Al-Bawaba
06/11/2014

Giordania, Israele e la moschea di Al-Aqsa: una relazione delicata
di Osama al-Sharif
Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

A vent’anni dal trattato di pace, le relazioni tra i due Paesi sono particolarmente tese a causa delle mire israeliane su Al-Aqsa e la messa in discussione del ruolo speciale di Amman su Gerusalemme

Nello stesso momento in cui Giordania e Israele giungono al ventesimo anno dal trattato di pace, le relazioni tra i due Paesi sono sotto pressione. Mentre i funzionari israeliani hanno elogiato i legami con il vicino orientale – il ministro della Difesa Moshe Ya’alon ha parlato di “alleanza strategica” con Amman in particolare sulle questioni securitarie – lo stato d’animo in Giordania è ben diverso. Infatti, la scorsa settimana, re Abdallah II ha messo in guardia dalle possibili conseguenze delle ripetute violazioni dei luoghi sacri cristiani e musulmani a Gerusalemme, in particolare di Al-Aqsa, da parte degli israeliani.

Giovedì scorso, Israele ha chiuso la moschea, una chiusura, successivamente revocata, che è arrivata al culmine di provocazioni quasi quotidiane, da parte di estremisti ebrei, rivolte a fedeli musulmani ed alla stessa Al-Aqsa. Secondo i funzionari giordani, la chiusura è stata revocata in seguito all’intervento di re Abdallah.

La tensione nei rapporti è giustificata dal lato giordano. In base al trattato di pace del 1994, la Giordania detiene un ruolo speciale nella città vecchia di Gerusalemme, in particolare nella protezione dei luoghi sacri per i musulmani. Gli estremisti ebrei vogliono demolire la moschea ed erigere un tempio ebraico sulle sue rovine. Al Knesset (il parlamento israeliano), i deputati di destra stanno cercando di far approvare una legge che metterebbe a repentaglio il ruolo della Giordania e permettere ai fedeli ebrei l’accesso alla moschea. Sia la Giordania che l’Autorità Palestinese respingono tali piani.

A livello locale, Amman si trova sotto pressione per la mancata adozione di misure severe contro Israele. Tuttavia, la scorsa settimana, in qualità di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza, la Giordania ha chiesto un incontro urgente per discutere la costruzione di nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme Est; un incontro per lo più simbolico visto che Netanyahu ha difeso la decisione di costruire 1.000 unità in quella che ha descritto come la capitale di Israele.

Dopo 20 anni la maggior parte dei giordani è ancora critica sul trattato di pace con Israele. Quelli che lo difendono ne esaltano i vantaggi strategici, tra cui la delimitazione delle frontiere tra Giordania e Israele, il riconoscimento del ruolo speciale della Giordania a Gerusalemme Est, le garanzie sulle risorse idriche e l’afflusso di miliardi di dollari in aiuti americani.

Mentre le organizzazioni civili giordane hanno condotto diverse campagne per evitare la normalizzazione delle relazioni tra Giordania e Israele, a livello ufficiale tali legami sono diventati più forti, tant’è che recentemente Giordania e Israele hanno firmato un accordo da 15 miliardi di dollari in base al quale quest’ultimo fornirà al regno la maggior parte del suo fabbisogno di gas naturale.

Eppure i legami tra i due Paesi hanno visto tempi migliori, soprattutto nei primi anni dopo la firma del trattato di pace per via della relazione speciale creatasi tra re Hussein e il primo ministro Yitzhak Rabin. D’altra parte, le relazioni tra i due paesi sono state testate per la prima volta nel 1997, quando gli agenti del Mossad attentarono alla vita del leader di Hamas Khaled Meshal ad Amman.

Ora, ancora una volta è con il governo Netanyahu che la Giordania è ai ferri corti. La minaccia ad Al-Aqsa è reale e qualsiasi modifica del proprio status sarà considerato come un affronto alla Giordania e agli Hashemiti che per decenni avevano avuto un ruolo speciale a Gerusalemme.


Osama al-Sharif è un giornalista navigato ed opinionista politico basato ad Amman.

Vai all’originale

top