Cerchiamo di condividere la nostra esperienza con i lavoratori della Repubblica Popolare organizzando seminari a cui partecipano anche loro. A questo punto della lotta, il coordinamento tra le lotte di Hong Kong e della Cina continentale è assolutamente cruciale per il futuro del nostro movimento. Se riusciamo a organizzare e a mobilitare quei lavoratori, alla fine le relazioni di potere cambieranno non solo a Hong Kong, ma anche dall'altra parte”.

Parola di Mung Siu Tat, segretario della Hong Kong Confederation of Trade Unions, l'unico sindacato indipendente (dal governo) della “grande Cina”. Un'organizzazione che aderisce a Occupy Central. Dunque le lotte operaie a Hong Kong possono avere successo solo se trovano un legame con quelle, numerosissime, che accadono sul continente. Ma che accadono a singhiozzo.

Anche le campagne più strettamente politiche, come quella in corso, necessitano di una sponda nella grande Cina alle spalle.

Ma come fare, se concetti come diritto individuale, libertà, democrazia, non sono condivisi dalla grande massa dei cinesi della Repubblica Popolare?

Bisogna trovare un codice comune e a volte Internet aiuta.

Un tentativo di spiegare le ragioni del movimento ai continentali si è svolto infatti nei giorni scorsi, quando è circolata su Weixin - il servizio di messaggistica che va per la maggiore – la lettera di un fantomatico "professore" della Chinese University di Hong Kong che spiegava ai cinesi “dall'altra parte” le ragioni della protesta hongkonghina. Le spiegava utilizzando categorie diverse da quelle a cui siamo abituati in Occidente, meno idealiste e molto più dirette al sodo. Insomma, la "democrazia" non è un valore, è una cosa utile.

Cosa succede a Hong Kong? Si chiede la misteriosa lettera.

La gente vuole aprirsi al mondo e ottenere più eguaglianza utilizzando mezzi pacifici, è la spiegazione. Adesso esiste un Chief Executive che è selezionato da 1200 persone e che nulla ha a che fare con la volontà della popolazione. La nuova proposta elettorale – spiega ancora la lettera - dà ancora più diritti a queste 1200 persone e la gente è arrabbiata.

Da dove vengono questi 1200? Qui si punta sull'assurdità della composizione della commissione elettorale che dovrebbe filtrare i candidati al ruolo di Chief Executive.

Ad esempio si dice che 60 membri arrivano dall'industria della pesca e solo 30 dall'educazione. Ma Hong Kong è una città moderna e la pesca ha ormai poco significato economico, e allora perché ancora tutto quel potere? Si consideri poi che solo i “capi” dei settori economici sono rappresentati.

Insomma, sono rappresentati i vertici e non la base.

Nella lettera, si sottolinea soprattutto il problema pratico che tutto ciò comporta. Se favorisci solo il business, non si avvantaggia neppure la società capitalista di Hong Kong, perché aumenta la diseguaglianza e questo frena lo sviluppo economico complessivo. Solo alcuni saranno in grado di arricchirsi, probabilmente con mezzi non ortodossi. Quindi - si spiega - il sistema democratico è pure un prerequisito per eliminare la corruzione che, anche in Cina continentale, è percepito come il problema dei problemi.

Se non ti interessi a Hong Kong - spiega la lettera rivolta ai cinesi continentali - non ti interessi al tuo stesso futuro.

Poi la domanda scomoda: ma se ormai è già tutto deciso dal Partito comunista, perché contesti? Anche qui, l'accortezza consiste nel fatto che non si critica il Partito; si aggira il problema, senza doversi opporre nettamente all'autorità. Il fantomatico professore dice infatti che il Partito ha semplicemente creato delle regole di massima; ma se si entra nei dettagli, dato che ogni scelta politica deve essere approvata dai due terzi del consiglio legislativo di Hong Kong, c'è quindi ancora un margine del tutto legale per opporsi, evitando di ledere l'autorità del Partito.

Per altro, in tutto il testo si usa molto la parola “giusto” e raramente il termine “democratico”, che sarebbe probabilmente troppo sensibile.

Questa lettera cerca di convincere quei cinesi per cui “Hong Kong non è affar mio”, agendo su una leva particolare: il meccanismo di identificazione. Si fa passare quindi il movimento come qualcosa di razionale perché chiede più possibilità di benessere materiale per tutti e in molti potenziali lettori può essere la leva giusta. Si punta a far scattare il ragionamento: “Bè, alla fine hanno pure ragione, anche io farei così”.

Ma c'è un limite. Quante persone leggeranno questa lettera? Weixin è diffuso e il “professore” ha avuto l'accortezza di spedire un testo su una immagine, non un file di testo che è tracciabile per keywords (e quindi censurabile).

Non è però scritta in caratteri semplificati, cioè quelli che da qualche decennio vengono insegnati nella Cina continentale. È in caratteri non semplificati, quelli usati ancora a Hong Kong e Taiwan. È diretta quindi a un pubblico colto, urbano. È su quello che si punta per fare opinione.

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