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17 Marzo 2014

Anche solo per una strofa che mi piace…
di Eva Ziedan

Sono trascorsi tre anni dall’inizio della rivoluzione siriana. Rivoluzione? Rivolta? Guerra civile? Conflitto?

Sono termini che si usano non solo sui mezzi di informazione internazionali, ma anche tra gli stessi attivisti siriani.

Alcuni di loro, da quando hanno cominciato la loro attività, hanno difeso e sostenuto il modo pacifico di manifestare. Il regime ha continuato ad arrestarli ripetutamente, limitando sempre più la loro attività e bloccando questo movimento pacifico, fino a costringerli a lasciare il Paese. Ora la maggior parte di questi attivisti lavora nei campi profughi in Turchia e in Libano, e alcuni di loro dicono di non voler sentire più palrare di “rivoluzione”, perché “la rivoluzione è morta”.

“Dovreste vedere le persone nei campi profugni come vengono umiliate, sono migliaia. Per non parlare di alcune Ong che ruotano attorno alla Siria e di quello che stanno incolpevolmente causando: scelgono gli attivisti più bravi sul campo e gli offrono asilo politico, borse di studio, stipendi più alti, anche venti volte superiori a quello che prenderebbero all’interno del Paese. In questo modo la Siria viene progressivamente svuotata della gente migliore che potrebbe ricostruire il Paese. Guardate come l’opposizione sta vendendo il Paese al miglior offerente. La gente è stanca. La gente che sta pagando questa rivoluzione è stanca”.

“Quale anniversario e quale festa dobbiamo ricordare? Dove? Fuori dal Paese o dentro al Paese, costretti tra il regime e l’Isis e tra la gente che muore?”

Jaidaa che è stata liberata da poco, dopo sei mesi trascorsi nelle carceri del regime, dice: “Non dobbiamo dimenticare che questa è una Rivoluzione, dobbiamo ribellarci contro quelli che non la chiamano così. Io festeggerò l’anniversario della rivoluzione!”.

“In base a quale criterio si può giudicare una rivoluzione dopo soli tre anni? Chi conosce il regime sa che questa rivoluzione continuerà a costare cara al popolo e durerà ancora molto”.

“La rivoluzione non è un angelo: ci sono stati molti errori e ora i siriani stanno imparando che devono occuparsi di se stessi, abbandonando la speranza di essere sostenuti dal mondo, che -  in modo consapevole o meno – sta alimentando sempre più le fiamme del fuoco siriano. La rivoluzione non è una fazione contro un’altra. La rivoluzione non muore perché è una idea e gli ideali non muoiono mai”.

Sabah di Aleppo dice: “Quale rivoluzione? Condoglianze! Siamo caduti in un gioco mondiale. Vivo nella preferia occidentale di Aleppo. Prima c’era l’Isis che ha ucciso molti di noi, distrutto ogni barlume di attività civile che avevamo costruito dopo la liberazione dal regime. Allora il regime non ci aveva mai bombardato. Ora L’Isis è uscito dalla periferia occidentale della città e il regime ha cominciato a bombardarci. Sono funghi velenosi che vivono uno sull’altro. E sono sempre loro i più forti”.

Juri di Daraa invece sostiene che “bisogna insistere sulle campagne per raggiustare la strada della rivoluzione e ricordare alla gente per quale motivo era uscita a manifestare”.

Sono attivisti che non vanno d’accordo tra loro. Dialogo con il regime? Ci vuole tanto per riuscire a farli dialogare tra loro! Tra chi è per l’anniversario della rivoluzione e chi è contrario. Però su un punto tutti sono d’accordo: non possono tornare indietro e non lo vogliono nemmeno. Tutti loro quando finiscono di litigare, piangono in silenzio, per l’odio che nutrono contro l’uomo seduto a Damasco, che non ha ancora disatteso le sue promesse: sta bruciando il Paese. E trasformerà la Siria in un nuovo Afghanistan, così come aveva predetto.

Alhareth un ragazzo di Deir ez Zor, quando mi ha salutato sul confine turco-sirano, mentre attraversava il fiume in un secchio, mi ha urlato: “Io la chiamo rivoluzione e la voglio festeggiare anche tra i morti. Succede spesso che ascolto molte volte una canzone lunga: la riascolto solamente per una strofa che mi piace”.

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