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8 aprile 2014

Esigiamo prima di tutto il disarmo atomico!
Risposta all’appello di Alex Zanotelli: “in piedi costruttori di pace!”
di Alfonso Navarra
obiettore alle spese militari e nucleari – vicepresidente di Energia Felice


L'appello di Alex Zanotelli, intitolato: “IN PIEDI, COSTRUTTORI DI PACE!” si apre con una vibrante "protesta contro la guerra, che è tornata ad essere un fatto normale, come lo è stata purtroppo nel XX secolo, che si è aperto con quella spaventosa Prima Guerra Mondiale".
A 100 anni dal 1914 la situazione è, a suo ed anche a mio parere, peggiorata, e non solo perché, per quanto mi pare di capire, "le guerre sono state sempre più spaventose, perché combattute con armi sempre più sofisticate".
La situazione atomica, con la spada di Damocle sempre pendente della guerra nucleare “anche per caso o per errore”, ha segnato un salto di qualità negativo; situazione che così viene denunciata da "ESIGETE! il disarmo nucleare totale" (EDIESSE), il testamento spirituale di Stéphane Hessel e Albert Jacquard:
"E' un dato di fatto che l'Umanità potrebbe prendere l'iniziativa di far sparire se stessa... forse anche nei prossimi giorni... Attualmente stiamo vivendo una fase di sproporzione straordinaria tra i problemi che suscitano l’interesse appassionato delle società umane e la posta in gioco che è la fine deliberata della nostra specie. Tutto è pronto per concludere una storia che ha avuto inizio diversi milioni di anni fa facendola finire nell’indifferenza, per delle dispute marginali."
Zanotelli giustamente mette in rilievo la dimensione abnorme che hanno assunto le spese militari mondiali, avviate quest'anno sui 1.800 miliardi di dollari.
Hessel sottolinea invece che la realizzazione della bomba atomica non si limita semplicemente ad accrescere quantitativamente la capacità distruttiva, come ha fatto per millenni l'immaginazione dei militari e degli ingegneri. Essere entrati nell'era nucleare militare significa che "nulla è più come prima".
"La differenza radicale, nell’era nucleare militare, consiste nel fatto che in caso di guerra nucleare non vi sarebbero più «vincitori», ma soltanto «vinti», senza contare che gli eventuali sopravvissuti si troverebbero in una situazione assolutamente spaventosa, per non dire «apocalittica», e ciò indipendentemente dal modo in cui la guerra ha avuto inizio."
Gli Stati, attraverso i loro governanti, continuano a ragionare imperterriti in termini di "dissuasione", ma la stessa logica tecnica degli apparati costruiti su queste armi conduce in seguito a ciò alla regola principe della competizione atomica: CHI SPARA PER PRIMO VINCE (se riesce ad impedire la reazione del "nemico").
Ecco che quindi si arriva allo "stato di allerta permanente" di circa 2.000 testate sulle 20.000 bombe nucleari attualmente esistenti.
Hessel spiega: "Ciò significa che la decisione di lanciare un attacco (o una risposta) nucleare sarebbe presa da una sola persona (un capo di Stato) e in un tempo, nel caso di una riposta, al massimo di qualche minuto, mentre si tratterebbe di una decisione gravissima! In effetti, i missili della risposta devono imperativamente essere lanciati prima di poter essere distrutti da quelli del nemico, cioè al massimo quindici minuti dopo l’apparizione di uno o più missili nemici su uno schermo radar. Il tempo poi per raggiungere il bersaglio varia tra venti e quaranta minuti secondo la distanza (la velocità dei missili essendo intorno ai 25.000 km all’ora)."
E propone alcuni esempi per dare un'idea più concreta del rischio colossale che implica questo stato di allerta massimo e permanente, tra i quali quello del 1995, quando Boris Eltsin decise fortunatamente per il meglio. Non rispose ad un "attacco" apparso improvvisamente sugli schermi radar dell'esercito russo: il classico falso allarme dei computer, come ce ne sono ancora oggi tanti, una sonda meteorologica norvegese scambiata per un missile nucleare!
Il punto è che guerre locali e tensioni internazionali, alimentate da logiche di potenza e corsa agli armamenti, possono rendere drammatica la scelta di fronte al dilemma: "Quello che mi segnala lo schermo radar, i punti luminosi che potrebbero essere uno sciame di missili, è realtà o illusione?"
Nel 1995 i rapporti tra USA e Russia erano, diciamo, quasi idilliaci. Ma cosa accadrebbe oggi tra Putin ed Obama, piuttosto in attrito, se, ad esempio, la crisi ucraina, già pur grave, dovesse ulteriormente degenerare?
Immaginiamo. Lo Stato Maggiore comunica allo Zar Vladimir che il Centro di Avvistamento di Vattelapeskich segnala sul radar 1.000 missili in arrivo sul territorio russo.
Mettiamoci nei suoi panni. Cosa potrebbe pensare il leader russo nei tre minuti che ha a disposizione per decidere?
Ipotesi 1.
"Non può che essere un errore dei nostri computer. Io e Obama siamo ai ferri corti per la NATO che vuole espandersi a nostre spese, ma non fino a questo punto. Uso la linea rossa e dico per telefono al collega di Washington che ho questo problema e che ho stabilito di non attivare una ritorsione facendogli fiducia. Ad ogni buon rendere."
Ipotesi 2
"So che da tempo questi cani di americani stanno lavorando ad un primo colpo nucleare contro di noi. Io credevo lo facessero soltanto per ribadire la loro superiorità globale ma purtroppo non escludo che qualche pazzo al Pentagono abbia deciso di fare sul serio. Non a caso hanno messo su degli "scudi" globali e locali di missili antimissile: se colpiscono per primi le nostre basi eliminano una buona quantità delle nostre armi. Credono di poter intercettare a volo i missili che lanciamo in risposta dalle basi superstiti: dimostrerò però agli sporchi Yankee che si sbagliano di grosso. Ordine di lancio subito con tutte le nostre potenzialità. Avvisare i sottomarini, specie quelli nascosti sotto la calotta artica. Suvvia, amici, capi e generali della Grande Patria Russa, affrettiamoci a rifugiarci nel bunker sotterraneo che abbiamo predisposto per questa straordinaria ma non imprevista emergenza."

Ipotesi 3
"Quegli imbecilli di americani magari si sono lasciati ingannare da un errore dei loro computer. Attaccano perché si credono attaccati. Ma ormai la frittata è fatta. Dobbiamo fare la nostra parte secondo i piani previsti? Non c'è bisogno nemmeno di rispondere perché 1.000 atomiche che esplodono determinerebbero un "inverno nucleare" apocalittico. Forse qualche scimmia umana da qualche parte ce la farà a sopravvivere, ma sicuramente la civiltà sotto ogni aspetto avrà termine. A dire il vero la distruzione dell'ozono atmosferico farebbe sparire anche la gran parte delle specie viventi..."
Insomma, a pensarci bene non c’è che una conclusione: dobbiamo uscire da questa trappola della "deterrenza nucleare" ed esigere subito un disarmo nucleare totale! Questa è la primissima cosa che dobbiamo avere noi stessi nella nostra testa per poterla poi conficcare nelle dure cervici dei nostri governanti.
"Perché - ci ricorda Hessel - se è certo importante instaurare un buon sistema educativo, o un buon sistema sanitario, ci si deve chiedere: a che cosa questi serviranno se prima di tutto la minaccia di un conflitto nucleare non sarà stata eliminata?"
Giuseppe Bruzzone, il nostro obiettore di coscienza “seguace di Franco Fornari”, è uno dei pochi pacifisti che, in linea con queste considerazioni, ha fatto ben propria la preoccupazione di farsi attivi per non finire radioattivi: “Stiamo veramente pensando al pericolo che ci sovrasta con la guerra atomica che potrebbe essere scatenata da – per adesso – 9 Stati che detengono 20.000 testate? Pare che la cosa non ci riguardi, si va avanti senza fare alcunché! La nostra intelligenza, il nostro saper stare al mondo è tutto qui, la nostra voglia di vivere, idem, il nostro piacere di raccontare agli amici quanto siamo forti nei rapporti amorosi non ha evoluzione?
A me viene in mente Sansone ed il suo urlo: "......muoia Sansone con tutti i Filistei! "
Urlo già rimbombato nella Storia.
Solo che, oggi, il Tempio è la Terra e i Filistei siamo tutti noi che la abitiamo ! E questa potenziale morte per ignavia, per non essere intervenuti in tempo per impedirla, ci rimarrebbe in gola.”

La situazione atomica mostra l'abisso verso cui conduce l'idea e la pratica della guerra, che è un male incontenibile, mai purtroppo dismesso, scatenante il massimo possibile di violenza e di distruzione.
Non possiamo perciò consentire l'ipocrisia degli interventi bellici spacciati per "missioni di pace". Tutti quelli ad esempio ricordati solo per l'Italia da Alex Zanotelli: "Sulla scia della strategia USA/NATO, le forze armate italiane sono impegnate in 27 operazioni militari internazionali dalla Georgia all’Afghanistan. Sulla stessa spinta, in questi due decenni abbiamo partecipato alle guerre del Golfo (1991), Somalia (’94-’95), Bosnia-Herzegovina ( ’96-’99), Congo (’96-’99), Iugoslavia (’99), Afghanistan (2001), Iraq (2003), Libia (2011). Milioni di morti! Solo la guerra in Congo ha fatto almeno 4 milioni di morti! E miliardi di dollari per fare tutte queste guerre!".
Zanotelli fa benissimo, con il suo intervento, a “correggere” ed integrare l’appello per l’Arena di Pace di Verona, “colpevole” di glissare sul rapporto tra riarmo e conflitti in corso, e quindi sulla necessità che il disarmo si sposi alla “diserzione dalle guerre”.
Le guerre tradizionali oggi sono come focolai accesi gettati in giro qui e la nell'ambiente circoscritto e chiuso della Terra trasformata in santabarbara nucleare: ogni scintilla può essere causa dell'esplosione generale!
E - sempre per restare nella metafora dei fuochi e degli incendi - la corsa alle armi è paragonabile al preparare le torce per i piromani...
Ma crediamo davvero che tutto il baraccone di cui stiamo parlando sorga e prosperi soltanto per gli interessi economici dei mercanti di torce?
L'analisi che a questo punto introduce Zanotelli propone un significato tutto razionale allo sforzo bellico, all'accendere fuochi nel Pianeta-polveriera: l'unico scopo delle guerre di tutti i tipi che osserviamo è " il controllo delle fonti energetiche e delle materie prime per permettere al 20% del mondo di continuare a vivere da nababbi, consumando l’86% delle risorse del Pianeta".
Le guerre sarebbero il mezzo dell'avidità di chi ha per tenere sotto controllo la possibile ribellione di chi non ha.
Ora, nel mondo contemporaneo, la “megamacchina della finanza globale” (copyright Luciano Gallino), che produce l’1% degli “straricchi” – tra i quali le 10.000 persone contate nel mondo che la controllano - aggregante al proprio carro da complici il 10% dei ricchi, contro il restante 90% (anche esso debitamente stratificato), ha oggi assunto sì un ruolo preminente, ma non tanto da avere cancellato gli Stati e i complessi militari industriali energetici ad essi legati.
Anche Stéphane Hessel parla di “dittatura della Finanza”, che potrebbe fare il paio con “l’Impero del denaro” di cui ragiona Zanotelli; ma, per come la vedo io, sarebbe un progresso storico se oggi Wall Street comandasse a bacchetta il Pentagono, se la logica del profitto monetario avesse mandato in pensione quella della potenza, se il calcolo egoistico fondato sull’avidità di accumulare per sé avesse preso del tutto il posto della brama di potere che mira a fare degli altri dei servi, strumenti del proprio arbitrario volere.


A pensarci bene, non è una sorta di cortocircuito mentale attribuire natura essenzialmente “razionale” (di calcolo utilitaristico costi/benefici) ad un fenomeno che nel suo estrinsecarsi manifesta con ogni evidenza il massimo di “irrazionalità”, nello scatenamento delle violenze, dei comportamenti sfrenati, delle emozioni distruttive? Immancabilmente vediamo che nelle guerre gli omicidi si accompagnano agli stupri e a ogni genere di atto sadico e che diventi rarissimo un minimo di riguardo per quelle categorie, come i vecchi e i bambini, che di solito, in tempo di pace, sono rispettate perché deboli.
Nel 1932 Albert Einstein aprì una corrispondenza con Sigmund Freud esprimendo la sensazione di sgomento e di impotenza di tante persone di fronte al fenomeno della guerra (che aveva travolto la scintillante civiltà europea della Belle Epoque) e chiedendo allo studioso della vita istintiva di aiutarlo ad affrontare questo angoscioso “mistero” della bestialità umana risorgente.
Einstein si chiedeva come mai le masse si lascino trascinare ed asservire da una minoranza che ha interessi particolari nel fare la guerra, e avanzava l'ipotesi che l'uomo alberghi e coltivi in sé il bisogno di odiare e di distruggere, bisogno che verrebbe facilmente aizzato e portato alle bassezze di una psicosi
collettiva. Freud gli rispose che quella ipotesi coincideva con la realtà psicologica della “pulsione di morte” e che gli uomini, gratta gratta, sotto la esile patina della civiltà, erano ancora al livello di barbari.
Molti psicologi che hanno riflettuto sulla guerra in epoche più
recenti condividono questo giudizio e considerano anche loro il fatto bellico come un fenomeno psicotico ma sempre covante sotto le ceneri dell’animo umano.
Franco Fornari, la cui memoria mi è costantemente richiamata dal citato amico Giuseppe Bruzzone (consapevolissimo delle peculiarità della “situazione atomica” e della necessità di attivare la “responsabilità personale”), è stato un grande psicoanalista italiano, presidente della SPI, purtroppo prematuramente scomparso, che ha studiato approfonditamente la guerra arrivando a una diagnosi psicologica: la guerra era per lui una “elaborazione paranoica del lutto”. Questo concetto della dinamica paranoica è sviluppato da Fornari in “Psicanalisi della guerra atomica” (Edizioni di Comunità, 1964) e in “Psicanalisi della guerra” (Feltrinelli, 1966). Mi provo a spiegarlo attingendo alle capacità semplificatorie e divulgative di Clotilde Masina Buraggi che ha scritto su “Psicopatologia della guerra” nella rivista “Medico e bambino” (luglio 1999).
E' chiaro che liberarsi delle proprie angosce scaricandole, “proiettandole” su un altro, il capro espiatorio, ci fa sentire alleggeriti delle nostre parti negative. "E' stato lui, è colpa sua, io non c'entro": chi di noi può dire di non avere mai detto o pensato frasi del genere? Quando però questa modalità proiettiva è presente nell'inconscio con quote troppo massicce e impedisce altri funzionamenti più maturi, siamo di fronte alla psicosi. E' interessante notare che qualche volta il capro espiatorio è completamente innocente dei mali che gli vengono attribuiti, ma più spesso viene scelto a questo scopo una persona o un gruppo che possiede davvero qualcuna delle caratteristiche negative che noi temiamo, sia come singoli che come collettività, specie in tempo di crisi, anche se le possiede in proporzione molto minore di quello che noi presumiamo.
E' probabile che le persone perseguitate dall’Inquisizione cattolica come streghe nei secoli scorsi fossero donne asociali e un po’ disturbate di mente ma certamente non potevano “ungere” per diffondere la peste o amoreggiare con Satana nei famosi sabba!
“La paranoia – scrive la Buraggi - genera in chi la sente, odio e sentimenti di vendetta, in una escalation distruttiva che si radicalizza sempre più man mano che cresce il senso di persecuzione e man mano che ci si difende da questo senso di persecuzione ricorrendo a difese di tipo maniacale: "Noi siamo più forti di loro e se non stanno buoni li faremo a pezzi". Allora si passa dall'idea di
avversario all'idea di nemico”: la paranoia, insomma, quando diventa fenomeno
collettivo, con gruppi trainanti che aizzano scientemente in questo senso, genera la guerra.
Quanto scritto da Fornari (e riassunto in modo semplificato dalla Buraggi) vale specificatamente per le Masse che si lasciano abbindolare e manipolare perché “irrazionali” e “immature”, “portate alla paranoia”. Ma il Potere che le irretisce è esso, di converso, “razionale” e “maturo”, immune dall’abbaglio paranoico, pur in una spietata logica di calcolo egoistico?
Proprio la situazione atomica dovrebbe farci rivolgere l’attenzione anche al rapporto più diretto tra guerre e Potere con la p maiuscola; e non solo nel senso strumentale del rafforzamento della posizione dell’élite (qualche volta un dittatore unico) al comando per ridurre al silenzio l’opposizione politica e sociale. In un senso molto più profondo, legato alla natura parossistica, imprevedibile, irrazionale delle cose umane: esisterebbe un rapporto tra il potere e l’angoscia di morte che viene illusoriamente superata proprio dando la morte e ad essa sopravvivendo. E’ il sociologo e scrittore Elias Canetti che trova la “volontà di morte” quale potenza che guida gli esseri umani ed essenza del “Potere” che è insieme prodotto e padrone della “Massa”.
In “Massa e potere” (Adelphi, 1960) Canetti delinea l’essenza di quest’ultimo nella “potenza che si manifesta nell’istante di sopravvivere”. Il potente è in primo luogo il “sopravvissuto”, l’unico superstite di fronte alla distruzione dei suoi simili; il suo trono poggia su mucchi sterminati di cadaveri: «Il più antico ordine -impartito già in epoca estremamente remota, se si tratta di uomini- è una sentenza di morte, la quale costringe la vittima a fuggire. Sarà bene pensarci quando si parla dell’ordine fra gli uomini».
Il fine ultimo sarà la soppressione degli altri «per essere l’unico, oppure, nella forma più mitigata e frequente, il desiderio di servirsi degli altri per divenire l’unico con il loro aiuto».
L’atto del comandare ha la sua base originaria, lo si è già detto, nella minaccia di infliggere la morte, funzionante come una “spina” che si conficca in chi la riceve, che continuerà a tormentare e da cui ci si potrà liberare solo trasmettendo a un altro lo stesso identico comando. L’angoscia del potente è vedersi sottratta l’autorità e dover affrontare la vendetta di coloro a cui si è comandato: «sapere che tutti coloro cui si sono impartiti comandi, tutti coloro che si sono minacciati di morte vivono e si ricordano [...], questa sensazione profondamente radicata e tuttavia indeterminata, poiché non si sa mai quando i minacciati passeranno dal ricordo all’azione, questa tormentosa, invincibile e indefinita sensazione di pericolo è appunto l’angoscia del comando».
Il desiderio di padroneggiare in modo assoluto su un mondo ridotto al silenzio -rimanendo l’unico ad avere parola e vita - non è separabile dalla preoccupazione di poter essere a propria volta nullificati dalla rivolta di coloro che subivano. Ciò determina la necessità di fugare il pericolo accumulando i cadaveri (in senso metaforico ma anche letterale). È questa per Canetti la “spirale paranoica“ in cui il potere è destinato ad avvitarsi.
Il ragionamento sul “sopravvissuto” , sopra sommariamente esposto, può servire, in parte ovviamente, a spiegare biografie come quelle di Hitler e di Stalin, che personalmente non acquisivano ricchezze materiali, paghi di poter decidere della vita e della morte dei loro simili, “massificati” nel culto osannante delle loro personalità di “uomini della provvidenza storica”. E si sta parlando, purtroppo, non di horror-fantasy ma di fatti storici tremendamente reali!

Torno un poco sui miei passi e faccio ora un piccolo riepilogo che servirà – spero – a compiere un balzo in avanti. Abbiamo l’appello per l’Arena di pace che si basa sul presupposto che siano i “mercanti d’armi” i fomentatori delle guerre (le quali però non vengono nemmeno citate nel succitato appello nel mentre che l’Italia è vergognosamente impegnata in alcune di esse). Abbiamo poi Alex Zanotelli che, mettendoci una pezza, va con le sue prese di posizioni personali molto oltre: le spese militari si traducono in guerre (per l’Italia le nomina una per una) che garantiscono chi ha rispetto a chi non ha, l’ordine ingiusto ed ecologicamente devastatore dell’Impero del denaro.
Scrivendo alla mia amica Angelica Romano, una stretta collaboratrice di Zanotelli, ho tentato di chiarirle e di chiarirmi – in termini schematici e quasi infantili - perché penso che le cose siano, purtroppo, ancora più gravi e complesse di come ritiene Alex e perciò richiedano spiegazioni che si sforzino di andare più in profondità.
“(La mia opinione è che) l'industria bellica traini la guerra finché essa è lontana, controllata, "asimmetrica" (fatta contro i più deboli e di gran lunga più deboli).
Ma credo vi sia una sete di potere delle organizzazioni politiche istituzionalizzate (gli Stati) che prescinde dall'istanza economica.
Un esempio è proprio quanto accadde 100 anni fa con lo scoppio della prima guerra mondiale: i conflitti della periferia coinvolsero i "centri" imperialisti, che non seppero impedire lo scontro.
Avvenne la fine del dominio politico e dell'egemonia economica dell'Europa sul mondo. (A dire il vero, ci volle anche il secondo tempo della partita, la seconda guerra mondiale).
La brama di potenza è qualcosa di terribile ed ha una sua motivazione intrinseca: l'accumulazione del profitto monetario potrebbe essere solo una sua particolare forma.
Se il mondo fosse guidato solo dall'analisi razionale costi-benefici sarebbe pur sempre un purgatorio, ma non avremmo la preoccupazione di finire nell'inferno della distruzione totale.
La spinta al potere senza freni nasce, secondo me, dall'angoscia di morte, dall'incapacità di accettare il limite della morte, dalla volontà del "sopravvissuto" (cito Canetti anche per esternare la mia presunta cultura!) di trionfare sulla morte dispensando la morte.
Chi accetta la morte - individuale - accetta il limite dell'Io e la sua interdipendenza con l'Altro, gli altri.
Chi non accetta la sua morte - individuale - aspira all'Io infinito ed all'indipendenza assoluta, quindi a rendere dipendente l'Altro da sé (il prossimo, la natura...).
Lascio ora ai teologi il compito di conciliare questo tipo di ragionamenti con la "vita eterna" promessa dalla religione cristiana (e non solo da essa)”.

L’angoscia di morte muove il Potente che si illude di sconfiggerla dispensandola agli altri; ma sospinge anche la Massa che cerca salvezza mettendosi agli ordini del Potere assassino: si darà la morte a chi, presuntamente, minaccia la vita del gruppo in cui ci si identifica come “noi”. Si allontana la morte nella misura in cui si vede morire chi è considerato, a ragione o a torto, causa di morte, ed il rito funziona specialmente nel momento in cui ci si è calati nel gioco: “mors tua, vita mea”.
E’ il principio della propaganda espresso chiarissimamente di Joseph Goebbels, il feroce ministro nazista che quando sentiva parlare di cultura metteva mano alla pistola, quello convinto che ripetere ossessivamente una menzogna la trasforma in verità: “Vuoi portare un popolo a dare consenso alla guerra? Devi convincerlo inoculandogli lo spavento che c’è qualcuno che lo sta minacciando esistenzialmente, che sta attentando alla sua vita.”
E’ questo il compito della propaganda bellicista e dei suoi addetti, prezzolati o meno: esagerare le cose, gettare benzina sul fuoco dei conflitti, distorcere le mezze verità che funzionano meglio delle bugie, trasformare i contrasti in antagonismi, l’avversario in nemico mortale, coltivare giacimenti di odio, additare i ragionevoli e i dubbiosi come “amici del giaguaro”, incitare all’uso della violenza affinché non si diventi vittime della violenza…
Le ideologie totalitarie del XX Secolo – qui soccorre la bellissima analisi di Albert Camus ne “L’uomo in rivolta” - hanno funzionato benissimo come veicolo della logica della guerra assoluta: un “popolo eletto” (il proletariato mondiale, la nazione ariana) è incamminato verso il Paradiso in Terra (il Comunismo dell’Uomo nuovo, il Nuovo Ordine Millenario che produrrà il Super-Uomo), sotto la guida di un Grande Capo (Illuminato-Ispirato) – e del suo Grande Partito, che incarnano il senso della Storia nel suo fatale compimento.
Un avversario subdolo e spietato, che rappresenta il Passato contro il Sole dell’Avvenire (la borghesia imperialista, la razza ebraica a capo di tutta l’umanità inferiore e degenerata), persegue il piano infame e scellerato di distruggere il popolo eletto: esso va quindi combattuto con tutti i mezzi e sterminato prima che riesca a sterminare, come è necessitato a fare.
In questa marcia a rullo compressore non bisogna guardare in faccia a nessuno e schiacciare specialmente i falsi mediatori, i dissidenti, i dubbiosi, i titubanti, i “pacifisti”, perché nella quasi totalità dei casi sono in intelligenza col nemico: se qualche utile idiota verrà spazzato via insieme ai traditori e nemici del popolo poco male, perché quello che conta non è il singolo caso ma il risultato finale collettivo del processo storico. A ripetere oggi tutta questa paccottiglia sembra si stia esponendo le farneticazioni di pazzi furiosi: ma bisogna por mente che milioni di uomini hanno creduto a queste idee pronti a morire ed uccidere (soprattutto la seconda che ho detto) per esse, sacrificando effettivamente su questo Moloch della Storia ideologizzata il sangue di decine di milioni di persone vere e reali.
Il fanatismo ideologico ha le sue incarnazioni anche in questo XXI Secolo: il Nuovo Califfato sul mondo “ummizzato”, nuovi Nazionalismi ognuno dedito a instaurare o espandere Stati-potenze, e soprattutto lo Scientismo neoliberista, l’ideologia della non-ideologia, della efficacia assoluta delle tecnologie applicate all’efficienza dei mercati comprendente ed assorbente ogni sforzo e valore umano.
Vecchi o nuovi che siano, fondamentalismi religiosi ed ideologici hanno la medesima natura e capacità di mettere in simbiosi poteri autoritari e masse gregarie sovraeccitate (o al contrario cloroformizzate): si “cura” l’angoscia di morte di un terrorizzato “noi” minacciando e organizzando la morte, per mano diretta o via delega, dei temuti e demonizzati “loro”: “noi”, l’identità degli inclusi da difendere, “loro”, gli infiltrati e gli invasori minacciosi esclusi e da escludere fino eventualmente allo sterminio. E’ una vera disgrazia che io non stia affatto scherzando nel denunciare il fenomeno: è successo, succede e succederà in questo mondo violento e solo in superficie guidato dall’intelletto calcolatore.


Il quadro delineato è di quelli che potrebbero far considerare vana ogni speranza inducendo all’impotenza. Ma Zanotelli ci dice che la forza della fede può sostenerci e condurci alla vittoria nella sfida epocale. “A chi ha fede, nulla è impossibile… “
La fede di cui parla il missionario comboniano, se non lo equivoco, è quella della Provvidenza di un Dio nonviolento (qui mi sovviene il contrasto con il “Dio è violent” della femminista Luisa Muraro, edito dalla Nottetempo, 2012).
Io penso che la fede cristiana abbia molti rapporti e conformità con la fede laica nell’Umanità, che deve nonostante tutto animarci, perché il mondo che sperimentiamo non è solo plasmato da poteri assassini e masse fanatiche.
La percezione che personalmente sento intensamente (scontando inevitabili periodi di depressione) è che, anche se la realtà è molto più cattiva, assurda, irrazionale di quanto noi "buoni" (o amici della nonviolenza) siamo disposti ad immaginare, tutto sommato l’istinto di vita è più forte della pulsione di morte.
Riprendo ora passi della mia lettera ad Angelica Romano:
“La forza vitale è l'oceano profondo, la tensione distruttiva è solo la superficie increspata: questa è l'ipotesi che mi fa sperare che ce la faremo (forse).
Ma dobbiamo unire alla buone intenzioni l'intelligenza degli astuti.
Il serpente del Potere è sempre lì a tentare di giocarci, suadente ma determinato: non permettiamo che ci abbindoli ma battiamolo con lucida strategia e perseveranza!
Come sarà possibile che i "buoni", pur essendo la stragrande maggioranza, perderanno la partita?
Sarà possibile - speriamo di no! - perché preferiranno chiudere gli occhi rispetto alle manovre dei facitori di guerra ed alla loro capacità organizzata di irretire ed imbrigliare anche attraverso l’insipienza degli ingenui?”

Alex Zanotelli ci invita alla scelta della nonviolenza attiva "vissuta in tutte le sue dimensioni , dal personale allo strutturale, dal politico all’economico, dal militare al sociale. E’ questa la vera ‘rivoluzione’ che attende l’umanità."
Concordo pienamente se aggiungiamo che la “forza dell’unità popolare alla ricerca di verità e di giustizia” (questa è la mia definizione di nonviolenza) comprende la necessità di essere orientata e guidata da una intelligenza strategica collettiva.
Questo significa che, sull’esempio di Gandhi e dei suoi seguaci, “candidi come colombe, furbi come serpenti”, quando si mettono insieme, i movimenti della cittadinanza attiva devono avere la capacità di fissare gli obiettivi secondo una scala di priorità e di sapere indicare i mezzi, gli strumenti e le azioni per conseguirli in una prospettiva di medio/lungo periodo.
Significa anche, nel lavoro per coinvolgere l’opinione pubblica e organizzare i soggetti sociali più interessati, avere una chiara consapevolezza di chi sono gli “amici” su cui si può contare subito, i soggetti da conquistare lungo il percorso ed infine i gruppi avversari che la strategia nonviolenta deve trasformare in gruppi alleati come risultato della “vittoria” (nel presupposto che nella nostra impostazione vincere significa con-vincere).

Mi permetto di sottolineare, insieme agli autori di ESIGETE!, che il disarmo nucleare, senza ovviamente, dimenticare gli altri fronti di lotta è oggi la PRIORITA’ DELLE PRIORITA’ e direi che è obbligo morale, oltre che politico, di tutte le amiche e gli amici della nonviolenza collocarlo nell’agenda quotidiana di lavoro e di vita insieme a: “passo dal droghiere”, “vado a trovare la mamma malata”, “protesto contro l’ecomostro che vogliono costruire sul parco dietro l’angolo di casa”, “obietto alla banca armata”, eccetera.
Il nostro primo impegno è dire NO AL NUCLEARE e sì alla Convenzione internazionale per il bando delle armi atomiche. Essa è a portata di mano con il nuovo “percorso umanitario” che si è aperto a Oslo (marzo 2013) ed è proseguito a Nayarit (febbraio 2014).
Abbiamo ormai una maggioranza di Stati (125) che, in un certo senso, ha ufficialmente scoperto l’acqua calda ed ha deciso di agire di conseguenza: l’arma nucleare ha effetti distruttivi incontrollabili ed indiscriminati, non può distinguere tra combattenti e civili, non può consentire soccorsi di Croce Rossa e simili in aiuto delle vittime, ragion per cui il solo concepirne l’uso va considerato, senza se e senza ma, un crimine contro l’umanità.
Luigi Mosca, lo scienziato curatore e traduttore di ESIGETE! nell’edizione italiana, nel suo aggiornamento ricorda che dal percorso umanitario sta scaturendo una proposta all’Assemblea dell’ONU per un Trattato di interdizione delle armi nucleari.
Scrive Mosca: “Un tale trattato sarebbe formulato sul modello del già esistente Trattato di interdizione delle armi chimiche. Entrando in vigore, questo nuovo trattato avrebbe un valore di legge internazionale e diverrebbe in un certo modo costrittivo anche per i paesi non-firmatari. In tal modo i paesi non detentori dell’arma nucleare potrebbero rendere totalmente illegali le armi nucleari!”
Abbiamo un precedente che funziona per le armi chimiche ed un sentiero già tracciato che possiamo pensare di percorrere per ottenere il risultato dei risultati, quello che dà senso a tutte le nostre fatiche: la garanzia della sopravvivenza della specie in quanto tale!
La nostra fede comune nel Dio che è Vita - e nella Vita che è Dio (dal punto di vista laico) – caro Alex, deve indurci a correre immediatamente verso questo varco positivo che si è aperto, sia in alto – nella diplomazia degli Stati - che in basso – nell’impegno delle ONG, e a chiamare tutte e tutti a raccolta per passare in fila ordinata attraverso esso.
Le prese di posizione per bandire la “Bomba” dovrebbero coinvolgere tutti gli ambiti di lavoro e di vita, varcando ogni frontiera, unendo credenti di tutte le fedi e non credenti, mettendo in primo piano la comune umanità di tutti, come già ci invitava a fare lo storico appello di Albert Einstein e Bertrand Russell più di mezzo secolo fa.
Anche tu, Alex, hai da riprendere l’appello “FERMIAMO CHI SCHERZA COL FUOCO ATOMICO”, che abbiamo lanciato insieme con altri nonviolenti nel 2006, in cui invitavamo a “reagire alla rassegnazione, a chiedere il rispetto della legalità internazionale e ad esigere (sì, ad esigere!) di essere trattati come cittadini e non come ostaggio o bersaglio delle partite a Risiko planetario tra i signori della guerra”.
Sono più che sicuro che ti farai latore di questi contenuti nell’incontro di Verona del 25 aprile, a cui io non potrò partecipare perché impegnato in scadenze internazionali contro il nucleare civile e militare: penso comunque che avremo da organizzare scadenze ed occasioni più riflessive ed acconce per mettere a punto una piattaforma convergente delle organizzazioni che lottano seriamente per la pace ed il disarmo.


EMAIL alfonsonavarra@virgilio.it

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