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21 marzo 2014

Turchia, cosa c’è dietro la censura di Twitter
di Nicola Mirenzi

Lo scontro con l'ex amico Fetullah Gulen è alla base dello scandalo corruzione, delle intercettazioni del primo ministro pubblicate su youtube che sono l'antefatto di ciò che sta accadendo

Un boomerang. La censura di Twitter decisa nella notte dal primo ministro Recep Tayyip Erdogan gli si è rivolta contro già nella prima mattinata. Gli utenti turchi non solo sono riusciti ad aggirare il blocco ma sul social media l’hashtag #TurkeyBlockedTwitter è diventato un trending mondiale, trasformando il caso in una notizia internazionale e sporcando ancora di più l’immagine già danneggiata del primo ministro turco.

In più c’è che il presidente della Repubblica turca Abdullah Gul è subito intervenuto per condannare la scelta del governo, dicendo che «è inaccettabile una censura totale dei social network». E paradosso dei paradossi: lo ha scritto su Twitter.

Nel pomeriggio di ieri Erdogan aveva tenuto un comizio a Bursa durante il quale aveva promesso: «Estirperemo Twitter». La decisione si bloccarlo è stata presa dall’ente turco delle comunicazioni, avvalendosi di una nuova legge (molto contestata) fatta approvare al parlamento dal primo ministro che consente a tale istituto di censurare contenuti internet considerati illegali o violatrici della privacy.

La battaglia anti-web è diventata un cavallo di battaglia di Erdogan ma essa è solo il sintomo di una guerra molto più dura che si sta combattendo più o meno apertamente da mesi nel blocco di potere che ha retto la Turchia negli ultimi undici anni, cioè quello dell’islam politico. Ed è per questo che la presa di posizione di Gul – appartenente allo stesso partito di Erdogan, l’Akp – è molto significativa.

I fatti sono questi. Erdogan e il suo esecutivo sono stati investiti da uno scandalo corruzione che ha portato agli arresti di uomini vicinissimi a loro (tra cui figli e imprenditori amici) costringendoli a un rimpasto di governo che però non ha calmato le acque. Anzi.

Nelle ultime settimane su youtube sono state pubblicate delle telefonate intercettate tra Erdogan e suo figlio Bilal (coinvolto nel caso giudiziario) che dimostrerebbero un coinvolgimento diretto del premier e che hanno imbarazzato non poco il leader islamico moderato turco.

La diffusione capillare di queste registrazioni online – grazie al megafono dei social network – è ciò che ha portato alla decisione di oscurare Twitter nel tentativo di frenare il disgusto dell’opinione pubblica. Questa però è solo la punta dell’iceberg. Erdogan sa che alla radice il problema è come queste registrazioni siano potute uscire dalle procure e finire nelle mani di sconosciuti che li pubblicano serialmente online. E si arriva così al cuore della questione.

Nella magistratura e nella polizia turca lavorano oggi moltissime persone vicine a Fetullah Gulen, un intellettuale islamico auto-esiliatosi negli Stati Uniti dopo l’ultimo colpo di stato militare dell’esercito in Turchia e divenuto – dopo essere stato uno dei suoi massimi sodali – il nemico giurato di Erdogan.

La sua colpa è quella di aver criticato nell’ultimo anno diverse scelte di Erdogan e soprattutto quella di reprimere violentemente le prosteste scoppiate nel giugno dell’anno scorso per la difesa di parco Gezi.

Erdogan e Gulen hanno lottato insieme per diminuire il peso dell’esercito nella vita turca. E dopo esserci riusciti, le differenze tra i due sono venute a galla.

Per cercare di frenare Gulen – al quale fa riferimento diretto una forte rete editoriale, culturale e religiosa – Erdogan ha chiuso le scuole preparatorie all’università gestite dal network dell’imam (e che hanno formato buona parte degli uomini che poi sono finiti nella magistratura e nella polizia), ha promosso purghe e licenziamenti tra i magistrati e tra i vertici e nella base dei poliziotti (quelli che hanno ordinato gli arresti derivanti dallo scandalo corruzione).

Nonostante ciò Gulen non è arretrato. All’inizio di questa settimane in una lunga intervista al quotidiano Zaman (a lui vicino) ha detto che il governo di Erdogan «è dieci volte peggio della dittatura militare», invitando i suoi ad avere pazienza e tenere duro. Il conflitto tra i due infatti non è destinato a finire così facilmente. Esso avrà una ricaduta dire il 30 marzo, quando ci sarà il primo test per valutare la tenuta del partito di Erdogan: le elezioni locali. Ad agosto ci sarà il secondo: le elezioni del presidente della Repubblica. Da come andranno questi esami si valuterà la forza che conserva il primo ministro. Mai stato così in forse come ora.

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