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The Huffington Post
https://www.middleeastmonitor.com
Thursday, 20 November 2014

La battaglia per Gerusalemme
di David Hears
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Essere un residente palestinese di Gerusalemme significa soffrire di una forma speciale di apolidia. Essi non sono cittadini di Israele né della Palestina. Non possono votare. Non hanno passaporti ufficiali ne possono attraversare i confini liberamente.

Essi hanno il diritto di residenza a Gerusalemme, ma è una battaglia quotidiana per conservarlo. La politica del ministero israeliano degli alloggi è il centro della vita, devono costantemente smentire un negativo, che la vita della loro vera famiglia non è altrove. Questo significa raccogliere all'infinito tutte le ricevute come prova della loro vita a Gerusalemme, le prescrizioni mediche e le iscrizioni scolastiche. Gli ispettori arrivano fino a contare i vestiti in un armadio o il cibo in frigo, come prova del numero dichiarato di bambini che vivono nella casa di famiglia.

Ottenere la cittadinanza di un altro paese o spendere troppo tempo all'estero sono entrambi cause della revoca dello status di residenza, che non può essere tramandato ai figli. Essi non possono costruire sulle loro case, e se lo fanno, devono pagare per avere l’abbattimento dell'estensione, o abbatterla essi stessi. Questa è la comunità da cui provenivano i due uomini che hanno sparato Martedì ai fedeli in preghiera in una sinagoga a Gerusalemme Ovest.

C'è un altro elemento peculiare di questo attacco su un bersaglio religioso ebraica. Ghassan Abu Jamal, 23, e Odai Abu Jamal, 30, non erano membri di un gruppo religioso palestinese. Erano del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), un gruppo laico, rivoluzionario, organizzazione di sinistra fondata da George Habash, un cristiano palestinese responsabile nel 1960 per una serie di dirottamenti aerei.

Questo ci porta al terzo elemento nuovo in questo attacco: L'FPLP non ha, sulla base delle prove disponibili, ordinato o pianificato questo attacco. Un comunicato pubblicato sulla pagina Facebook del gruppo ha sostenuto l'attacco e ha identificato gli aggressori come membri del FPLP, ma un comunicato stampa inviato via email, a nome del gruppo, ha escluso qualsiasi affiliazione al gruppo dei due uomini. L’FPLP di Gaza ha voluto rivendicare la responsabilità dell'attacco, la Cisgiordania non l’ha fatto. Questo modo di agire è simile al rapimento e all'omicidio dei tre giovani coloni da parte di membri di Hamas, di cui Hamas stessa ignorava le intenzioni.

Ofer Zalzberg, analista senior per il Medio Oriente dell'International Crisis Group (ICG) ha messo il dito su ciò che sta accadendo qui.

"Non c'è nessun leader in grado di rappresentare le esigenze e le richieste dei palestinesi gerosolimitani o dei palestinesi in generale. Per i palestinesi, Abbas non sembra agire, le azioni della Giordania sono limitate, mentre la maggior parte del mondo arabo o islamico non sembra mobilitarsi ... Nessuno agisce di fronte alle minacce percepite dai palestinesi di Gerusalemme Est, e quindi in assenza di leader, gli individui reagiscono."

Mentre Benjamin Netanyahu ha affermato che Mahmoud Abbas era responsabile per aver istigato l'attacco alla Sinagoga, una giovane donna a Ramallah ha messo un video in rete che critica il presidente palestinese per condannarlo. Kristina Yousef ha detto:

"Signor Presidente! Dov’eri un mese fa? Dove eravate quando il bambino di At Tur è stato ucciso? Dove eravate ieri quando Yousef al-Ramouni è stato strangolato a morte mentre era al lavoro? Hai visto il video di sua moglie mentre gridava piangendo? Dove sei? Quali notizie guardi? Dove sei? Non siamo in stato di guerra. Siamo nel bel mezzo di un massacro. Abbiamo perso ogni speranza. Questi sono quelli che alzano la nostra testa alta mentre tu esci a condannarli? Dove sono le violazioni di Al-Aqsa? Al-Aqsa è quì. Ha solo pochi anni prima di scomparire. La stanno demolendo. Essi scavano sotto di essa. Ogni giorno, le donne di Al-Aqsa vengono picchiate. Perché non esci a denunciare tutto questo? Se non vuoi stare con noi, puoi sederti di lato. Credimi, siamo in grado di fare il lavoro al posto tuo. Siamo in grado di difendere il nostro paese, non abbiamo bisogno di te".

Piaccia o no, questo è un autentica voce palestinese. Il suo video è andato virale. Il problema, allora, non è il grado in cui Abbas condanna o si dissocia con i palestinesi che svolgono questi attacchi. Su questo punto, il capo servizio Shin Bet Yoram Cohen senza mezzi termini ha contraddetto il suo primo ministro. Il problema è la misura in cui Abbas, l'Autorità palestinese, e, in effetti, tutte le fazioni palestinesi, hanno perso il controllo degli eventi che si svolgono sul campo. I palestinesi di Gerusalemme Est non sono solo senza stato, ma anche senza una guida.

La voce di Yousef non dovrebbe essere una sorpresa. Il suo è il prodotto della generazione che è cresciuta con una politica che è stata costantemente conseguita e sostenuta a livello internazionale. Agita per sopprimere ogni opposizione politica in Cisgiordania, isolando Gerusalemme, per consentire ad Abbas di parlare. La voce di Abbas è consentita a condizione che tutti gli altri tacciano. Nel frattempo, quella politica minava la voce di Abbas in due modi. Israele ha smesso collettivamente di ascoltare Abbas. E il presidente palestinese ha smesso di essere ascoltato dagli stessi palestinesi.

La linea rossa in questa battaglia è al-Aqsa, in particolare, e Gerusalemme in generale. Non c'è alcun dubbio nella mente dei palestinesi di Gerusalemme Est, che Israele ha già attraversato questa linea. Attaccare i luoghi di culto è purtroppo diventato un luogo comune. Dal giugno 2011, 10 moschee in Israele e in Cisgiordania sono state date alle fiamme da presunti ebrei estremisti di destra. Sono state depositate accuse. Oltre 63 moschee sono state distrutte e 153 parzialmente danneggiate durante l’attacco israeliano a Gaza.

Fin dall’inizio dell’occupazione di Gerusalemme Est nel 1967, ci sono stati ebrei che aspiravano a rimuovere la moschea di al-Aqsa e la Cupola della Roccia per sostituirlo con il Terzo Tempio. C'era sempre un commercio vivace in immagini della Città Santa con al-Aqsa e la Cupola della Roccia cancellate. Ma questa sorta di appagamento del desiderio è rimasto ai margini del discorso politico israeliano. Ora è entrato nel mainstream.

Movimenti per la ricostruzione del Terzo Tempio hanno guadagnato terreno e il veto religioso contro il pregare sul Monte del Tempio è scemato. Trent'anni fa, Yehuda Etzion, un leader del movimento, è stato condannato per aver progettato di far saltare in aria la Cupola della Roccia. Oggi, egli gode dell’appoggio della destra. "Il Tempio si ergerà a spese delle moschee, non c'è dubbio su questo", ha detto Etzion.

A poche centinaia di metri da al-Aqsa, il quartiere palestinese affollato e povero di Silwan è nelle prime fasi di giudaizzazione. Ora è indicato come la Città di Davide. Subito dopo che i coloni hanno occupato 23 appartamenti a Silwan, alla fine di settembre, e violenti scontri ne sono seguiti, è apparso un annuncio di congratulazioni per lo sforzo sionista dei coloni: "Il rafforzamento della presenza ebraica a Gerusalemme è la nostra sfida comune, con il vostro atto di insediamento, voi ci rendete orgogliosi."

I loro nomi erano in prima pagina. Il premio Nobel Eli Wiesel; Shlomo Aharonishky, ex-capo di stato maggiore della polizia israeliana; il generale in pensione Amos Yadlin, ex capo dei servizi segreti nelle Forze di Difesa israeliane e un possibile contendente per la leadership del partito laburista. Come ha osservato Meron Rapoport, collaboratore di Meedle East Eye: "In breve, non un gruppo di pazzoidi di destra, ma la carne e le ossa della classe dirigente di Israele"

I coloni della "Città di Davide" sono solo la parte visibile di un atto più ampio di espropriazione. Dichiarare la zona Patrimonio Nazionale Ebraico, nonostante il fatto che nessuna prova archeologica attendibile sia stata trovata, che colleghi re David alle pietre rinvenute durante gli scavi, ha legittimato gli atti dei coloni.

L'acquisizione di Silwan non è un'attività marginale. Il ministro israeliano degli alloggi, Uri Ariel, un membro anziano del partito ebraico Home, ha cercato di affittare un appartamento lì.

Sami Abu Atrash, un collega di Yusef al-Ramouni, l’autista trovato appeso a una barra di acciaio dell’autobus che guidava per la Compagnia Egged, ha riassunto l'atmosfera a Gerusalemme Est di Martedì. Parlando con Middle East Eye: "Sono contro di noi. Non vogliono che alcun palestinese viva su questa terra. Vogliono trasferire tutti ... Noi lavoriamo per il popolo ebraico, e li aiutiamo, per tutto il tempo, giorno e notte. Ma gli israeliani, e non sono solo i coloni, è il governo, li sta spingendo ad ucciderci, a distruggere le nostre case, questo è il sistema di governo contro il popolo palestinese"

Ciò che sta succedendo a Gerusalemme Est ha costretto anche i più filo occidentali e compiacenti leader arabi, come il re Abdullah di Giordania, a ritirare il suo ambasciatore. Il re sta agendo fuori del pragmatismo. Egli è consapevole della presenza di sostenitori dello Stato islamico in Giordania, per non parlare della maggioranza palestinese nel regno hashemita. Abdullah sa che nulla può unificare gli arabi più rapidamente di Gerusalemme.

Il che ci porta all'ultima e forse più significativa differenza tra questa rivolta palestinese, se tale si rivelerà, e le ultime due intifada. Se si materializzasse, sarebbe combattuta dai palestinesi all'interno delle mura che Israele ha costruito intorno a sé, dagli abitanti di Gerusalemme est e dai palestinesi del 1948, che sono cittadini israeliani. A differenza delle precedenti due intifada, questo conflitto non sarà contenuto all'interno di confini sicuri, come ad esempio quelli garantiti da Stati forti, similmente amichevoli ed ostili. Mubarak è scomparso, e una grande insurrezione jihadista è in lotta per il controllo della penisola del Sinai. Le forze di Bashar Assad controllano più confine settentrionale di Israele sulle alture del Golan. Fare di Gerusalemme una zona di battaglia, nel più ampio caos del mondo arabo, in cui quattro stati sono falliti, significa invitare ogni combattente arabo a combattere per la città santa.

E Gerusalemme diventerà sicuramente una zona di battaglia, se il ministro della pubblica sicurezza facilita i controlli sulle licenze per le pistola dei cittadini ebrei di Israele, mentre Gerusalemme Est viene bloccata da posti di blocco e pattuglie di polizia, e la risposta del governo è quella di demolire le case dei palestinesi mentre annuncia 78 nuovi insediamenti.

Così Netanyahu, per una volta, è giusto. Questa è una battaglia per Gerusalemme. Sarà l'ultima battaglia palestinese combattuta prima che gli ebrei israeliani prendano Gerusalemme est. Oppure la prima battaglia di una lotta più ampia, in cui Gerusalemme funge da calamita per i militanti da ovunque essi provengono, siano essi sunniti o sciiti, laici o islamisti, takfiri, jihadisti, o nazionalisti. Netanyahu ha scelto un campo di battaglia capace di richiamarli tutti.


The Huffington Post
https://www.middleeastmonitor.com
Thursday, 20 November 2014

The battle for Jerusalem
By David Hearst

To be a Palestinian resident of Jerusalem is to suffer from a special form of statelessness. They are citizens neither of Israel nor of Palestine. They cannot vote. They have no official passports and cannot freely cross borders.

They have the right to residency in Jerusalem, but it is a daily battle to keep it. Under the Israeli Ministry of Interior's "center of life" policy, they have to continuously disprove a negative, that their real family life is not elsewhere. This means endlessly collecting receipts as proof of their life in Jerusalem like medical prescriptions and school registrations. Inspectors go as far as counting the clothes in a wardrobe or the food in the fridge, as evidence of the claimed number of children living in the family home.

Obtaining citizenship of any country or spending too long abroad are both reasons for the revocation of the residency status, which cannot be handed down to children. They cannot build onto their houses, and if they do, they have to pay to have the extension knocked down, or knock it down themselves. This is the community from which the two men who shot and hacked worshippers in early morning prayers in a synagogue in West Jerusalem on Tuesday came from.

There is another element peculiar to this attack on a Jewish religious target. Ghassan Abu Jamal, 23, and Odai Abu Jamal, 30, were not members of a religious Palestinian group. They came from the Popular Front for the Liberation of Palestine (PFLP) -- a secular, revolutionary, leftist organisation founded by George Habash, a Palestinian Christian, responsible in the 1960s for a series of aircraft hijackings.

This brings us to the third new element in this attack: The PFLP did not, on the available evidence, order or plan this attack. A statement posted on the group's Facebook page supported the attack and identified the attackers as members of the PFLP, but a press release emailed on behalf of the group omitted any affiliation the men had to the group. The PFLP in Gaza wanted to claim responsibility for the attack, the West Bank did not. This is similar to the abduction and murder of three settler youths by members of Hamas, which Hamas itself did not know anything about.

Ofer Zalzberg, senior Middle East analyst at the International Crisis Group (ICG) put his finger on what is happening here.

"There is no leader to go to that can represent the needs and demands of East Jerusalemites or Palestinians in general. For Palestinians, Abbas does not seem to act, Jordan's actions are limited, while most of the Arab or Islamic world doesn't seem to be mobilising...No one is acting in the face of perceived threats among Palestinians in East Jerusalem and therefore in the absence of leaders, individuals react."

While Benjamin Netanyahu claimed that Mahmoud Abbas' "incitement" was responsible for the synagogue attack, a young woman in Ramallah put a video up lambasting the Palestinian president for condemning it. Kristina Yousef said:

"Mr. President! Where were you a month ago? Where were you when child Turin was killed? Where were you yesterday when Yousef al-Ramouni was strangled to death while on the job? Did you watch the video of his wife when she was weeping and crying? Where are you? Do you watch the news? Where are you?We are not in a state of war. We are in the middle of a massacre. We have lost all hope. These are the ones who lift our heads high while you come out to condemn (them)? Where are the violations of Al-Aqsa? Here is Al-Aqsa. It has only a few years to go. They have been demolishing it. They are digging underneath it. Every day, the women at Al-Aqsa get beaten. Why are you not coming out to denounce this? If you do not want to stand by us, then sit on the side. Believe me, we can do the job instead of you. We can defend our country; we do not need you."

Like it or not, this is an authentic Palestinian voice. Her video went viral. The issue, then, is not the degree to which Abbas condemns or dissociates himself with the Palestinians who carry out these attacks. On this point, the Shin Bet service chief Yoram Cohen bluntly contradicted his prime minister. The issue is the extent to which Abbas, the Palestinian Authority, and indeed all Palestinian factions have lost control of events taking place on the ground. The Palestinians of East Jerusalem are not only stateless, but leaderless too.

Yousef's voice should not come as a surprise. Hers is the product of the generation that has grown up under a policy that has been consistently applied and internationally supported. It is to suppress all political opposition in the West Bank, isolating Jerusalem, to allow Abbas to speak. Abbas' voice comes at the expense of silencing all others.

The policy has been undermined in two ways. Israel collectively has stopped listening to Abbas. And the Palestinian president has stopped being listened to by Palestinians themselves.

The red line in this battle is al-Aqsa in particular and Jerusalem in general. There is no question in the minds of the Palestinians of East Jerusalem but that Israel has already crossed this line. Attacking places of worship has alas become commonplace. Since June 2011, 10 mosques in Israel and the West Bank have been set on fire by presumed right-wing Jewish extremists. No charges have been filed. Over 63 mosques were destroyed and 153 partially damaged in Israel's attack on Gaza.

Ever since the occupation of East Jerusalem in 1967, there were Jews who aspired to remove the mosque of al-Aqsa and the Dome of the Rock and replace it with the Third Temple. There was always a brisk trade in pictures of the Holy City with al-Aqsa and the Dome of the Rock photoshopped out. But this sort of wish fulfilment remained on the fringe of Israeli political discourse. Now it has entered the mainstream.

Movements for the rebuilding of the Third Temple have gained ground and the religious veto against praying on the Temple Mount has waned. Thirty years ago, Yehuda Etzion, one the movement's leaders, was convicted of planning to blow up the Dome of the Rock. Today, he enjoys right-wing backing. "The Temple will rise on the expense of the mosques, there is no doubt about it," said Etzion.

Just a few hundred meters away from al-Aqsa, the crowded and poor Palestinian neighbourhood of Silwan is in the first stages of Judaisation. It is now referred to as the City of David. Just after settlers took over 23 more apartments in Silwan at the end of September, and violent clashes ensued, an advert appeared congratulating the settlers on their Zionist endeavour. "The strengthening of Jewish presence in Jerusalem is our common challenge," went the ad. "With your settlement act, you make us proud."

Who put their names on the front page ad? Nobel Laureate Eli Wiesel; Shlomo Aharonishky, ex-chief of staff of the Israeli Police; and retired general Amos Yadlin, former head of intelligence in the Israeli Defense Forces and a possible contender for the leadership of the Labor Party. As MEE contributor Meron Rapoport noted: "In short, not a bunch of right-wing lunatics, but the flesh and bone of the Israeli establishment."

The settlers of the "City of David" are just the visible part of a broader act of dispossession. Declaring the area a Jewish National Heritage site, despite the fact that no reliable archeological evidence has been found linking King David to the stones uncovered during the excavations, has legitimised the acts of the settlers.

The takeover of Silwan is not a fringe activity. Israel's housing minister Uri Ariel, a senior minister from the Jewish Home party, has looked into renting an apartment there.

Sami Abu Atrash, a colleague of Yusef al-Ramouni, found hanging from a steel bar in the Egged bus he drove summed up the atmosphere in East Jerusalem on Tuesday. He told the Middle East Eye:

"They're against us. They don't want any Palestinians to live on this earth. They want to transfer all the people ...We work for the Jewish people, and help them, all the time, day and night. But the Israelis - and it's not just the settlers - it's the government - they are pushing them to kill us, and destroy our houses. It's the system of the government against the Palestinian people."

What's going in East Jerusalem has forced even the most West-leaning and compliant of Arab leaders, King Abdullah of Jordan to withdraw his ambassador. The king is acting out of pragmatism. He is mindful of the presence of Islamic State supporters in Jordan, to say nothing of the Palestinian majority in the Hashemite kingdom. Abdullah knows that nothing can unify Arabs as quickly as Jerusalem.

Which brings us to the last and perhaps most significant difference between this Palestinian uprising, if such it proves to be, and the last two. If it does materialize, it will be fought by Palestinians inside the walls that Israel has constructed around itself, by the East Jerusalemites and the Palestinians of 1948, who are Israeli citizens. Unlike the previous two intifadas, this conflict will not be contained inside secure borders, such as were guaranteed by strong states, friendly and hostile alike. Egypt's Mubarak has disappeared, and a very large jihadi insurgency is battling for control of the Sinai Peninsula. Bashar Assad's forces no longer control Israel's northern border on the Golan Heights. To make Jerusalem a battle zone, in the circumstances of chaos in the wider Arab world, where four states have failed, is to invite every Arab fighter in.

And Jerusalem will surely become a battle zone, if the public security minister eases controls on gun licenses to Israel's Jewish citizens, East Jerusalem becomes locked down by roadblocks and police patrols, or the response of the government is to demolish Palestinian houses while announcing 78 new settlements.

So Netanyahu, for once, is right. This is a battle for Jerusalem. It will either be the last battle Palestinians will fight before Israeli Jews take East Jerusalem over. Or it is the first battle of a larger struggle -- in which Jerusalem serves as a magnet for militants from wherever they hail -- Sunni or Shia, secular and Islamist, takfiris, jihadis, or nationalists. Netanyahu has picked the one battleground capable of drawing them all in.

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