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08/09/2014

“Non violenza e disobbedienza civile, solo così salveremo il pianeta”
di Lorenzo Vendemiale

La proposta è di Jeremy Brecher, scrittore e storico americano, conosciuto per le sue “crociate” ambientaliste: “L’importanza di certe parti del mondo è tale che esse possono appartenere solo al popolo. Il governo ne è l’amministratore fiduciario, ma troppo spesso non agisce nel nome del bene pubblico”

Una nuova, grande “rivoluzione della nonviolenza” in difesa della Terra ed in particolare del clima globale. La proposta viene da Jeremy Brecher, scrittore e storico americano, molto attivo e conosciuto negli Stati Uniti per le sue “crociate” ambientaliste. Che fin qui, però, non hanno raggiunto i risultati sperati, a causa dei troppi interessi economici che coinvolgono governi e multinazionali. È tempo, allora, di radicalizzare la lotta, portandola sui binari della “disobbedienza civile”. E di “massificarla”, riunendo in un unico fronte tutti i movimenti, anche di natura diversa, che possono avere a cuore la preservazione del pianeta. 

Brecher lancia la sua proposta in una lunga intervista alla rivista online “Salon”. Lo studioso americano cita Gandhi, fa riferimento alla teoria della “disobbedienza civile” di Henry David Thoreau. Richiama il dibattito sul “diritto alla resistenza” che ha interessato tutti i più grandi teorici del potere della storia, da Thomas Hobbes a John Locke. Ma non si allontana mai dalla concretezza del presente: come la costruzione del “Keystone XL”, l’ampliamento del oleodotto che collega Canada e Stati Uniti, e che ha scatenato grandi polemiche in entrambi i Paesi. “Quando Barack Obama autorizza il progetto ha il potere di farlo, ma viene meno al dovere di difendere la proprietà pubblica dell’atmosfera, violando uno dei principi fondamentali della costituzione”, afferma Brecher.  

Il Keystone pipeline esemplifica uno degli argomenti centrali del Brecher-pensiero: una ribellione nei confronti dei governi è lecita, perché la politica non rispetta le leggi “non scritte”. “L’importanza di certe parti del mondo è tale che esse possono appartenere solo al popolo. Il governo ne è l’amministratore fiduciario, ma nella gestione deve pensare esclusivamente al bene pubblico, e non all’interesse di parti terze. Come spesso avviene”. Giusto, quindi, non rispettare normative, autorizzazioni e permessi, che – pur essendo perfettamente legali – danno il via libera a “ecomostri” o a attività altamente inquinanti.  

La rivoluzione, però, per avere risultati dev’essere di massa. È un’altra delle convinzioni di Brecher, che sottolinea come spesso le campagne degli ambientalisti vengano malviste dall’opinione pubblica. Colpa delle multinazionali, che astutamente portano dalla loro parte sindacati e lavoratori: “Il ricatto delle aziende è chiaro: se non si fa come dicono, loro se ne vanno e lasciano migliaia di famiglia senza stipendio”. Così, la battaglia si trasforma in una scelta fra diritto al lavoro o diritto alla salute: qualcosa che anche l’Italia conosce drammaticamente bene, come dimostra ad esempio il caso storico dell’Ilva a Taranto. “Ma entrambi sono dei diritti fondamentali, noi non dovremmo scegliere tra l’uno è l’altro. È una vergogna che la società lo permetta”.  

Per questo Brecher propone un nuovo patto fondativo tra tutte le forze in causa, a livello mondiale: “Se il problema è globale, serve una soluzione globale”. Il primo passo, a settembre, sarà una marcia popolare a New York in difesa del clima. “Ma questo dev’essere solo il primo passo, per farci conoscere, per cancellare l’immagine distorta che la gente ha degli ambientalisti”. Nelle intenzioni dello studioso americano, presto nascerà una grande coalizione a difesa dell’ambiente: “Sogno di riuscire a comporre un fronte unico, che riunisca tanti gruppi diversi tra loro: ecologisti, comunità, lavoratori e gruppi religiosi. Chiunque abbia a cuore la salute del pianeta deve partecipare. La nostra battaglia è la battaglia di tutti”. 

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