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7/07/2015

 

La grande alleanza tra Russia e Cina, mentre l’Europa sbanda in Grecia

di Stefano Grazioli

 

A Ufa, in Russia, inizia il meeting congiunto Brics-Scu, il summit dei Paesi che vogliono strappare l’egemonia a Usa e Unione Europea

 

Mentre l’Occidente è alle prese con il rebus greco e sulla testa dell’Europa è appesa la spada di Damocle di un effetto domino che potrebbe condurre, nel peggiore dei casi, a uno sfilacciamento economico e politico dell’Unione, il resto del mondo che conta si riunisce nientemeno che in Russia, alla corte di Vladimir Putin. I leader dei paesi Brics - Brasile, Russia, India Cina e Sudafrica - più quelli della Sco - Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che oltre a Mosca e Pechino raggruppa quattro delle cinque repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale - si ritrovano questa settimana a Ufa, in Baschiria, ancora nella parte europea della Federazione russa, ma poco distante dalla catena degli Urali che la separano da quella asiatica. Quasi una scelta simbolica che decreta come ormai il baricentro russo si sia spostato verso Est.

La crisi ucraina ha allontanato Russia e Occidente e ha avvicinato il Cremlino con l’Oriente. L’aquila russa a due teste decide per scelta e costrizione di rivolgere lo sguardo non verso l’Europa, bensì dalla parte opposta. Non è un caso che per la prima volta le due organizzazioni a trazione russo-cinese tengano i loro summit contemporaneamente nello stesso luogo. Un segnale che la cooperazione tra i due grandi vicini si fa strategicamente più intensa e vuole coinvolgere i paesi limitrofi e quelli emergenti.

Forse, tra i motivi di questa corrispondenza d’amorosi sensi, gioca anche la difficoltà che ognuno dei due Paesi sta incontrando a casa propria: se la Russia non gode proprio di buonissima salute e non crescerà nemmeno quest’anno, anche la Cina deve fare i conti con i guai finanziari e la borsa di Shanghai che nelle ultime due settimane ha perso quasi il 30%. Un crollo avvenuto comunque dopo un picco, con il 150% in più negli ultimi dodici mesi.

Da una parte, insomma, c’è l’asse tra l’Ue e gli Stati Uniti, che con Giappone e Canada al G7 dello scorso giugno in Germania hanno fatto fronte comune contro la Russia e la rifiutano ancora per ricomporre il G8, dall’altra il nuovo asse tra Mosca e Pechino contornato dalle potenze crescenti, dalle grandi democrazie con Brasile e India già integrate nei Brics, ai nuovi attori tra Asia e Medio oriente, che come paesi osservatori stanno a guardare cosa succede nella Sco: dal Pakistan all’Iran e alla Turchia.

Ciò che è certo è che mentre l’Occidente europeo e transatlantico sta affrontando crisi economiche e politiche che rischiano di condurre a un’implosione del sistema, la Russia e l’Asia stanno cercando una maggiore integrazione e per avere maggiore peso specifico sulla scacchiera sia euroasiatica che mondiale. Mosca e Pechino non si amano certo alla follia, ma l’obiettivo geostrategico comune è quello di limitare il ruolo degli Stati Uniti nel Nuovo mondo multipolare.

E così, se a Bruxelles le cosiddette istituzioni, tra cui il Fondo monetario internazionale che a Est è considerato uno strumento di Washington, si scervellano per trovare una via d’uscita al caos greco, a Ufa Vladimir Putin e Xi Jinping continuano ad accorciare le distanze per una partnership sempre più stretta. A livello geopolitico la linea di fondo è appunto quella di contrastare l’egemonia americana e gli interessi analoghi di Mosca e Pechino si estrinsecano con regolarità all’interno del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove vanno a braccetto su dossier fondamentali, dall’Iran alla Siria, passando per la Corea del Nord. 

Non solo: come Pechino riconosce in sostanza gli interessi russi in Europa orientale, a partire dall’Ucraina sulla quale le reazioni sono rimaste molto contenute, così Mosca non interferisce nella faccende cinesi sul proprio perimetro, sancendo così quella che il politologo russo Dmitro Trenin ha definito una «reciproca vantaggiosa neutralità». A livello commerciale ed economico Russia e Cina sono sempre più legate dai tubi del gas e del petrolio e la sete energetica cinese sarà in parte soddisfatta proprio dalle risorse russe, dirottate anche dal mercato europeo a quello asiatico. Mosca ha iniziato inoltre ad accettare lo yuan al posto del dollaro come valuta di pagamento per il petrolio, in un quadro che vede accomunati russi e cinesi nel tentativo di indebolire la dominanza della moneta americana.

Per rompere gli schemi occidentali è stato anche annunciato per quest’anno il lancio di un’agenzia di rating russo-cinese - la Universal Credit Rating Group (UCRG) - in alternativa alle tre targate Usa (Moody’s, Fitch e Standard&Poor’s). Se a questo si aggiunge la pressione fisica della Cina sulla Russia, cioè degli immigrati legali e illegali cinesi che hanno già semi colonizzato l’estremo oriente russo nell’ultimo decennio (un milione mezzo nel 2013-14) si capisce come l’abbraccio tra Mosca e Pechino sia davvero sempre più forte. Difficile in ogni caso prevedere come si svilupperanno davvero un domani i rapporti all’interno e tra le due organizzazioni convenute a Ufa: molto dipende non solo dal solco tracciato a Oriente oggi da Putin e Xi Jinping, ma anche dal se e dal quando in Occidente la crisi ucraina verrà assorbita per lasciare spazio a una normalizzazione e a un riavvicinamento tra Mosca e Bruxelles.

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