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Venerdì, 12 Dicembre 2014

Pamuk e la punta dell’iceberg
di Marco Cesario

Il clima di paura e le pressioni esercitate dal governo islamico-conservatore dell’AKP sulla libertà di stampa e sulla libertà di espressione in Turchia non sono certo una novità. Certo quando è il Nobel della letteratura turco Orhan Pamuk a denunciarle è come un sasso nello stagno, che smuove le acque, che però ritornano subito dopo immobili.

Del resto basta sapere che da quando l’AKP ha preso le redini del potere nel 2002 la Turchia è scivolata dal 99esimo al 154esimo posto per quanto riguarda il rispetto della libertà di stampa. Negli anni, il governo dell’Akp ha continuato indisturbato a zittire e imprigionare giornalisti, intellettuali, deputati dell’opposizione, avvocati, professori universitari, studenti, attivisti. E in genere chiunque, attraverso la propria attività, muovesse una minima critica all’operato del governo.  

Pamuk, Shafak, Dink e l’articolo 301 del codice penale turco  

Il caso dello scrittore turco Orhan Pamuk è emblematico : nel 2005 veniva incriminato in virtù dell’articolo 301 del codice penale turco (offesa all’identità turca) per le sue dichiarazioni a mezzo stampa sul genocidio armeno: « In questa terra [Turchia ndr] – aveva detto lo scrittore – sono stati uccisi trentamila curdi ed un milione di armeni ». 

La scrittrice Elif Shafak, l’anno dopo, avrebbe subito la stessa sorte dopo la pubblicazione del suo libro ‘La Bastarda d’İstanbul’, un romanzo di finzione in cui si raccontano le vite parallele di due famiglie, una turca, l’altra armena. Incriminata in virtù dell’articolo 301 e con il rischio di trascorrere tre anni in prigione, nel settembre del 2006 la scrittrice viene assolta.

Anche il giornalista turco-armeno Hrant Dink era stato condannato in virtù dello stesso articolo e di chiarazioni simili a quelle di Pamuk. Se Shafak era stata assolta, per Pamuk c’erano state diverse minacce di morte ma la pressione dell’opinione pubblica internazionale aveva avuto buon gioco. Le accuse caddero nel 2006, pochi mesi prima che venisse insignito del Premio Nobel per la letteratura. Nel marzo del 2011 veniva condannato a pagare una multa di 6.000 lire turche. Per Hrant Dink invece la morte era giunta sottoforma di un sicario che lo freddò con quattro colpi di pistola il 19 gennaio 2007 mentre usciva dalla redazione del settimanale Agos da lui stesso fondato nel 1996.  

Gezi e repressione post-Gezi    

Le proteste di Gezi Parki non hanno migliorato la situazione anzi hanno provocato una recrudescenza del giro di vite liberticida. Il rapporto congiunto della Confederazione dei Sindacati Progressisti di Turchia (DİSK) e del Sindacato dei Giornalisti turchi (Tgs) ha parlato chiaro: l’oppressione governativa che s’è abbattuta sul movimento di contestazione legato a Gezi Park ha provocato il licenziamento di ben 94 giornalisti mentre altri 37 sono stati obbligati a dimettersi. Nel primo semestre del 2014 sono ben 319 i giornalisti che si sono ritrovati a spasso per diversi motivi legati alle proprie attività di giornalismo. Ed in un contesto di paura in cui è sempre più difficile fare il proprio mestiere, i giornali chiudono uno dopo l’altro ed il pluralismo dell’informazione va a farsi benedire.

Dopo la chiusura del quotidiano Karsi Gazete e del canale televisivo Arti1, anche il quotidiano nazionale SoL (organo di stampa del Partito Comunista di Turchia) ha sospeso la sua pubblicazione cartacea e così pure il quotidiano nazionale Radikal che oggi sopravvive solo online.

Gli ultimi casi sono quelli di  Kemal Göktaş, reporter per il quotidiano Milliyet, che rischia due anni e quattro mesi di prigione per aver criticato in un suo articolo una sentenza riguardante un poliziotto che aveva picchiato una donna mentre era in custodia.

Meriç Şenyüz, reporter per il quotidiano Yurt, è stato invece condannato a sei mesi di prigione per un suo articolo riguardo il coinvolgimento del figlio dell’allora primo ministro Erdogan (Bilal) in uno scandalo di corruzione. Anche Özer Sürmeli, corrispondente per il network Ulusal Kanal è stato condannato a cinque mesi di prigione per aver trattato lo stesso tema.

Il quotidiano BirGün è invece sotto inchiesta per aver pubblicato un articolo in cui si criticava il presidente Erdogan ed i suoi piani per introdurre corsi obbligatori di lingua turca ottomana nelle scuole. 

Non è un caso che la Corte Europea dei Diritti Umani (ECHR) abbia condannato a più riprese la Turchia per aver  violato l’articolo 10 della Convenzione Europea che protegge la libertà di espressione. Anche per Freedom House la libertà d’espressione in rete ha subito un calo vistoso nel 2014 in Turchia.   

Associazioni Diritti Umani: il 2014 anno nero per violazioni diritti in Turchia  

Secondo l’İnsan Hakları Derneği (IDH), Associazione per i Diritti Umani in Turchia,  e la Türkiye İnsan Hakları Vakfı (TIHV), Fondazione per i Diritti Umani in Turchia, il 2014 è stato un anno nero per le violazioni dei diritti umani. In un comunicato congiunto le due associazioni hanno denunciato migliaia di violazioni dei diritti umani tra repressione della stampa, (giornali e riviste chiuse, libri confiscati e giornalisti arrestati), uccisioni di attivisti curdi durante le manifestazioni pro-Kobane, migliaia di casi di tortura, anche su bambini (64 casi).

Per il processo KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) migliaia di persone sono state tenute in stato di fermo e 377 arrestate. Secondo il centro di documentaziome del TİHV ci sono stati processi riguardanti reati di opinione contro 181 persone nel 2014 ed i blocchi sui siti in rete nel 2014 hanno superato le 60.000 unità. Insomma la denuncia, doverosa, di Pamuk non è altro che la punta dell’iceberg.  

Update 15-12-2014

Il clima di paura e le pressioni esercitate dal governo islamico-conservatore dell’AKP sulla libertà di stampa e sulla libertà di espressione in Turchia non sono certo una novità. Certo quando è il Nobel della letteratura turco Orhan Pamuk a denunciarle è come un sasso nello stagno, che smuove le acque, che però ritornano subito dopo immobili.

Proprio domenica scorsa, 31 persone, essenzialmente giornalisti dell'opposizione vicini alla confraternita di Fethullah Gülen, sono stati arrestati in Turchia nell'ambito di un'operazione dell'antiterrorismo. La polizia ha effettuato perquisizioni e arresti negli uffici del quotidiano Zaman, il quotidiano più diffuso di Turchia, considerato vicino all'ex alleato di Erdoğan. Agli arresti il direttore della pubblicazione Dumanli, diversi cronisti, produttori televisivi e il presidente della televisione Samanyolu TV, anch'essa nell'orbita della confraternita. Nella lotta fratricida AKP-Gülen vengono spesso stritolati i giornalisti. 

Del resto basta sapere che da quando l’AKP ha preso le redini del potere nel 2002 la Turchia è scivolata dal 99esimo al 154esimo posto per quanto riguarda il rispetto della libertà di stampa. Negli anni, il governo dell’Akp ha continuato indisturbato a zittire e imprigionare giornalisti, intellettuali, deputati dell’opposizione, avvocati, professori universitari, studenti, attivisti. E in genere chiunque, attraverso la propria attività, muovesse una minima critica all’operato del governo. 

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