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14 marzo 2014

Al Aqsa e Israele
di Ramzy Baroud
Traduzione di Maria Chiara Starace

Qualcosa di sinistro si sta preparando intorno e sotto la Moschea  al Aqsa a Gerusalemme Est  occupata, e ha l’impronta  di una ben nota campagna israeliana  che mira a spogliare la moschea della sua identità  araba e musulmana. Tuttavia questa volta la posta in gioco è molto più alta.

Lo status della moschea  al Aqsa non ha paralleli all’interno del contesto dell’eredità musulmana nella stessa Palestina. E’ anche il terzo santuario musulmano più sacro di qualsiasi luogo. Ma, cosa ugualmente importante, è un simbolo di fede, di resistenza e di ribellione. La sua storia di lotta e perseveranza va di pari passo proprio con la moderna lotta palestinese per i diritti, la libertà e l’identità. Pregare nella moschea al-Aqsa a volte sembra un’impresa  impossibile. Molti palestinesi hanno perduto la vita o degli arti semplicemente per riuscire a entrarvi.

In una dichiarazione rilasciata il 7 marzo l’Awqaf, cioè il ministero palestinese degli Affari Religiosi, ha detto che le forze israeliane hanno effettuato 30 attacchi contro la Moschea al-Aqsa ed altri siti sacri, soltanto nel mese di febbraio. La maggior parte di questi avevano come bersaglio proprio l’Al-Aqsa. Mentre le violazioni ricorrenti erano guidate da coloni ebrei, secondo la dichiarazione, questi lo hanno fatto sotto l’occhio vigile della polizia e dell’esercito israeliano.

L’elemento più allarmante rispetto a questi attacchi è il loro contesto politico che indica che un alto grado di coordinamento è  in corso tra politici, forze di sicurezza e coloni ebrei.

In previsione di una reazione negativa  palestinese, il 4 marzo un tribunale israeliano ha condannato il leader islamico Sheik Rade Saleh a otto mesi di prigione per ‘istigazione’. Lo sceicco è il leader palestinese più schietto riguardo al pericolo che deve affrontare Al-Aqsa.  Perché zittire Sheik Saleh ora che gli attacchi contro la moschea sono gravi in ogni momento?

E’ stato il 25 febbraio 1994, che l’estremista ebreo nato negli Stati Uniti, Baruch Goldstein è entrato come una furia nella Moschea  Ibrahimi nella città palestinese di al-Khalil (Hebron) e ha aperto il fuoco. Lo scopo era di uccidere quanti più arabi poteva.

In quel momento, circa 800 devoti musulmani erano inginocchiati durante la preghiera dell’alba nel mese più sacro del Calendario Musulmano: il mese  del Ramadan. Ha ucciso 30 persone e ne ha ferite 120. Esattamente 20 anni dopo, l’esercito israeliano ha attaccato la moschea Aqsa, il terzo luogo musulmano più sacro e ha aperto il fuoco. Il tempismo non è stato casuale.

Come il resto della Cisgiordania, Al-Khalil sta affrontando la doppia sfida dei coloni ebrei armati e dei soldati dell’occupazione israeliana; questi ultimi attuano l’occupazione militare fornendo allo stesso tempo ulteriore protezione ai coloni. Questi, estremisti dell’insediamento illegale di Kiryat Arba, spesso attaccano i residenti palestinesi della città, con impunità completa. Curiosamente, molti dei coloni di Kiryat Arba sono americani, come  Baruch Goldstein.

Non è bastato che i soldati israeliani nelle vicinanze  della Moschea Ibrahimi abbiano permesso a Goldstein – armato di un fucile Galil e di altre armi – di accedere alla moschea, ma hanno aperto il fuoco sui fedeli mentre tentavano di  fuggire  dalla scena del massacro. I soldati israeliani hanno ucciso altre 24 persone e ne hanno ferite

altre. Goldstein, ora diventato un eroe agli occhi di molti in Israele, è spesso incolpato soltanto del massacro a al-Khalili, ma in effetti questo era stato uno sforzo  reciproco di Goldstein e dell’esercito israeliano.

Questo rapporto simbiotico tra esercito e coloni, che risale ai primi giorni dell’occupazione israeliana di Gerusalemme, della Cisgiordania e di Gaza nel 1967, continua.

Mentre le ruspe israeliane scavano nella terra israeliana durante il giorno, spianando cumuli di terra e distruggendo piccoli oliveti per potere espandere gli insediamenti, di notte  pesanti macchine  scavano cunicoli sotto la città vecchia di al-Quds, cioè Gerusalemme. Gli israeliani stanno cercando prove di ciò che credono essere gli antichi templi ebraici, presumibilmente distrutti nel 586 a.C. o nel 70 d.C. Per onorare la “profezia”, gli estremisti ebrei credono che si debba costruire un terzo tempio. Ma, naturalmente, c’è il fatto scomodo che in quel posto particolare esiste uno dei siti più sacri dell’Islam: Il Nobile Santuario, in arabo al-Haram al-Sharif. E’ stato un luogo di preghiera esclusivamente islamico negli scorsi 1300 anni.

Sul sito denominato Nobile Santuario, situato nella Città Vecchia di Gerusalemme, sorgono la Moschea Al-Aqsa e la Cupola della Roccia. Il sito è stato sotto costanti minacce,attacchi, azioni incendiarie dolose, e violenza militare per quasi 50 anni. I pochi ecclesiastici musulmani, che appartengono all’Islamic Trust che gestisce l’area, insieme alla Custodia della Giordania – * sono consapevoli della minaccia israeliana sempre latente che di frequente diventa mortale. Non è stata una sorpresa che il defunto leader israeliano Ariel Sharon abbia scelto proprio  quel  luogo per compiere il suo energico giro a piedi sulla Spianata delle moschee nel 2000. Molti palestinesi non armati, soprattutto i devoti, sono morti quel 28 settembre e altre migliaia sono scomparsi nei mesi e negli anni seguenti quando la totalità dei territori occupati e delle città palestinesi all’interno di Israele sono esplose con una furia senza precedenti. In seguito Sharon è stato eletto Primo ministro di Israele.

La stessa pericolosa combinazione – politici di destra alleati con fanatici religiosi- è ancora in atto. Stanno guardando ad Al-Aqsa per annetterla, allo stesso modo in cui il governo israeliano sta lavorando sodo per annettersi in permanenza grandi  zone della Cisgiordania occupata, per precludere qualsiasi futuro accordo con l’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas.

La Knesset (parlamento) di Israele ha scelto il 20° anniversario del massacro di Goldstein di migliaia di palestinesi ad al-Khali per iniziare un dibattito concernente lo status del complesso di Al-Aqsa. Le persone di destra che costituiscono il grosso del governo del Primo ministro Benjamin Netanyahu – vogliono che il governo israeliano faccia rispettare la sua ‘sovranità’ sul sito musulmano che è amministrato dalla Giordania in base al Trattato di Pace tra Giodania e Israele del 1994. Il deputato israeliano Moshe Feiglin, è l’uomo che sta dietro questa mossa, ma non è da solo. Feiglin è membro del partito Likud di Netanyahu, e ha un forte appoggio all’interno del partito, del governo e della Knesset.

Un’ importante sostenitrice dell’iniziativa di Feiglin, è Miri Regev, anche lei membro di estrema destra del Likud. La Regev chiede che il governo stabilisca orari separati della preghiera per gli ebrei e per i musulmani nel complesso di Al-Aqsa. Il modello che desidera copiare non è altro che la Moschea Ibrahimi. “Arriveremo a una situazione in cui il Monte del Tempio (cioè la Spianata delle Moschee)   sarà come la Grotta dei Patriarchi, con dei giorni per gli ebrei e dei giorni per i musulmani.”

Naturalmente la Regev ha omesso il fatto che 20 anni fa un estremista ebreo e i soldati israeliani avevano ucciso e ferito centinaia di palestinesi inginocchiati a pregare.

Il giorno successivo, in seguito al dibattito del governo israeliano, un rumore fragoroso è stato udito intorno alle 3 di notte nel quartiere Wadi Hilweh di Silwan, situato a sud della Città Vecchia di Gerusalemme. I residenti hanno sentito il “rumore di pesanti macchine che hanno scavato sotto le loro case per tutta la notte,” ha riferito l’Agenzia di stampa Ma’an. Poi un grosso muro è crollato improvvisamente, mentre alcune case hanno avuto dei danni. La rete di tunnel della metropolitana di Israele si sta ampliando,  dato che alcuni di questi collegano Wadi Halveh al Muro occidentale  il Muro del Pianto) e ad Al-Aqsa.

Mentre il pericolo che la Moschea Al—Aqsa crolli, esso è molto reale, è una rappresentazione della mentalità che governa Israele: una mentalità di annessione e di occupazione militare, senza assolutamente  alcun riguardo verso il sito più sacro della Palestina, che è anche venerato da oltre 1,6 miliardi di musulmani di tutto il mondo.

*fonte: http://www.holylandreview.net/tsx/articolo.jsp?wi_num-ber=5034&wi_codseq=%20%20%20%20%20%20&language=it


Ramzy Baroud (ramzybaroud.net) è un opinionista che scrive sulla stampa internazionale e dirige il sito PalestineChronicle.com.  E’ dottorando all’Università di Exeter, nel Regno Unito. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story(Pluto Press). es [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata].


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

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Fonte:http://zcomm.org/znet/article/ al-aqsa-vs-israel

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