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19/08/2015

 

La fine di un mondo, non del mondo

di Gianni Petrosillo

 

Gli analisti specializzati in questioni militari e geopolitiche lanciano l’allarme sulle crescenti tensioni tra Occidente e Russia che potrebbero presto sfociare in guerra aperta. Il cosiddetto orologio dell’apocalisse, il Doomsday Clock, che misura quanto manca potenzialmente alla fine del mondo, segna la mezzanotte meno tre minuti. A mezzanotte in punto l’umanità potrebbe essere incenerita dai suoi errori. Non sarebbe, comunque, una grande perdita per gli spazi sconfinati dell’Universo, la scorreggia con la quale usciremmo di scena non si udirebbe al di là del nostro sistema solare e forse nemmeno fuori dalla nostra atmosfera.

Solo nel 1984, in piena Guerra Fredda, le lancette del meccanismo si erano avvicinate così tanto all’ora fatale, ma si trattava (e si tratta) sempre di un minuto in più del 1952, quando, a causa dei test atomici delle maggiori superpotenze, si giunse ad un soffio (-2) dal disastro totale. Quindi calma e gesso, 60 secondi virtuali di vantaggio sui fatti di mezzo secolo fa sono già abbastanza rassicuranti.

Non fatevi impressionare dalle cassandre che profetizzano la catastrofe finale, per ora non scoppierà nessun conflitto globale, di questo possiamo star sicuri, anche se l’instabilità mondiale e i teatri di scontro tra big planetari si moltiplicheranno man mano che entreremo nel cosiddetto multipolarismo, cioè in una fase in cui i differenziali di potenza e i rapporti di forza tra nazioni aspiranti all’estensione delle rispettive sfere egemoniche si riequilibreranno, per poi sbilanciarsi nuovamente (policentrismo) trasfigurando la scacchiera planetaria sotto i nostri occhi. Insomma, sta per finire un mondo, non il mondo e questi mutamenti sono il risultato di inarrestabili dinamiche storiche suscitate dal conflitto strategico che sottende lo sviluppo delle società umane.

Così come si è conclusa la lunga stagione del bipolarismo Usa-Urss, con la vittoria dei primi, in prospettiva assisteremo alla metamorfosi degli attuali assetti geopolitici fondati sulla supremazia statunitense, con l’emergere di inediti poli di predominio, antagonisti dell’atlantismo, oggi, nonostante qualche difficoltà, primeggiante. Non sarà un passaggio indolore (basta guardare ai numerosi conflitti in atto: Medio-Oriente, Mediterraneo, confini orientali europei ecc. ecc.) ma per ora è ancora persistente quella fluidità delle posizioni e quella differenziazione degli interessi che impedisce il formarsi di alleanze stabilizzate, preludio ad uno scontro tra schieramenti omogenei per condurre un conflitto diretto. Che attualmente appare ancora un’ipotesi remota, al di là delle minacce e dei comportamenti aggressivi verso il momentaneo deuteragonista (la Russia), il quale, appunto, è un comprimario, nonostante si stia attrezzando per rubare il palcoscenico al vero protagonista (gli Usa). C’è da augurarsi che si riducano i tempi di questa compensazione, che il recupero del gap ancora esistente tra Washington, Mosca (e poi anche Pechino) acceleri, precludendo agli Stati Uniti le soluzioni arbitrarie, gli interventi manu militari ovunque essi ritengano sia in gioco la loro sicurezza e le ingerenze nella sovranità di nemici ed amici. Se questa eventualità dovesse concretizzarsi assisteremmo ad una riduzione del caos, con la derubricazione di certe emergenze globali (terrorismo islamico, califfato, jihadismo ecc. ecc.) a diatribe meno che locali. Perché, bisogna denunciarlo, nella loro dimensione più realistica, tali fenomeni sono solo questioni periferiche, tribali, gonfiate dagli Usa per gettare nello scompiglio il mondo, con l’obiettivo di trascinare gli avversari nel pantano geopolitico artatamente creato e fidelizzare gli alleati, vendendo loro sicurezza contro le paure terroristiche da essi stessi innescate. Del resto, i centri d’intelligence statunitensi quando parlano fuori dai denti non nascondono questi obietti: “Il punto più critico per gli Stati Uniti è quello di creare un unico piano integrato che tenga conto delle sfide più urgenti. Tale piano deve iniziare definendo un teatro di operazioni sufficientemente coerenti geograficamente da consentire manovre politiche integrate e di pianificazione militare… [occorre] coinvolgere tutti gli avversari contemporaneamente, ma concettualmente, è essenziale pensare in termini di un centro di gravità coerente di operazioni”. (G. Friedman).

Come ha scritto anche il pensatore veneto G. la Grassa, animatore delle nostre analisi: “Oggi, dunque, non è soltanto il multipolarismo che avanza al posto del bipolarismo di un tempo. No, c’è di più e soprattutto di diverso. Gli Usa non sono in situazione di supremazia lentamente crescente nell’apparente “equilibrio tra due”, bensì vedono accentuarsi, sempre con lenta progressione e molte cautele, l’antagonismo russo. Si accresce pure un disordine via via più manifesto nell’insieme dell’area per loro cruciale (europea). Dove, non a caso, vi sono organismi politici che, sia pure ancora troppo timidamente, alzano i toni contro le prevaricazioni e la predominanza statunitensi. Per gli Usa è necessario indebolirli e creare in tutte le aree, dove può svilupparsi l’antagonismo russo o l’affermarsi di subpotenze, il massimo disordine possibile. Per intanto si promuove il caos – ma programmato, non poi tanto casuale! – e poi si dovrà intervenire più direttamente (ma sempre subdolamente e magari per “interposta forza”) in aree in grado di impegnare la Russia in contrasti difensivi. E’ indubbio che gli Usa sono attualmente all’offensiva. Tuttavia, è un’offensiva che richiede un certo affanno, un affrontare situazioni impreviste, un mettere nel conto insuccessi o lo sfuggire di mano di dati processi. Non più il lento ma sicuro sgretolarsi e poi affondare dell’Urss, bensì una crescita della forza di attuali o potenziali antagonisti e l’incertezza circa l’andamento dei processi in pieno svolgimento”.

Dunque, sono sviluppi che noi abbiamo capito da lunga pezza e che da lunga pezza cerchiamo di sceverare, praticamente inascoltati. Si dà spazio mediatico a chi urla che la civiltà è sull’orlo dell’abisso per venti di guerra imminenti, a chi conciona di dittatura finanziaria nazistoide. Tutte scemenze (s)qualificanti questi improvvisatori di ciarle fuorvianti che però vengono elevati, et pour cause, ad infallibili maître à penser. Oltre ai facili slogan, costoro non ne hanno azzeccata una, eppure sono seguitissimi da orde di sciocchi facilmente impressionabili. E’ tempo di usare la testa per comprendere appieno le metamorfosi epocali in corso, non di perderla dietro ai pifferai magici che vi affogano in un fiume di vane parole per rincoglionirvi. Pensare nella maniera corretta è già un buon (iniziale) modo di agire.

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