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22.06.2015

 

Aumenta l'ineguaglianza bellica: Paesi in stato di guerra sempre più violenti

di Emanuele Vena

 

Un panorama di ineguaglianze crescenti, non solo a livello economico. Ad evidenziarlo è uno studio dell'Istituto per la Pace e l'Economia (abbreviato in inglese con la sigla IEP) – istituto di ricerca con sede in Australia – che evidenzia il circolo vizioso che si viene a creare in contesti particolarmente tesi, in cui la violenza contribuisce a generare ulteriore violenza.

 

Il rapporto dell’IEP si fonda sul cosiddetto Global Peace Index, un indice basato su 23 indicatori qualitativi e quantitativi e volto a misurare il livello di violenza e paura presente all’interno di 162 Paesi presi in esame. Secondo lo studio, l’impatto economico delle violenze a livello globale nel 2014 ha raggiunto una cifra pari ad oltre 14 trilioni di dollari, un valore corrispondente a circa il 13% del PIL globale.

Secondo il rapporto, la situazione rispetto all’anno precedente è complessivamente stabile, con il deterioramento della situazione in 78 Paesi, a fronte di un miglioramento in altri 81, a partire soprattutto dall’Europa, che ha raggiunto livelli storici di pacificazione. Viceversa, a peggiorare drasticamente è la situazione del Medio Oriente e del Nord Africa che, a causa della crescita dei conflitti civili e del fondamentalismo, rappresentano le zone con il più alto indice di violenza, scalzando dalla vetta l’Asia meridionale.  

Analizzando i risultati dello studio, i Paesi più “pacifici” sono Islanda, Danimarca ed Austria. Quelli con il miglioramento più deciso rispetto agli anni passati sono invece Guinea-Bissau, Costa d’Avorio e Benin – che però potrebbe diventare uno degli obiettivi dell’avanzata di Boko Haram, in caso di fallimento della strategia di contrasto approntata in Nigeria – nonché, a sorpresa, l’Egitto, considerato in fase di pacificazione nonostante i dubbi crescenti sull’operato del presidente Al Sisi.

Il Paese più violento resta invece la Siria, sconquassata da un conflitto civile che va avanti ormai da quattro anni. A seguire Iraq ed Afghanistan, ormai in eterna fibrillazione a più di dieci anni dagli interventi armati da parte dell’Occidente a guida statunitense, sicuramente compartecipe della critica situazione attuale. Sono invece Libia ed Ucraina i Paesi che hanno subito il più drastico deterioramento della situazione, in virtù ovviamente delle crisi che li hanno investiti durante il 2014.

Nonostante il trend dell’ultimo anno sia considerato stabile, il livello complessivo di pacificazione resta inferiore a quello del 2008, mostrando un andamento negativo di medio periodo. Inoltre, come sottolineato anche dagli autori dello studio, un basso livello di pacificazione produce maggiori oscillazioni nel clima di serenità del Paese, a causa dell’assenza di un solido substrato in grado di far fronte ai rigurgiti di violenza. E la sensazione è che la situazione sia destinata nuovamente a peggiorare, con il persistere di crisi sempre più gravi – dalla Siria all’Ucraina – ed alimentate principalmente dalla nuova massiccia avanzata del fondamentalismo di matrice islamica e da un rapporto tra Occidente e Russia arrivato ormai ai minimi termini.

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