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apr 28th, 2014

Abu Mazen punta tutto sulla pressione internazionale. Israele sempre più isolato
di Enrico Oliari

Questa volta il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha in mano buone carte: con pazienza ha saputo temporeggiare, aspettando prima l’avvio dei negoziati di pace, caparbiamente voluti dal Segretario di Stato Usa John Kerry. Quindi ha approfittato della scontata incrinatura degli israeliani, che lo scorso 2 aprile hanno interrotto i colloqui e sospeso la liberazione precedentemente concordata dei prigionieri.
Da quel momento Mahmoud Abbas (vero nome di Abu Mazen) ha saputo diventare lui il conduttore del gioco, prima firmando una quindicina di trattati internazionali e poi portando a casa la ritrovata amicizia con Hamas, partito di ispirazione più radicale egemone a Gaza.
L’impressione è che il leader di al-Fatah stia gradualmente “facendo cappotto” ad un Israele sempre più isolato ormai anche dai più classici alleati, come l’Unione europea, che ha già stabilito di interrompere i rapporti con le aziende, le banche e le organizzazioni israeliane che operano nei Territori occupati, e gli Stati Uniti, che sulla mediazione dei “Due Stati” hanno puntato il rilancio della propria immagine in tema di politica estera.
Le dichiarazioni di questi giorni hanno dello storico, ma fotografano chiaramente il clima di fibrillante evoluzione in atto: John Kerry ha dichiarato che “Ribadiremo la soluzione dei due Stati come l’unica vera alternativa. Perché uno Stato unitario finisce per essere uno Stato in cui vige l’apartheid, con cittadini di seconda classe”.
Abu Mazen, che in occasione della riapertura del dialogo con Hamas ha detto che “Non accetteremo mai di riconoscere uno Stato ebraico”, anche perché “i palestinesi hanno riconosciuto lo stato di Israele nel 1993″, ha aspettato il Giorno dell’Olocausto per definire lo stesso, in un “messaggio speciale al popolo ebraico”, come “il più odioso crimine contro l’umanità avvenuto nell’era moderna”. Il messaggio, diffuso dall’agenzia palestinese Wafa, continua parlando di “simpatia alle vittime e agli innocenti assassinati dai nazisti”, ovvero “agli ebrei ed agli altri”. Quindi passa alla richiesta formulata alla comunità internazionale di “fare ciò che può per combattere il razzismo e l’ingiustizia al fine di sostenere gli oppressi ovunque siano”. “I palestinesi – ha aggiunto Abu Mazen – soffrono a causa dell’ingiustizia, dell’oppressione, della mancanza di libertà e pace” per cui “chiediamo al governo israeliano di sfruttare l’attuale opportunità per siglare una pace giusta e onnicomprensiva nella regione, basata sulla visione dei due Stati, Israele e Palestina, fianco a fianco, in pace e sicurezza”.
Dopo che già all’inizio di aprile l’Anp aveva firmato una quindicina di trattati internazionali, tra i quali la Quarta convenzione di Ginevra del 1949 e il Diritto internazionale umanitario su guerra e occupazione dei territori, oggi è stata comunicata l’imminente firma di altri 60 trattati; ed è stato ribadito che la condizione per riprendere i negoziati con gli israeliani sono il riconoscimento da parte del governo di Benyamin Netanyahu dei “confini del 1967”, il blocco completo delle costruzioni negli insediamenti e la ripresa della liberazione dei prigionieri palestinesi.
Tuttavia dalle parti di Tel Aviv non si vuole sentire ragione: il premier Benjamin Netanyahu, che ha bollato le dichiarazioni di Abu Mazen sull’Olocausto come un “tentativo di compiacere la comunità internazionale”, ha ribadito che “se l’Anp non interrompe il dialogo con Hamas, Israele non avrà dialogo con l’Anp”.
Le posizioni degli israeliani rimangono diametralmente opposte a quelle dei palestinesi, ovvero, come è stato affermato da fonti governative solo due giorni fa, “il congelamento degli insediamenti, il rilascio dei prigionieri e la definizione dei confini del futuro Stato palestinese” rimangono, “condizioni che Israele non le accetterà mai”.

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