Originale: Mondoweiss
http://znetitaly.altervista.org/
27 ottobre 2014

Pulizia etnica a tutti i costi
di Ilan Pappe e  Samer Jaber
Traduzione di Maria Chiara Starace

I pini sono comparsi in Palestina con l’istituzione dello stato di Israele. Generalmente il pino è una specie europea che prima del 20° secolo non si vedeva in Medio Oriente. E’ stata portata in Palestina dai coloni sionisti per due ragioni principali. Primo, dava la sensazione ai nuovi coloni ebrei che il luogo dove erano emigrati era in un certo modo parte dell’Europa. E se la Palestina doveva essere ‘europeizzata’ in questo modo, sarebbe stata anche ‘civilizzata – la popolazione locale inferiore sarebbe stata sostituita da una superiore. Il sionismo non era quindi soltanto il riscatto di una terra antica, era anche il rinnovamento di quello che ai loro occhi era un deserto arabo sia dal punto di vista ecologico che culturale.

La seconda ragione dell’importazione del pino era più pratica: i pini sono stati portati per nascondere la pulizia etnica in Palestina che è avvenuta nel 1947-48 e che ha causato la Catastrofe palestinese, la Nabka.  Il pino che cresce in fretta è stato largamente usato per creare i parchi israeliani nazionali e per scopi ricreativi per nascondere le rovine dei villaggi palestinesi distrutti e dei quartieri che dove erano stati eseguiti sfratti  con la forza nel 1948.

Queste foreste sono state poi presentate come ‘i polmoni verdi’ di Israele che insieme formano un tappeto ecologico che copre una terra che una volta era arida. Il più grande di questi ‘polmoni’ è il Parco Nazionale di Monte Carmelo vicino ad Haifa; uno dei primi progetti con cui si è  cercato di cancellare la vita e la società palestinese che vi era esistita per secoli. Questa foresta si estende su villaggi degni di nota: Ijzim, Umm al-Zinat e Khubbaza che sono scomparsi e che non si possono più trovare su nessuna carta geografica.

Questo metodo non si è fermato nel 1948. Quando Israele ha occupato la Cisgiordania e Gerusalemme nel 1967, i pini sono stati piantati di nuovo per coprire la nuova ondata di villaggi distrutti: Imwas, Yalo e Beit Nuba, nella Valle di Latrun, vicino a Gerusalemme. Al loro posto il ‘polmone verde’ del Parco Canada è sorto come terreno per attività ricreative che nasconde la disumanità dello spopolamento dei villaggi.

Nascondere la pulizia etnica con i pini è probabilmente il metodo più cinico usato da Israele nella sua ricerca di conquistare   quanta più Palestina possibile con il numero minore possibile di palestinesi. Come tutti gli altri mezzi, che saranno descritti in questo articolo, questi si possono trovare in qualsiasi congiuntura storica fin da quando il Sionismo è apparso sulla terra di Palestina.

Un altro mezzo usato nel 1948 e nel 1967 è stato di rinominare i villaggi palestinesi  come insediamenti ebrei – spesso destinando il nome arabo di una comunità palestinese distrutta al nuovo insediamento. Nel 1949 un comitato addetto a dare i nomi ha facilitato la trasformazione dei villaggi distrutti del 1948 ebraizzando i loro nomi arabi; quindi il villaggio palestinese di Lubya è diventato Kibbuz Laviu e la città palestinese di Asqalam è diventata la città israeliana di Ashkelon. Dopo l’occupazione del 1967, l’insediamento di Tekoa è stato costruito accanto al villaggio di Tuqu in Cisgiordania e sulla sua terra.

I mezzi principali, tuttavia, non sono stati gli alberi o l’assegnazione di nomi diversi – è stata ed è ancora, la colonizzazione. Perché questo tentativo riesca, il metodo illegale del 19° secolo deve essere accettato in  perpetuo e approvato dalla società israeliana ebrea, anche nel 2014.

L’espansione colonialista israeliana in Cisgiordania è considerata normale e necessaria dagli israeliani comuni. Per la maggio parte è un diritto storico e per il resto è giustificato come permettere una crescita naturale della popolazione negli insediamenti ebrei esistenti. In effetti la colonizzazione della Cisgiordania ha annesso a Israele grandi parti del territorio (indipendentemente da qualsiasi eventuale accordo di pace futuro). I palestinesi nelle vicinanze degli insediamenti sono soggetti ad altri mezzi di pulizia etnica e a ulteriore esproprio della loro terra, compreso l’assedio con fili spinati, recinzioni, muri, cancelli e carcerazione all’interno dei loro luoghi.

Quindi la pulizia etnica mette in grado Israele di gestire i paesaggi umani e anche quelli geografici della Palestina. Il controllo sul paesaggio non è limitato alla Palestina del 1948 o alla Cisgiordania del 1967, ma è parte essenziale dell’attuale progetto sionista. Dove la terra è ancora palestinese all’interno della linea verde dove vivono i palestinesi sopravvissuti alla Nabka, è limitata da un piano generale spaziale che impedisce qualsiasi permesso di costruzione  di espansione edilizia delle aree concesse alla gente del luogo che sono ufficialmente cittadini di Israele.

La spinta dell’appropriazione  ecologica e spaziale è cambiata negli anni; attualmente è gestita dalle forze politiche israeliane di destra. In passato era la sinistra  sionista che aveva stabilito i fatti reali – senza annunciare pubblicamente le vere intenzioni che c’erano dietro e allo stesso tempo nascondendo le sue azioni con un discorso legale che di proposito ha confuso la legge israeliana, la legge internazionale, la legge giordana e la legge ottomana, per giustificare l’espropriazione della terra come ‘terra dello stato’.

Queste realtà colonialiste sono state stabilite concretamente prima e durante il  cosiddetto “processo di pace” che è iniziato nel1993. Si è domandato ai negoziatori palestinesi di legittimarli tramite accordi politici, cosa che finora si sono rifiutati di fare. L’attuale leadership politica israeliana di destra dichiara pubblicamente il suo desiderio di riempire la Cisgiordania con quelli che chiama insediamenti che in realtà sono colonie del 19° secolo. Non cercano neanche, come facevano i loro predecessori, qualche accordo palestinese e continuano con le loro politiche unilaterali.

Questa politica di pulizia etnica, con mezzi diversi fin dal 1948, è un argomento su cui sono tutti d’accordo, e che quindi lascia pochissima speranza di pace e di riconciliazione. L’attuale sinistra israeliana, che si auto-acclama  ‘blocco della pace’ è disposta  a opporsi a nuovi insediamenti  ma si rifiuta di riconoscere l’ingiustizia storica inflitta ai palestinesi nel 1948 e nega ai palestinesi trasferiti altrove, il loro diritto a ritornare nelle loro case e nella loro patria. La maggior parte dei suoi membri desiderano anche che i palestinesi consentano  all’annessione a Israele dei cosiddetti ‘blocchi di insediamenti’, vaste zone di colonie israeliane illegali in diverse parti della Cisgiordania.

Il rifiuto di riconoscere il Diritto al ritorno e il desiderio di conservare i blocchi di insediamenti, è destinato a mantenere Israele come stato ebraico su grandi parti della Palestina storica mentre lascia ai palestinesi una sovranità limitata su quello che rimane del paese. Questi resti possono diventare lo Stato della Palestina senza alcuna reale sovranità e fattibilità, mentre i palestinesi all’interno di Israele dovrebbero accettare la loro cittadinanza di secondo grado come un fatto della vita in base a un accordo finale.

La strategia della pulizia etnica è commercializzata in modo diverso internamente ed esternamente. E’ basata sulla necessità di ‘preservare l’identità ebraica’ per il pubblico israeliano e all’estero come ‘la necessità di Israele di sicurezza’. Considerati insieme questi due pretesti o scuse formano il consenso di Israele che è dietro alla strategia della pulizia etnica.

Questi concetti sono ampiamente usati in tutto lo spettro politico di Israele e forniscono la struttura per il ‘consenso nazionale’ israeliano. Sostengono anche gli strumenti politici che negano i diritti del popolo locale della Palestina e promuovono lo scopo di mantenere una maggioranza ebraica.

Un altro mezzo di pulizia etnica è il muro della apartheid che circonda le principali comunità palestinesi in Cisgiordania, unito al controllo da parte di Israele degli attraversamenti del confine locale e internazionale. Tutti questi mezzi permettono a Israele di guadagnare il massimo controllo sulla popolazione palestinese con il minimo costo. Allo stesso tempo i coloni israeliani sono collegati con le maggiori città israeliane per mezzo di un sistema sviluppato e moderno di autostrade e circonvallazioni. Queste strade sono state asfaltate in modo tale da non ‘sconvolgere’ i coloni pendolari con la vista dei villaggi o delle città palestinesi e molti di loro arrivano alla fine della giornata senza vedere i palestinesi imprigionati vicino a loro.

Questo desiderio di ‘non vedere’ i palestinesi è evidente quando si ‘naviga’ sui siti delle società immobiliari. E’ difficile trovare qualsiasi riferimento alla presenza palestinese in ognuna delle proprietà o quartieri offerti in vendita.

La principale attrazione citata in questi annunci pubblicitari, è che quelle aree non hanno ‘minacce per la sicurezza’ o che sono situate ‘non lontano da’ una importante città israeliana. Questa pratica di garantire, esplicitamente o implicitamente, agli eventuali acquirenti che la nuova proprietà non avrà arabi nelle sue vicinanze né ora né in futuro, non è limitata a pubblicità fatta in Cisgiordania. All’interno di Israele, in zone come Safad, dove studenti palestinesi  israeliani vanno all’università, c’è un’esplicita campagna pubblicitaria per assicurare che non possano avere appartamenti nella città. E i siti web dichiarano pubblicamente di vendere soltanto agli ebrei facendo notare che la loro proprietà appartiene al Fondo Nazionale Ebraico. Questa scusa viene usata anche in città miste come Haifa e Jaffa per attrarre i compratori ebrei in zone ‘soltanto ebraiche’.

Inoltre, la politica anti-rimpatrio Contro i profughi palestinesi è una  pulizia etnica fatta con altri mezzi. La loro impossibilità di tornare non ha nulla a che fare con questioni di assorbimento o con la capacità del paese, ma con la loro nazionalità. Israele è un paese dove la cittadinanza non ha alcun rapporto con la  nazionalità delle persone. Il giudaismo è una religione che è diventata una nazione attraverso il progetto sionista che ha prodotto Israele. Di conseguenza, gli ebrei-israeliani appartengono alla nazione ebraica, e i palestinesi arabi sono una minoranza. Qualsiasi cittadino ebreo del mondo può diventare cittadino di Israele, mentre un palestinese che non ha altra patria è residente con diritti ineguali o senza alcuna cittadinanza.

Il metodo peggiore di pulizia etnica è stato imposto alla Striscia di Gaza fin dal 2006. I palestinesi sono stati poi nascosti alla vista e al di là del conteggio demografico, imponendo un assedio sul   milione e ottocentomila  persone che vivono là. E’ stata motivata razionalmente da Israele come misura di sicurezza, ma in verità fa parte della sua strategia di pulizia etnica che, in questo caso si può facilmente trasformare in una politica di genocidio. Non c’è da meravigliarsi che lì i palestinesi si oppongano alla pulizia etnica con tutti mezzi che hanno.

Quello che la pulizia etnica ha messo gli israeliani in grado di fare, è stato di dimenticarsi dei palestinesi imprigionati dietro tutti i mezzi che il loro stato ha attuato per prendersi la terra e ‘risolvere’ il problema demografico. Anche quando, disperati, gli abitanti di Gaza si sono opposti al peggiore di questi espedienti, questo non ha colpito la maggior parte degli israeliani. Le immagini della carneficina trasmesse in tutto il mondo, non sembra abbiano commosso la grande maggioranza degli israeliani che hanno continuato, malgrado ciò che la propaganda israeliana cercava di rappresentare, la loro vita normale come avevano fatto prima. Forse in alcune parti di Israele la vita è stata turbata per alcune settimane, ma questo non è bastato a sensibilizzare la società israeliana riguardo ai crimini commessi in loro nome.

Il problema di Israele non è quindi di una politica qui o lì, ma la sua strategia totale che non è cambiata fin dal 1984 ed è altrettanto crudele e di gran lunga più efficace di quella di alcuni autori di pulizia etnica in altri luoghi del Medio Oriente e nel mondo intero.

Il Professor Ilan Pappé  è il Direttore del’ European Center for Palestine Studies [Centro europeo di studi sulla Palestina] all’Università di Exeter, ed è autore di 15 libri, tra  i quali: The Ethnic Cleansing of Palestine (2007)[La pulizia etnica della Palestina],  A History of Modern Palestine: One Land, Two Peoples (2006),  [Una storia della Palestina moderna: Una terra, due popoli],  The War on Gaza (con Noam Chomsky) (2010) [La guerra contro Gaza], e il suo libro più recente, nel 2014, The Idea of Israel [L’idea di Israele].

Samer Jaber è un attivista politico  e ricercatore. E’ il  direttore generale della   Dar el-Karma Inc. per i media, le  Ricerche e Publicazione. Jaber ha un a master universitario in  Sviluppo internazionale Sostenibile preso alla  Brandeis University, e ha studiato alla Kennedy School all’ Università di Harvard e al MIT. Ha scontato sei anni di  reclusione per motivi  politici  nelle carceri di Israele  durante la prima Intifada Palestinese.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/ethnic-cleansing-by-all-means

top