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26 mag 2014

Nuova legge-bavaglio contro le Ong
di Chiara Cruciati

Proposta di due parlamentari di governo: le organizzazioni che ricevono fondi dall’estero dovranno dichiararsi “agenti stranieri” perché fanno gli interessi di Paesi stranieri e non quelli israeliani

Gerusalemme, 26 maggio 2014, Nena News – Un’organizzazione non governativa è un ente che riceve finanziamenti da Paesi esteri e quindi fa gli interessi del Paese finanziatore e dei suoi cittadini. E non dei cittadini israeliani. Questa la definizione di Ong data nella proposta di legge in procinto di essere presentata alla Knesset, il parlamento israeliano, da esponenti di Casa Ebraica e Likud-Beitenu.

Una legge controversa che ha il preciso obiettivo di ostacolare il lavoro delle Ong straniere attive nei Territori Occupati e nello Stato di Israele e considerate “ostili” alle politiche di Tel Aviv. Ma che ha come target anche organizzazioni israeliane che ai vertici dello Stato israeliano non piacciono affatto.

La proposta sarà presentata da Ayelet Shaked di Casa Ebraica (partito nazionalista espressione del movimento dei coloni) e da Robert Ilatov di Likud-Beitenu (il tandem del premier Netanyahu e del ministro degli Esteri). Il disegno di legge segue una serie di precedenti norme altrettanto controverse e aspramente criticate dal mondo delle organizzazioni israeliane e internazionali: la prima nel 2011 introduceva il “reato di boicottaggio” e puniva con multe salate tutte quelle associazioni che aderivano alla campagna globale del BDS e invitavano al boicottaggio dello Stato di Israele; la seconda, approvata lo scorso dicembre sempre su proposta di Ilatov e Shaked da un comitato ministeriale per 8 voti contro 4, introduceva meccanismi di tassazione delle Ong e delle associazioni no profit. Ovvero tutte le organizzazioni finanziate dall’estero e impegnate nella campagna BDS o in campagne per trascinare in tribunale i soldati israeliani, o accusate di incitare al razzismo o di negare l’esistenza di Israele come Stato ebraico e democratico, avrebbero dovuto versare allo Stato 45% del budget.

La nuova legge, che ne è la naturale continuazione, fa un passo in più: le organizzazioni registrate in Israele e finanziate dall’esterno dovranno dichiarare il nome dello Stato da cui ricevono denaro (e, secondo i legislatori israeliani, anche “le regole di ingaggio”), i dettagli dell’assistenza ricevuta e una descrizione completa delle attività svolte e degli impegni nei confronti del Paese estero finanziatore del progetto. Inoltre, nel proprio sito internet l’Ong in questione dovrà etichettarsi come “agente straniero”, mentre sarà cancellato lo status di tax-free di cui finora hanno goduto coloro che ricevevano fondi da fuori: ovvero, i contributi esteri saranno sottoposti alla tassazione israeliana.

“Queste organizzazioni, che operano senza trasparenza in merito agli obiettivi delle loro attività, e sotto l’ombrello di organizzazioni che operano per gli interessi di Israele, non vengono tassate – hanno spiegato i due parlamentari – sebbene i cittadini israeliani non beneficino delle loro attività e gli obiettivi di tali organizzazioni siano gli interessi di Stati esteri”.

Contrario alla proposta il partito Yesh Atid, parte della stessa coalizione di governo, che per bocca della sua esponente alla Knesset, Karin Elharar, ha definito il disegno di legge un danno per l’opinione pubblica israeliana: “La società civile è il cane da guardia del settore pubblico – ha commentato la Elharar – Ogni danno compiuto contro le organizzazioni che operano per i diritti civili e i diritti dei cittadini è un danno per i valori su cui si fonda lo Stato”.

L’ondata di normative e disegni di legge, alcuni già approvati, altri in dirittura d’arrivo, che mirano a limitare l’attività delle Ong straniere e israeliane sono l’espressione di un disagio concreto all’interno dei vertici politici e militari israeliani, seppur la presenza sempre più consistente di organizzazioni straniere (attive per lo più a Gerusalemme, Gaza e Cisgiordania) sul terreno non sia riuscita a cambiare una realtà fatta di discriminazioni, occupazione e apartheid. Eppure l’immagine di Israele che sempre di più viene mostrata alle opinioni pubbliche internazionali è un’immagine sporcata dalle violazioni continue dei diritti umani, di cui spesso le Ong sono la voce e il megafono. E Tel Aviv spera che mettere loro il bavaglio possa limitare in parte la cattiva pubblicità. Nena News

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