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25 aprile 2 014

La crisi morale alla base della pace di Obama
di Ramzy Baroud
Traduzione di Maria Chiara Starace

Per comprendere come sono stati  sconsiderati  i tentatevi per il più recente ‘processo di pace’, bisogna soltanto considerare  alcuni  dei personaggi coinvolti in questo teatrino politico. Una figura che particolare spicca come  dimostrazione   dell’azione di per sé futile, è Martin  Indyk.

Indyk, ex ambasciatore degli Stati Uniti a Israele, è stato scelto dal Segretario di stato John Kerry  per il ruolo di Inviato Speciale per i negoziati tra Israele e l’Autorità Palestinese. In circostanze normali, la scelta di Kerry potrebbe apparire n un certo modo razionale. Spesse volte gli ex ambasciatori possiedono la competenza necessaria per percorrere scenari politici impegnativi in paesi dove hanno in precedenza operato. Queste, però, non sono circostanze normali, e Indyk non è certo un diplomatico

Quando il processo  di pace promosso dagli Stati Uniti ha cominciato a vacillare, Kerry ha fatto una mossa particolare, mandando il suo inviato Indyk a Gerusalemme.

Venerdì 18 aprile Indyk ha accettato il compito di parlare separatamente a entrambe le parti. I media internazionali hanno definito l’evento come l’ultimo disperato tentativo di riaprire i colloqui e di aiutare a gettare un ponte tra Mahmoud Abbas dell’Autorità Palestinese e Benjamin Netanyahu di Israele. La visita dell’inviato ha avuto luogo un giorno dopo gli intensi e difficili colloqui che è stato riferito essersi svolti tra i negoziatori israeliani e quelli dell’Autorità Palestinese. “Non è stato fatto alcun passo avanti,” ha detto all’Agenzia  France Press una fonte ufficiale palestinese riguardo all’incontro di giovedì [17 aprile].

Non è che ci si aspettassero dei progressi. Entrambe le parti non parlano della risoluzione del conflitto in sé, ma le considerazioni riguardavano soprattutto il rinvio della scadenza fissata da Kerry di “accordo quadro”, programmata per il 29 aprile.

Gli americani vogliono mantenere la farsa per ragioni diverse dalla pace. Senza un ‘processo di pace’ agli Stati Uniti sarà negata un’importante piattaforma politica in Medio Oriente. Le amministrazioni statunitensi si sono conferite il titolo di ‘onesto mediatore’. Naturalmente non ci vuole alcun talento speciale per capire che gli americani non erano quasi per nulla onesti nella loro condotta con entrambe le parti. In effetti gli Stati Uniti non erano affatto una terza parte, ma erano e rimangono saldi nel campo israeliano. Hanno usato la loro influenza politica e finanziaria come piattaforma che ha permesso loro di far avanzare per prima cosa gli interessi di Israele e per seconda i loro. Indyk è un esempio di questo.

Martin Indyk, il potenziale messaggero di pace, ha lavorato per il gruppo di pressione  filoisraeliano AIPAC nel 1982. L’AIPAC (Comitato israelo-americano di affari pubblici) è un ‘canale’ della destra che ha investito fondi ed energia  illimitati per impedire qualsiasi risoluzione giusta e pacifica del conflitto. Ha una presa così forte sul Congresso degli Stati Uniti, in misura tale  che alcuni hanno suggerito che il Campidoglio è diventato, in un certo senso, un territorio occupato da Israele e dai suoi alleati. Il più importante contributo di Indyk a Israele è stato, tuttavia la fondazione dell’Istituto di Washington per la politica del Vicino Oriente (WINEP) nel 1985, un altro ‘canale’ della lobby israeliana che ha fatto danni tremendi alla credibilità della politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente, avendo usando gli ‘intellettuali’ e gli ‘esperti’  come mezzi.

In un pezzo scritto l’anno scorso sul blog Mondoweiss, [il giornalista e blogger americano] Max Blumenthal ha ricordato alcune interessanti affermazioni fatte da Indyk al primo convegno internazionale a di J Street a Washington D.C. nel 2009.  J Street è un altro gruppo della lobby israeliana che si è brillantemente distinto per essere favorevole alla pace, facendo quindi  credere con l’inganno a molte persone che il dominio dell’AIPAC (Comitato israelo-americano per gli affari pubblici) a Washington viene seriamente contestato. Tuttavia le loro affermazioni formulate con intelligenza e anche  il vivace passato dei suoi onorati ospiti, danno indicazioni diverse. Indyk, il lobbista della destra israeliana, faceva in realtà parte degli amici. Blumenthal raccontava:  “Mi ricordo di essere capitato per caso in un enorme auditorium per sentire Indyk descrivere come avesse fatto la ‘aliyah’ (emigrazione)  a Washington’ negli anni ’80 per assicurarsi che la politica degli Stati Uniti rimanesse tendenzialmente a favore di Israele, e ha continuato incolpando Arafat del fallimento di Camp David.”

Ha citato Indyk: “Sono arrivato a quella conclusione 35 anni fa, quando ero studente a Gerusalemme ed è scoppiata la guerra dello Yom Kippur,” ha detto Indyk. “Lavoravo lì come  volontario  in quei giorni terribili quando la sopravvivenza di Israele sembrava  essere in bilico e io sono stato testimone della tristezza della guerra e del ruolo fondamentale che gli Stati Uniti svolgevano con Henry Kissinger per mezzo di diplomazia attiva al fine di costruire la pace da quella guerra orrenda.”

Questi fatti da Indyk  non erano commenti contingenti ma un riflesso dell’impegno eterno dell’uomo, non per la pace, ma verso Israele, o, più precisamente, per la ‘pace’ come è concepita da Israele, che è il fulcro della crisi attuale. Il Primo ministro israeliano Netanyahu non smette mai di parlare di pace, come anche il Ministro degli esteri Avigdor Lieberman.  Perfino il Ministro dell’economia, leader del partito estremista, The Jewish Home, noto per la sua retorica aggressiva, è un ardente fautore della pace. Ma non è la pace che è basata sulla giustizia, o quella prevista dalle leggi internazionali e umanitarie. E’ una pace fatta specificamente su misura e che permetterebbe a Israele di mantenere un programma chiaramente razzista, e una politica coloniale di accaparramento di terre.

Come ci si aspettava, questo è lo stesso tipo di ‘pace’ che anche gli americani immaginano. Il nuovo piano di Kerry non è del tutto una rielaborazione dei vecchi piani. Sì, è anche questo, ma abbraccia quasi completamente le idee una volta inverosimili, di Lieberman e dei gruppi di destra , quella delle annessioni – la Valle del Giordano – e delle cessioni di  terra  di terra in cambio di blocchi di insediamenti. Quando Lieberman proponeva queste idee alcuni anni fa, sembrava un politico folle. Grazie a Kerry, fanno ora parte delle opinioni correnti.

E così, Indyk, che ha dedicato una vita ad assicurare un stile israeliano di ‘pace’, viene ora, come per magia,  etichettato come colui che cerca di ripristinare i colloqui e di esercitare pressioni su entrambe le parti, come farebbe qualsiasi ‘mediatore onesto’ in queste situazioni. Indyk, però, non è il solo lobbista che si è trasformato in sostenitore della ‘pace’. E’ uno dei molti.

Dennis Ross, uno degli più importanti falchi politici di Washington da molti anni, e forte sostenitore della disastrosa guerra in Iraq, ha fatto da Coordinatore Speciale di Bill Clinton per il Medio Oriente, ed è stato scelto personalmente dal presidente Barack Obama proprio agli inizi, per continuare  svolgere lo stesso ruolo nella nuova amministrazione. A parte i forti collegamenti del diplomatico  con i neoconservatori, specialmente con quelli convolti negli ora defunti gruppi favorevoli alla guerra, cioè  il Progetto per il Nuovo Secolo Americano (Project for the New American Century), ha fatto anche da consulente allo stesso circolo di pressione fondato da Indyk, il WINEP).

Naturalmente non è stata una coincidenza. Il WINEP, come altri gruppi filo-israeliani è servito come piattaforma di difesa per Israele, e ha anche  formato  i cosiddetti ‘pacificatori’ israeliani. Stranamente, sia Dennis che Indyk hanno dato la colpa ai palestinesi per il fallimento dei precedenti colloqui di pace. Blumenthal ha astutamente messo in evidenza l’invettiva di Indyk a J Street in cui incolpava il defunto leader dell’OLP, Arafat con “quel suo grande sorriso di soddisfazione” per

il fallimento dei cosiddetti parametri di pace di Clinton, malgrado il fatto che Arafat in realtà li avesse accettati.

Indyk riandava al passato. “Mi ricordo Shimon Peres che mi diceva, nel periodo in cui Arafat doveva decidere se accettare i Parametri di Clinton – che la storia è come un cavallo che passa al galoppo sotto la vostra finestra e la vera azione dello statista è di saltare da quella finestra su quel cavallo. Però, naturalmente Arafat ha lasciato che il cavallo proseguisse la sua corsa,  lasciando gli israeliani e i palestinesi impantanati nell’infelicità.”

Ora è Indyk, il lobbista israeliano irriducibile che è stato mandato con un altro cavallo galoppante sotto la finestra di Abbas. Sappiamo tutti bene come questa faccenda finirà, e possiamo immaginare Indyk che fa un altro discorso a un convegno dell’AIPAC o di J Street nl quale deride Abbas per non essere riuscito a saltare sul cavallo.


Ramzy Baroud è caporedattore del sito web Middle East Eye. E’ un opinionista che scrive sulla stampa internazionale, consulente nel campo dei mezzi di informazione, collaboratore e fondatore del sito PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story(Pluto Press, Londa).  [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata].


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/moral-crisis-at-heart-of-obama-s-peace

Originale: non indicato

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