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3/4/2014

A Gerusalemme la pulizia etnica continua, mentre il mondo sta a guardare

La Città Santa è ormai al centro di un’escalation di violenze e sistematica pulizia etnica da parte di coloni e forze di occupazione israeliane. Il progetto coloniale israeliano è sempre più chiaro e palese: spazzare via da Gerusalemme la popolazione autoctona palestinese.

Musulmani e cristiani gerosolimitani sono quotidiane vittime dei soprusi e delle angherie di coloni fanatici e delle autorità di occupazione.

Di fronte a tale politica sfrontata e violatrice di ogni diritto e della legalità internazionale, il mondo occidentale e quello orientale tacciono.

Ne abbiamo parlato, in questa seconda puntata di interviste, con il presidente dell’Api-Associazione dei Palestinesi in Italia, Mohammad Hannoun.

InfoPal: Gerusalemme è sotto occupazione dal 1967, nonostante le risoluzioni Onu, ed è oggetto di assedio quotidiano da parte di coloni e soldati israeliani. I luoghi sacri musulmani e cristiani sono a rischio di distruzione. Perché nessuno interviene?

M.H.: La situazione è sempre più drammatica. Se parliamo della politica israeliane dal ’67 ad oggi, essa è fondata sulla trasformazione geo-politica della città attraverso la creazione di nuove colonie, l’occupazione forzata di abitazioni di cittadini palestinesi, la falsificazione di documenti di proprietà. Tutto ciò per permettere a nuclei di coloni estremisti di minacciare la stabilità del quartiere richiedendo la presenza continua di pattuglie dell’esercito israeliano; per infastidire i gerosolimitani palestinesi, facendo controlli all’entrata e all’uscita, chiedendo di mostrare le carte di identità. Insomma, per scoraggiarli. Questa situazione ha come obiettivo la creazione di uno stato instabilità e precarietà sociale, l’isolamento dei residenti dal loro contesto sociale, e facilitare l’arrivo di nuovi coloni.

I coloni che abitano a Gerusalemme sono tra i più estremisti, sono fondamentalisti fanatici. Dietro di loro ci sono grandi associazioni mondiali che sponsorizzano e finanziano i progetti di occupazione. Ci sono grandi interessi commerciali e di costruzione.

Altro mezzo per svuotare Gerusalemme dai suoi abitanti è il ritiro del diritto di residenza a Gerusalemme. Se si va a studiare o lavorare temporaneamente fuori dalla città, si perde il diritto di residenza.

Il palestinese, che è nato e risiede da generazioni a Gerusalemme, non ha diritto né di ristrutturare né di ampliare la propria abitazione, e se aggiunge una stanza, il comune lo costringe a demolire l’intera casa, facendogli pure pagare il costo della demolizione. Anche questo fa parte della pulizia etnica.

I coloni, invece, possono arrivare a Gerusalemme Est e avere pieno diritto di creare una nuova colonia o costruire un palazzo. Questa è una chiara discriminazione razziale.

Per isolare i pochi che sono rimasti a Gerusalemme, hanno creato sistemi che impediscono ai gerosolimitani palestinesi, e non solo più a quelli cisgiordani o giordani, di raggiungere la moschea di al-Aqsa. A tutti gli ingressi hanno messo telecamere e pattuglie che chiedono ai palestinesi di registrarsi, e che sottraggono loro la carta di identità, così, se succedono disordini, essi perdono i propri documenti.

Tuttavia, la politica israeliana di pulizia etnica non si ferma qui. E’ passata a una fase più complessa: al Knesset, per la prima volta dal ’67, stanno discutendo della sovranità stessa sulla moschea. Essi vogliono che sia israeliana. Subito dopo questa discussione abbiamo visto decine di soldati, uomini e donne armati, entrare nella moschea, vediamo rabbini integralisti, scortati dalla polizia israeliana, che fanno pubblicamente, sulla Spianata, la loro preghiera. Stanno cercando di creare una situazione analoga a quella della moschea di Ibrahim, a Hebron, che è divisa tra una parte minima destinata ai palestinesi e la restante, maggiore, agli ebrei. Il controllo è tutto in mano agli israeliani.

I.: La gestione del Waqf, dei Beni religiosi islamici, è ancora in mani giordane. Che sta facendo la Giordania per impedire tutto ciò?

M.H.: La Giordania ha presentato una protesta… Praticamente paga solo gli stipendi degli impiegati del Waqf, perché qualsiasi lavoro di ristrutturazione è proibito. A livello politico non fa nulla.

L’Organizzazione mondiale dei Paesi musulmani, la comunità araba, fanno qualche denuncia, ma Israele va avanti. Ogni giorno vediamo nuove colonie e nuove restrizione sui palestinesi, musulmani e cristiani.

Di fatto stiamo perdendo la città. La comunità internazionale ne è consapevole, ma non ci sono dichiarazioni a sostegno dei palestinesi. Ciò significa che ci sarà una nuova intifada, peggiore delle altre, perché per noi la situazione è ormai intollerabile. Nessuno ha compiuto un passo in avanti per difendere i nostri diritti e per bloccare l’espansionismo israeliano.

I Paesi arabi, che sono molto impegnati a sostenere il golpe di Sisi in Egitto – stanziando miliardi – , non si muovono per sostenere Gerusalemme.

I.: La Lega Araba in questi giorni ha dichiarato di sostenere la richiesta palestinese di non riconoscere Israele in quanto Stato ebraico. Che ne pensa?

M.H. Mettere a repentaglio la vita di un milione e mezzo di palestinesi con passaporto israeliano creando uno stato tutto ebraico, è voler cacciare tutti i cittadini non ebrei; è fare un’altra pulizia etnica, costringendo i pochi palestinesi aggrappati ai villaggi e le città del ’48, a scambiarli con 2 mq di Autorità palestinese.

Ogni dichiarazione a favore dei diritti palestinesi va apprezzata. Ma se rimaniamo fermi solo alle dichiarazioni, mentre dall’altra parte le azioni sono giornaliere, che si fa? Bisogno rispondere concretamente, con iniziative, nei confronti dei palestinesi di fronte all’escalation della politica israeliana.

I.: Quali sono gli scenari futuri?

M.H.: E’ prevista una nuova Intifada: la comunità internazionale è a favore degli israeliani e loro si sentono in “buone mani”, dunque bisogna reagire subito e dire no ai progetti di ebraicizzazione.

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