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28 maggio 2014

La stella che volle restare sulla terra
di Patrizia Cecconi

Racconta una bella leggenda palestinese cristiana che il giglio di campo, o stella di Betlemme, fu capace di ribellarsi al suo destino: tornare in cielo come si conviene a ogni astro celeste. La sua resistenza incontrò il favore dell’arcangelo Michele che decise di intercedere con l’onnipotente. La metamorfosi avvenne: una stellina bianca a sei petali con la punta degli stami giallo oro. Con il giglio campestre, Patrizia Cecconi, apre uno spazio periodico e libero per raccontare ai lettori di Comune una Palestina sorprendente quanto meravigliosa. Sorprendente come la verità che, improvvisa, si svela in una terra martoriata dalle menzogne e meravigliosa come la gente che abita la terra più amata del pianeta. Tra le meraviglie di quella gente, c’è la capacità di curare, malgrado lo scempio sistematico dei diritti, le ferite dell’anima. Proprio come nella floriterapia del dottor Bach, nel suo piccolo, riesce a fare il delicato giglio di campo 

Oggi voglio parlare di un piccolo giglio di campo. Il nome comune è “stella di Betlemme”, in arabo si chiama Najma Beit Lahem. E’ conosciuto anche nella flower therapy di Bach col nome inglese di “star of Bethlehem”.

E’ un piccolo fiore bianco, si trova anche su questa sponda del Mediterraneo – del resto come gran parte della flora palestinese – ed è diffuso nello stesso areale dell’olivo. Fiorisce in primavera.

E’ un fiore spontaneo, e per ciò stesso non sempre valorizzato. Si sa, senza valore economico spesso si perde valore tout court. Ma non se si guarda con la giusta lente. Forse per questo un paio di millenni fa, guardato nel modo giusto, questo piccolo fiore fu considerato tanto bello che neanche il più ricco vestito del re Salomone sarebbe mai stato alla sua altezza. Parola di Matteo l’evangelista.

Per conferirgli la dovuta dignità scientifica, va detto che appartiene alla famiglia delle liliaceae (o hyacinthaceae), al genere Ornithogalum e alla specie umbellatum, per cui il suo nome botanico è Ornithogalum umbellatum, nome che in qualche campagna italiana, per antica memoria del latino e anche del greco, ha trovato una poco poetica traduzione in “latte di gallina”.

Questo giglio campestre, secondo una leggenda palestinese cristiana, altro non sarebbe che la metamorfosi della stella cometa la quale, dopo aver guidato i Magi ed aver visto il Bambino nella grotta, non voleva più lasciare la terra. A credere alla leggenda ci sarebbe stata una bella lotta tra il suo destino predeterminato e la sua volontà di modificarlo. La cometa infatti doveva tornare in cielo a vivere e morire come le altre stelle. Ma fece una resistenza così tenace che alla fine l’arcangelo Michele si commosse, convinse l’Onnipotente, e si ebbe la metamorfosi: una stellina bianca a sei petali con la punta degli stami giallo oro come si pensa possano essere le punte di una stella.

Come tutte le liliaceae, la stella di Betlemme si sviluppa da un bulbo sotterraneo. Da questo, a fine inverno, spuntano delle foglie lunghe, lineari, attraversate longitudinalmente da una linea bianca. Poi spunta lo stelo, che non supera generalmente i 30 centimetri e alla sua sommità sboccia l’infiorescenza composta da un ciuffo di 7-8 e più fiori che si aprono alla luce del sole e si chiudono al tramonto, nascondendosi alle altre stelle.

Questa piantina perenne, bella, delicata e luminosa, è però altamente tossica. Lo è in ogni sua parte e in modo particolare nel bulbo. Se ingerita può provocare la morte per arresto cardiaco poiché contiene un alto quantitativo di glicosidi cardioattivi. E’ bene quindi che i bambini non la prendano in considerazione nei loro giochi.

Ma come molte piante velenose, anche l’Ornithogalum umbellatum ha la sua funzione come farmaco. Non a caso il termine “farmaco” viene dal greco e significa veleno. Tutto sta nel saperlo usare! Non deve stupire, quindi, se da questa pianta potentemente tossica si ricavano farmaci omeopatici per problemi gastrici e addominali di diversa gravità, compreso il cancro all’intestino.

Ma la sua fama, la stella di Betlemme, la deve in particolare al dr. Edward Bach, il padre della floriterapia, un ramo relativamente giovane della fitoterapia. Fu lui, infatti, a trovarne i principi capaci di curare  disturbi dovuti a traumi fisici o psicologici subiti in seguito a incidenti, violenze, lutti o gravi spaventi. Nella floriterapia di Bach questo fiore è il numero 29 e rientra in tutti i rimedi d’emergenza. E’ usato per curare i postumi di shock sia recenti che di vecchia  data, per esempio risalenti all’infanzia che, nello specifico palestinese, potrebbe coincidere con la Nakba per le persone molto ricche di anni, o con la Naqsa, per quelle non giovanissime, ma abbastanza giovani, oppure, per tutte le altre,  con l’abbattimento di una casa o di un oliveto, o con un’incursione militare, o con un sequestro di persona erroneamente definito arresto, o con l’aver assistito a uno o più omicidi  da parte dell’esercito che occupa la Palestina, e così via.

Tutti questi casi rientrano nei traumi che generano quelle che il dr. Bach – pur ignaro della specifica situazione palestinese – definì “ferite dell’anima”. Ma il fiore n. 29 serve anche nei casi di shock fisici, cioè “ferite del corpo”, come ad esempio percosse o ferite da arma da fuoco causate da coloni o da militari senz’altra legge che la propria. Per questo secondo tipo di ferite i rimedi floriterapici consistono in creme che facilitano la cicatrizzazione, mentre per le ferite dell’anima il preparato è una tintura officinale che va somministrata a gocce.

Il dr. Bach nel suo manuale indica la stella di Betlemme come rimedio utile a “coloro che soffrono parecchio a causa di eventi che per un certo periodo sono fonte di grande infelicità… poiché rimuove i traumi e rimargina le ferite del corpo e dell’anima”. Ma il dr. Bach non aveva preso in considerazione il perpetuarsi del trauma!

Pertanto, in attesa che la giustizia, di cui ancora non si conosce il fiore, prenda il posto dell’occupazione militare e del sopruso, i prati palestinesi a primavera seguiteranno a riempirsi di bellissimi, nivei, gigli di campo che, a occupazione sconfitta potranno curare davvero le ferite dell’anima prodotte da tanti anni di violenza.

Patrizia Cecconi, studiosa di psicologia sociale e presidente dell’associazione Amici della mezzaluna rossa palestinese rossa. Ha scritto diversi libri: Lessico deviante e Vagando di erba in erba. Racconto di una vacanza in Palestina,  Città del sole edizioni; Belle e selvatiche. Elogio delle erbacce Chiedenti editore. Tra le molte altre cose, cura un blog dedicato alla vita delle piante in Palestina, la terra che le scorre nelle vene, dove pubblica i testi che ha scelto di inviare a Comune-info e all’agenzia di stampa Nena News, diretta da Michele Giorgio, storico corrispondente del manifesto, la fonte italiana più autorevole e attenta alle notizie mediorientali.

 L’adesione di Patrizia Cecconi alla campagna Ribellarsi Facendo 

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