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30.10.2014

Attentati, scontri e tensioni: cosa sta succedendo a Gerusalemme?
di Luca Lampugnani

Benché non si possa dire ancora del tutto precipitata, la situazione interna (e non solo) ad Israele lascia presagire che il proverbiale vaso possa potenzialmente traboccare ancora una volta, rovesciando il suo contenuto di odio e insofferenza reciproca su una regione già di per se martoriata dall'instabilità. Mediaticamente, tutto è (ri)cominciato ormai più d'una settimana fa. Mercoledì 22 ottobre un palestinese di vent'anni, Abdel Rahman Al-Shaludi, già noto alle forze dell'ordine, ha compiuto un attentato su un gruppo di ebrei a Gerusalemme, investendoli con la macchina. A causa del folle gesto, per cui il giovane sarà inseguito, fermato e ucciso dalla polizia d'Israele, perderanno la vita una bambina e una donna.

La sera stessa, dopo il più che ovvio susseguirsi di dichiarazioni al vetriolo di politici e altri funzionari statali, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato un rafforzamento della presenza militare nella città sacra per entrambi i popoli. La reazione palestinese non si è certo fatta attendere. Dall'investimento, giorno dopo giorno, Gerusalemme è andata infatti via via trasformandosi nel terreno di scontro (soprattutto notturno) tra manifestanti palestinesi e forze dell'ordine, contribuendo ad aumentare il rischio che le braci mai sopite tra ebrei e arabi tornino ad essere il punto di partenza di un vero e proprio incendio.

Intanto, mentre per un'intera settimana sono andati avanti a fronteggiarsi nel silenzio i proiettili di gomma dell'esercito e le sassaiole palestinesi, un secondo episodio di particolare violenza ha intensificato le tensioni tra le parti. Nella serata tra mercoledì 29 e giovedì 30 ottobre il rabbino Yehuda Glick (esponente religioso dell'ultradestra israeliana, noto per le continue incursioni sul Monte del Tempio o Spianata delle Moschee) è stato raggiunto da alcuni colpi di pistola che lo hanno ferito gravemente. L'attentatore, o presunto tale, un palestinese membro del gruppo Jihad islamica proveniente dello stesso rione in cui abitava Abdel Rahman Al-Shaludi, dopo essere stato identificato dalla polizia è stato raggiunto e ucciso durante uno scontro a fuoco.

Nelle ore immediatamente successive all'attentato su Glick, il primo ministro d'Israele è tornato a farsi sentire, ordinando la chiusura assoluta e senza eccezioni della meta sacra tanto per gli ebrei quanto per i musulmani - Monte del Tempio per i primi, Spianata delle Moschee per i secondi. Duro il commento in merito a tale decisione del presidente dell'Autorità Palestinese Abu Mazen, il quale è tornato a definire (lo aveva già fatto nel 2011, quando era stato chiuso l'accesso alla moschea al-Aqsa) il blocco alla Spianata una vera e propria "dichiarazione di guerra", specificando che "farà salire ulteriormente la tensione in città e creerà un'atmosfera negativa e pericolosa".

Non che l'atmosfera citata dalla presidenza palestinese, al di la degli attentati e degli scontri, fosse poi particolarmente positiva o rilassata. Si guardi ad esempio ai piani israeliani per una nuova espansione di insediamenti in territorio palestinese, mossa che è stata duramente criticata dall'alleato storico di Tel Aviv, gli Stati Uniti. Tra i due 'amici', infatti, vi sono stati negli ultimi giorni degli scambi di opinioni al vetriolo, tra insulti (funzionari vicini all'amministrazione Obama avrebbero definito Netanyahu un "codardo") e accuse.

Oppure, ancora, si guardi ad una proposta di legge che sarà presto discussa al Parlamento israeliano, bozza avanzata da Robert Ilatov della formazione ultranazionalista Yisrael Beitenu. In sostanza, spiega il Washington Post, quest'ultimo vorrebbe rendere fuori legge la chiamata alla preghiera per i musulmani, affidata come nel resto del mondo al canto del muezzin. Per giustificare un tale provvedimento, Ilatov ha fatto appello al presunto inquinamento acustico creato dall'autorità religiosa musulmana, tanto che il disegno di legge recita: "centinaia di migliaia di cittadini israeliani, della Galilea, del Negev, di Gerusalemme e di altre aree soffrono regolarmente del rumore causato dal canto del muezzin, chiamata dei fedeli alle moschee". Già nel 2011 una norma simile era stata proposta da membri dello stesso partito, e allora fu apertamente sostenuta tanto da Avigdor Lieberman (leader del partito stesso e attuale ministro degli Esteri) quanto da Benjamin Netanyahu. Nonostante tutto, la misura non passò l'esame parlamentare.

Insomma, i presupposti affinché la situazione precipiti in modo definitivo ci sono tutti. L'unione della totalità di questi episodi 'minori' creano infatti un terreno più che fertile perché, nel prossimo futuro, possano germogliare i semi di un nuovo conflitto armato nell'area. Scatenato, eventualmente, da una "passeggiata" (come fece Sharon sulla Spianata delle Moschee scatenando la seconda Intifada, come ha già fatto nelle scorse settimane il sindaco ultranazionalista di Gerusalemme), o comunque di qualunque altro pretesto simile. Scenario, questo, tutt'altro che escludibile e che seguirebbe un copione già visto, sempre uguale nei decenni: odio contro odio che genera altro odio. Senza, ovviamente, una via d'uscita che fosse visibile ad occhio nudo.  

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