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06/7/14

Ben Gurion, padre di Israele: massacrate donne e bambini

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre». Sembrerebbe Hitler, ma non è lui. «C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti». A parlare non è Himmler, non è Goebbels, ma il “padre” dello Stato d’Israele, David Ben Gurion. Obiettivo di queste “raccomandazioni” affidate alle sue memorie: «Ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba». Letteralmente: pulizia etnica. «Quell’uomo – accusa Paolo Barnard – pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita dell’Olp, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima dell’esplosione del primo razzo Qassam su Sderot in Israele». Problema: la “narrazione” dominante in Occidente ignora questa atroce verità storica in modo sistematico. E’ negazionismo: la stessa infamia che pretende di negare l’abominio di Auschwitz.

«Se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti», dice l’intellettuale ebreo Norman Finkelstein, i cui genitori furono vittime dell’Olocausto. «Adesso anche gli ebrei si sono comportati come nazisti, e tutta la mia anima ne è scossa», si sfoga il 17 novembre 1948 l’allora ministro dell’agricoltura del neonato Israele, Aharon Cizling, dopo i primi massacri compiuti dal nuovo Stato sui palestinesi innocenti. Sempre in quell’anno, dal “New York Times” si leva la voce di Albert Einstein, che definisce l’emergere delle forze di Menachem Begin, futuro premier israeliano, come «un partito fascista per il quale il terrorismo e la menzogna sono gli strumenti». Paolo Barnard cita anche il compianto Edward Said, palestinese e docente di letteratura alla Columbia University di New York, che nel 2008 pubblicò il saggio “Il tradimento degli intellettuali”, puntando il dito contro «la vergognosa ritirata delle migliori menti progressiste d’America di fronte al tabù Israele».

Non vedo, non sento, non parlo: come le “tre scimmiette”, in troppi ignorano deliberatamente «i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra che il Sionismo e Israele Stato avevano commesso e ancora commettono in Palestina, contro un popolo fra i più straziati dell’era contemporanea». Di tradimento si tratta, aggiunge Barnard, «perché in quella tragedia la sproporzione fra i rispettivi torti è così colossale che non riconoscere nel Sionismo e in Israele un “torto marcio”, una colpa grottescamente e atrocemente superiore a qualsiasi cosa la parte araba abbia mai fatto o stia oggi facendo, è ignobile». In altre parole, «è un tradimento della più elementare pietas, del cuore stesso dei Diritti dell’Uomo e della legalità moderna: è complicità nei crimini ebraici in Palestina», dal momento che «l’unica speranza di porre fine alla barbarie», in quelle terre martoriate, «sta nella presa di posizione decisa dell’opinione pubblica occidentale, nella sua ribellione alla narrativa mendace che da 60 anni permette a Israele di torturare un intero popolo innocente e prigioniero nell’indifferenza del mondo che conta, quando non con la sua attiva partecipazione».

Barnard accusa direttamente l’intellighenzia occidentale, la “disattenzione” sospetta di televisioni e giornali, nonché l’indulgenza puntualmente dimostrata, verso il governo di Tel Aviv, da parte di opinion leader italiani come Marco Travaglio, Furio Colombo, Gad Lerner, Umberto Eco, Adriano Sofri, Gustavo Zagrebelsky, Walter Veltroni. «Se gli intellettuali non fanno il loro dovere di denuncia della verità, se cioè non sono disposti a riconoscere ciò che l’evidenza della storia gli sbatte in faccia da decenni, e se non hanno il coraggio di chiamarla pubblicamente col suo nome – che è: pulizia etnica dei palestinesi – mai si arriverà alla pace laggiù». E dato che «l’orrore continua», non denunciarlo significa averne «piena e primaria corresponsabilità». L’ipocrisia, aggiunge Barnard, sta nel fatto che i negazionisti filo-israeliani «possono scrivere le enormità che scrivono sulla tragedia di Gaza, sulla pulizia etnica dei palestinesi», senza essere «ricoperti di vergogna dal mondo della cultura, dai giornalisti e dai politici come lo sarebbe chiunque negasse in pubblico l’orrore patito per decenni dalle vittime dell’apartheid sudafricana», a partire da Nelson Mandela, «o i massacri di pulizia etnica di Srebrenica e in tutta la ex Jugoslavia».

Purtroppo è l’evidenza della storia a parlare: il progetto sionista di una “casa nazionale” ebraica in Palestina nasce molto prima della Shoah, già alla fine dell’800, «con la precisa intenzione di cancellare dalla “Grande Israele” biblica la presenza araba». Popolazione da annientare «attraverso l’uso di qualsiasi mezzo, dall’inganno alla strage, dalla spoliazione violenta alla guerra diretta, fino al terrorismo senza freni». I palestinesi, aggiunge Barnard, erano condannati a priori nel progetto sionista, e lo furono 40 anni prima dell’Olocausto. «Quel progetto è oggi il medesimo, i metodi sono ancor più sadici e rivoltanti, e Israele tenterà di non fermarsi di fronte a nulla e a nessuno nella sua opera di pulizia etnica della Palestina», che peraltro è diventata il motore permanente dell’instabilità geopolitica in tutto il Medio Oriente, seminando la piaga dell’odio.

Per quanto «assassina e ingiustificabile», anche se «non incomprensibile», la violenza arabo-palestinese è sempre «una reazione, disperata e convulsa», di fronte ad oltre un secolo di progetto sionista, e in particolare «a 60 anni di orrori inflitti dallo Stato d’Israele ai civili palestinesi». Atrocità talmente scioccanti da costringere la Commissione dell’Onu per i diritti umani a chiamare per ben tre volte le condotte di Israele «un insulto all’umanità», come avvenuto nel 1977, nel 1985 e nel 2000, prima ancora dell’Operazione Piombo Fuso che ha massacrato oltre 1300 abitanti di Gaza, per lo più civili, compresi i bambini “arrostiti” dalle bombe al fosforo bianco. «La differenza è cruciale», sottolinea Barnard: «Reagire con violenza a violenze immensamente superiori e durate decenni, non è agire violenza». Per questo, «è immorale oltre ogni immaginazione invertire i ruoli di vittima e carnefice nel conflitto israelo-palestinese, ed è quello che sempre accade». Ed è altrettanto immorale «condannare il “terrorismo alla spicciolata” di Hamas e ignorare del tutto il Grande Terrorismo israeliano».

Le prove sotto sono gli occhi di tutti, ingombrano archivi e biblioteche: si tratta di migliaia di documenti schiaccianti, citazioni, libri, atti ufficiali e governativi, rapporti di intelligence americana e inglese, dell’Onu, delle maggiori organizzazioni per i diritti umani del mondo, di intellettuali e politici, nonché testimoni ebrei indignati di fronte a uno spettacolo così insostenibile. Non mancano i saggi che cercano di sintetizzare l’enormità dell’accaduto: dal celebre “La pulizia etnica della Palestina”, dello storico israeliano Ilan Pappe, a “Pity The Nation” di Robert Fisk, fino a “Perché ci odiano”, lavoro dello stesso Barnard pubblicato da Rizzoli. Sterminata la documentazione online da parte di organizzazioni civili ebraiche, anche israeliane: “Jewish voice for peace”, “Btselem”, “Zope Gush Shalom”, “Kibush”, “Rhr Israel”, “Other Israel”. Dati che trovano conferma anche negli archivi di Amnesty International e di Human Rights Watch, oltre che nella libreria delle Nazioni Unite a New York, alla voce “La questione palestinese”.

Dal grande libro dell’orrore: «Ephrahim Katzir, futuro presidente di Israele, nel 1948 mise a punto un veleno chimico per accecare i palestinesi, e ne raccomandò l’uso nel giugno di quell’anno». Ariel Sharon, futuro “macellaio” dei profughi di Sabra e Chatila, prima ancora di diventare premier fu condannato per terrorismo nel 1953 dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per aver «rinchiuso intere famiglie palestinesi nelle loro abitazioni, facendole esplodere». Storica anche la preoccupazione dell’ambasciatore israeliano all’Onu, Abba Eban, che nel 1981 protesta con Menachem Begin: «Il quadro che emerge è di un Israele che selvaggiamente infligge ogni possibile orrore di morte e di angoscia alle popolazioni civili, in una atmosfera che ci ricorda regimi che né io né il signor Begin oseremmo citare per nome». Nel dicembre 1982, nel contesto della guerra in Libano, un’altra risoluzione dell’Onu definisce «un atto di genocidio» il massacro dei palestinesi a Sabra e Chatila, condotto sotto la «personale responsabilità di Ariel Sharon». Ancora nel 2007 il sudafricano John Dugard, “special rapporteur” dell’Onu per i diritti umani, scrive che l’occupazione israeliana non è altro che “apartheid razzista sui palestinesi”, e che il governo di Israele dovrebbe essere processato dalla Corte di Giustizia dell’Aja.

«Esistono prove soverchianti che Israele usa bambini come scudi umani, che lascia morire gli ammalati ai posti di blocco, che manda i soldati a distruggere i macchinari medici nei derelitti ospedali palestinesi», accusa Paolo Barnard. Prove che dimostrano che il governo di Tel Aviv «viola dal 1967 tutte le Convenzioni di Ginevra e i Principi di Norimberga, ammazza i sospettati senza processo e con loro centinaia di innocenti, punisce collettivamente un milione e mezzo di civili esattamente come Saddam Hussein fece con le sue minoranze sciite». Ventimila i civili massacrati solo in Libano, tra il 1982 e il 2006, per poi reclamare lo status di “vittima del terrorismo”. Peccato originale, la storica controversia sul Piano di Spartizione della Palestina del 1947, per la nascita dello Stato di Israele dopo la smisurata tragedia dell’Olocausto: secondo il mainstream occidentale quel piano fu respinto solo dagli arabi, ostili alla consacrazione ufficiale dell’insediamento ebraico, mentre fu lo stesso Ben Gurion – dice Barnard, citando i diari del politico sionista – a rigettare la nuova mappa disegnata dall’Onu, benché privasse i palestinesi di ogni risorsa importante.

La prima guerra arabo-israeliana del 1948, celebrata come eroico atto di resistenza del neonato Stato ebraico, che gli arabi volevano “uccidere nella culla”? «Fu una farsa, dove mai l’esercito ebraico fu in pericolo di sconfitta», replica Barnard. «Tanto è vero che Ben Gurion diresse in quei mesi i suoi soldati migliori alla pulizia etnica dei palestinesi», come confermato sempre dai suoi diari. E la Guerra dei Sei Giorni nel 1967? «Fu un’altra menzogna, dove ancora Israele sapeva in anticipo di vincere facilmente “in 7 giorni”, come disse il capo del Mossad, Meir Amit, a McNamara a Washington prima delle ostilità, mentre l’egiziano Nasser tentava disperatamente di mediare una pace», come si evince dagli archivi desecretati della Johnson Library, negli Usa. E via così, fino agli incontri di Camp David nel 2000: «Furono un inganno per distruggere Arafat». Barnard lo dimostra nel saggio “Perché ci odiano”, intervistando i mediatori di Clinton. «I governi di Israele – aggiunge l’ex inviato di “Report” – hanno redatto 4 piani in sei anni per la distruzione dell’Autorità Nazionale Palestinese sancita dagli accordi di Oslo, mentre fingevano di volere la pace».

Quei piani si chiamavano “Fields of Thorns”, “Dagan”, “The Destruction of the PA”, “Eitam”. Storia capovolta fin dai preliminari, persino nel caso della sanguinosa escalation per il controllo della Striscia: «La tregua con Hamas che ha preceduto l’aggressione a Gaza fu rotta da Israele per prima il 4 novembre del 2008», come confermano il “Guardian” e lo stesso quotidiano israeliano “Haaretz”, che denunciano «l’assassino di 6 palestinesi». E queste, aggiunge Barnard, sono solo briciole della mole di menzogne che ci hanno raccontato da sempre sulla “epopea” sionista: «Ricordo ai nostri “intellettuali” di andarle a leggere, queste cose, che sono in libreria accessibili a tutti, prima di emettere sentenze». Da parte loro, siamo di fronte a una «ignoranza non scusabile», perché l’evidenza storica traccia di Israele un profilo inquietante: «Uno Stato innanzitutto razzista, poi criminale di guerra, poi terrorista, poi “canaglia”, poi persino neonazista nelle sue condotte come potere occupante».

Problema: continuare a seppellire «la grottesca sproporzione fra il torto di Israele e quello palestinese» sotto quello che appare «un oceano di menzogne e di ipocrisia», nella più totale indifferenza di fronte allo strazio infinito di un popolo, «causa e causerà ancora morti, agonie, inferno in terra per esseri umani come noi, palestinesi e israeliani». Sono più di cento anni, conclude Barnard, che il nostro mondo occidentale sta umiliando i palestinesi: li sta «tradendo, derubando, straziando, con Israele come suo sicario». Per di più, da almeno sessant’anni chiamiamo quelle vittime “terroristi” e i terroristi “vittime”. «Questo è orribile, contorce le coscienze. Non ci meravigliamo poi se i palestinesi e i loro sostenitori nel mondo islamico finiscono per odiarci. Dio sa quanta ragione hanno».

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