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28.10.2014

La misera vita a Mosul sotto lo Stato Islamico
di Luca Lampugnani

Un giornalista iracheno è riuscito a rompere la cortina di propaganda targata Stato Islamico raccontando il progressivo peggioramento delle condizioni in cui versa la seconda città più popolosa dell'Iraq, conquistata a giugno dagli uomini del califfo.

Il 10 giugno scorso Mosul, in Iraq, è stata inesorabilmente investita dalla marea nera dello Stato Islamico. Nelle settimane successive all'entrata in città degli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi, di li a poco autoproclamato califfo dei territori conquistati tra Damasco e Baghdad, il gruppo ha proceduto con una vera e propria persecuzione di tutti coloro che potessero essere ritenuti ostili, dagli sciiti ai sunniti contrari all'estremismo jihadista, colpendo con particolare durezza le minoranze cristiane.

In seguito, a Mosul, l'IS si è a tutti gli effetti sostituito allo Stato centrale iracheno. La sua influenza si è estesa a tutti i processi della vita quotidiana della grande città (la seconda in ordine di popolazione dopo la Baghdad), trasformata con la forza nella capitale di uno Stato nello Stato - come del resto può essere considerata Raqqa in Siria.

Inizialmente, nonostante la brutalità raccontata in numerosi report, alcuni degli abitanti sunniti della città irachena avevano salutato con favore l'arrivo dell'allora ISIS. O, per meglio dire, gioivano della fuga a gambe levate dell'Esercito e delle Forze Armate di Baghdad. Quest'ultime, infatti, non potevano dirsi certo particolarmente amate nelle aree sunnite del Paese, conseguenza più che naturale delle politiche pesantemente settarie (in favore sciita) che hanno contraddistinto l'operato dell'ex premier Nuri al-Maliki.

Di pari passo a tale sentimento, la macchina propagandistica dello Stato Islamico (risultata nella sua brutalità particolarmente efficace, fino a questo momento) lavorava e tutt'oggi lavora per dimostrare la competenza e l'abilità del califfato nel gestire gli ampi territori conquistati e le relative città. Non a caso, infatti, sul magazine in lingua inglese diffuso periodicamente in rete dal gruppo - "Dabiq" -, tra le mille deliranti invettive e le foto ritoccate di bandiere jihadiste sventolanti in Vaticano non mancavano, e in grande quantità, immagini di case di cura per anziani perfettamente gestite, di spazzini che puliscono le strade dei centri urbani e di ospedali e altre strutture che lavorano a pieno regime. Una sostanziale messa in pratica, cioè, di quanto affermato dal gruppo recentemente: "uno Stato non può essere stabilito" finché "le esigenze religiose e non (di coloro che sono affini al sentimento jihadista, ndr)" non sono effettivamente soddisfatte.

Ma è davvero così? Il sole splende, sopra le conquiste dello Stato Islamico? Assolutamente no, sostiene Mohammad Moslawi (nome di fantasia), giornalista iracheno a Mosul che ha trovato spazio sul britannico Guardian. Secondo quest'ultimo, forte di numerose interviste a cittadini rimasti in città anche dopo l'avvento del califfato, la situazione è infatti tutt'altro che rosea: vi sono gravi carenze di cibo, acqua ed elettricità, il prezzo dei beni di prima necessità è salito vertiginosamente e i servizi sono al collasso, così come l'economia locale. E la macabra consapevolezza di chi ancora vive tra gli edifici di Mosul è che dalla padella sia avvenuto un passaggio per direttissima alla brace.

Stando a quanto scrive Moslawi, ad esempio, il prezzo del cherosene può dirsi a tutti gli effetti schizzato alle stelle. Giusto per dare qualche numero, quest'ultimo è più che triplicato dallo scorso giugno, passando dai 95 mila dinari iracheni al barile (all'incirca 64 euro) ai 300 mila dinari iracheni attuali (all'incirca 202 euro). Un netto aumento che si deve principalmente alla perdita di controllo da parte dello Stato Islamico su Rabia - riconquistata dai curdi -, città di confine tra Siria e Iraq, centro fondamentale per il passaggio di rifornimenti del califfo. Ancora, rimanendo nel campo delle crescite esponenziali dei prezzi, si consideri che se un Kg di pomodori costava a giugno 260 dinari (20 centesimi di euro), oggi può arrivare fino a 1500 (all'incirca un euro).

"I cittadini (a Mosul, ndr) sono diventati molto poveri, talmente disperati che sarebbero felici chiunque fosse il loro eventuale salvatore dall'IS. Alcuni hanno anche detto che preferiscono l'odiato Esercito iracheno" spiega Dara, in contatto con alcuni amici che abitano a Mosul, da cui è riuscita a scappare pochi mesi fa.

Ad aggravare la situazione, inoltre, è un clima costantemente teso, appesantito dalle continue repressioni e intimidazioni da parte dello Stato Islamico - lo stesso, tuttavia, usa la mano leggera su alcuni leader religiosi ostili, i quali hanno un grande seguito e rischiano, se eccessivamente colpiti, di portare anche ad una protesta popolare interna. Negli ultimi mesi sono aumentate le esecuzioni, pubbliche e non, di chiunque sia considerato una minaccia al califfato: medici, parlamentari e semplici cittadini. Tra questi, Muhannad al-Ugaili, giornalista di origini curde, e Sameera Salih Ali al-Nuaimy, avvocato piuttosto famoso in città che aveva apertamente criticato la distruzione di moschee da parte dell'IS, ribellione che le è costata una condanna a morte per "apostasia".

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