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ago 25th, 2014

Libia nel caos: lo Stato non esiste. Miliziani contro miliziani per il controllo dell’aeroporto di Tripoli
di Guido Keller

Le notizie che arrivano dalla Libia sono sempre più preoccupanti: dalla Rivoluzione del 2011 il paese non ha mai conosciuto un giorno di pace, con milizie ostili che lottano per il controllo di settori dell’economia o di parti del territorio, mafiosi, criminali e trafficanti di uomini e di armi che attraversano il deserto, scioperi continui che paralizzano il già fragile sistema produttivo, spinte islamiste, venti di secessione delle macro-regioni e persino gruppi di fedeli all’ancien regime che stazionano nel sud del paese.
Quello che è certo è che lo stato centrale, di fatto, non esiste e forse non è mai esistito, tant’è che il neoparlamento eletto a giugno si è ritirato in una sorta di Aventino libico, a Tobruk, in attesa che si possa rientrare nella capitale ed accedere ad un minimo di sistema democratico.
E, caos nel caos, il Parlamento uscente, sostituito da quello che al momento si trova a Tobruk, ha nominato l’ennesimo nuovo premier e ha incaricato Omar al-Hassi di formare un Governo di salvezza nazionale.
Ieri è stato mandato a casa anche il ministro della Difesa, accusato di “aver fornito armi” a milizie irregolari. Ne ha dato notizia al-Arabiya, la quale ha riportato anche che il parlamento ha incaricato il capo di Stato maggiore dell’esercito, Abdulati al-Obeidi. Ma era stato proprio al-Obeidi, poche settimane fa, ad ammettere davanti ai parlamentari di non avere il controllo dei militari e ad ammonire che le Forze armate del Paese erano “sull’orlo del collasso”.
In questo momento sono due i teatri degli scontri: ad est ad opporsi alle milizie jihadiste di Ansar al-Sharia e delle Brigate “17 febbraio” vi è l’ex generale Khalifa Haftar, che sembra essersi attestato su posizioni difensive dopo essere stato costretto a retrocedere. Haftar è considerato dai suoi detrattori un uomo della Cia in quanto è stato liberato dagli americani nel 1987 in Ciad, dov’era prigioniero in seguito alla disastrosa “Guerra delle Toyota”, quindi è stato portato negli Usa e ha fatto ritorno in Libia nel 2011, quando ha comandato la piazza di Bengasi nel’insurrezione contro Gheddafi.
A Tripoli stanno combattendo le milizie della tribù di Zintan contro quelle islamiste della tribù di Misurata, sostenitrici dell’ex premier (pure islamista) Ahmed Miitig: nonostante nei giorni scorsi le milizie di Misurata siano state fatte bersaglio di due raid di aerei dall’appartenenza sconosciuta, azione che ha provocato 15 morti, sono riuscite a conquistare dopo aspri combattimenti l’aeroporto della capitale, controllato dai miliziani di Zeitan fin dall’epoca della Rivoluzione.
Il New York Times, che ha citato “quattro differenti alti funzionari” del governo Usa, ha riportato che gli aerei anonimi sarebbero stati di Emirati Arabi Uniti e Egitto, che però nega.
L’aeroporto, che era stato chiuso lo scorso 31 luglio, è oggi completamente distrutto, come pure gli aerei che erano lì parcheggiati.
L’unica ambasciata occidentale rimasta aperta in una Tripoli spettrale è quella italiana, anche perché sono molti gli interessi del nostro paese in Libia e proprio l’Italia aveva ricevuto dal G8 di Lough Erne (giugno 2013) il mandato di stabilizzare il paese nordafricano, da dove, tra l’altro, oggi partono le numerose carrette del marre cariche di immigrati.

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