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feb 12th, 2015

Ritiro delle armi pesanti, amnistia e autonomie regionali: i 13 punti dell’accordo di Minsk
di Enrico Oliari

Il vertice di Minsk, che ha messo attorno ad un tavolo il “Quartetto di Normandia”, l’Osce e i rappresentanti dei separatisti filorussi, ha prodotto un accordo che dovrebbe portare ad un cessate-il-fuoco, ma anche rappresentare una road map per risolvere definitivamente la questione ucraina. I lavori sono destinati a riprendere nei prossimi giorni, ma è certo che le 15 ore di trattative snervati a cui hanno preso parte i leader del “Quartetto”, cioè di Francois Hollande, Vladimir Putin, Petro Poroshenko e Angela Merkel, sono il tentativo strutturato di dare la svolta decisiva ad una crisi che ha già visto oltre 5mila morti nel cuore dell’Europa.

I 13 punti dell’accordo prevedono
1. Il cessate il fuoco immediato e totale nelle regioni di Donetsk e Lugansk dal 15 febbraio;
2. Il ritiro di tutte le armi pesanti in modo da creare una zona cuscinetto di almeno 50 chilometri per l’artiglieria con un calibro di 100 millimetri o oltre, 70 chilometri per i lanciarazzi multipli, 140 chilometri per sistemi di lancio multipli Tornado e altri. Per le truppe ucraine la zona comincia dalla linea del fronte, mentre secondo i ribelli inizia dalla linea del fronte al 19 settembre scorso, data dell’ultima intesa a Minsk. Tuttavia i separatisti si sono spinti in territorio gvernativo nel frattempo. Il ritiro delle armi pesanti deve cominciare entro 48 oltre dall’avvio della tregua, perciò entro il 17 febbraio, e non durare più di 14 giorni.
3. Il controllo da parte dell’Osce della tregua e il ritiro delle armi pesanti dal primo giorno: l’Osce potrà usare droni e satelliti.
4. Dal 16 febbraio dovrà avere inizio un dialogo sull’organizzazione di elezioni locali a Lugansk e Donetsk oltre che sul futuro “regime” nelle aree separatiste, sulla base della legge ucraina che concede loro temporanea autonomia. Entro 30 giorni il Parlamento ucraino dovrà varare un decreto che definisca i confini geografici della zona autonoma, sula base dell’intesa di settembre. Le regioni separatiste hanno il diritto di decidere il linguaggio da usare.
5. L’amnistia per coloro che hanno partecipato al conflitto a Donetsk a Lugansk, che avranno garantità l’immunità penale.
6. Il rilascio e scambio di tutti gli ostaggi e i prigionieri detenuti illecitamente, sulla base “tutti in cambio di tutti”, a partire da cinque giorni dopo il ritiro delle armi pesanti.
7. La garanzia di accesso e distribuzione degli aiuti umanitari.
8. L’obbligo per le parti di restaurare i legami sociali ed economici, compresi il pagamento di pensioni e tasse. L’Ucraina ristabilirà un sistema bancario nelle aree del conflitto, con la possibilità di un meccanismo internazionale per facilitare i trasferimenti di denaro.
9. L’Ucraina controllerà i confini territoriali in tuta l’area del conflitto. Il processo dovrebbe iniziare il giorno dopo le elezioni locali e va completato entro fine 2015, a condizione che siano state attuate le riforme costituzionali previste al punto 11.
10. Il ritiro di tutti i gruppi armati stranieri, equipaggiamenti militari e mercenari dall’Ucraina, sotto la vigilanza dell’Osce. I gruppi illegali andranno disarmati.
11. L’introduzione di una nuova Costituzione ucraina, concordata con i rappresentanti di Donetsk e Lugansk, dovrà entrare in vigore entro fine 2015 con una previsione di decentramento. Legislazione sulla status speciale delle regioni ribelli entro fine 2015.
12. Elezioni locali nelle regioni separatiste, monitorate dall’Osce.
13. L’intensificazione dell’attività del gruppo di contatto trilaterale (Russia, Ucraina e separatisti) con la creazione di gruppi di lavoro per attuare il piano di pace.

In rappresentanza delle parti hanno sottoscritto l’accordo i leader separatisti di Donetsk e Lugansk, l’ex presidente ucraino Leonid Kuchma, l’ambasciatore russo a Kiev Mikhail Zurabov e l’inviato dell’Osce Heidi Tagliavini.
Come si diceva, i colloqui proseguiranno nei prossimi giorni, probabilmente già lunedì, in quanto restano scoperti i punti a lungo termine, come la questione della penisola della Crimea, annessa da Mosca nel marzo scorso e con tutta probabilità considerata ormai come “ceduta” definitivamente quale risarcimento per la mancata adesione del paese all’Unione doganale euroasiatica ideata da Putin, e che oggi annovera fra i suoi membri, oltre alla Russia, il Kazakistan, la Bielorussia e l’Armenia. Va ricordato che a Sebastopoli, in Crimea, la Russia possiede la base della Flotta del Mar Nero, fino a prima dell’annessione in affitto.
Nei piani di Putin l’Ucraina rivestiva un ruolo centrale, non solo perché garantiva una certa distanza della Nato dai confini russi, quanto più perché, come aveva spiegato lo stesso capo del Cremlino a Trieste il 26 novembre 2013, “Un paese che ha aderito all’Unione doganale, che prevede lo scambio di merci senza dazi, può recedere dagli accordi quando vuole. Un articolo dell’accordo prevede però che se uno dei paesi aderenti intavola rapporti con paesi terzi, può esportare le merci nei paesi dell’Unione doganale con un ribasso sui dazi attualmente dell’85 per cento, ma che arriverà al 95. Potrebbero quindi transitare dall’Ucraina merci verso l’Unione doganale a prezzi ridotti, cosa che metterebbe in crisi la nostra economia. Per coinvolgere l’Unione europea in questo progetto serve gradualità, ovvero tempo e denaro”.
Altro punto fondamentale è il voto del parlamento ucraino dello scorso 23 dicembre di togliere il paese dall’elenco dei paesi non allineati, cosa che potrebbe permettere l’adesione di Kiev alla Nato, ma qui sia Francois Hollande che Angela Merkel hanno già espresso contrarietà, lasciando a bocca asciutta i papaveri del Pentagono.
La questione delle autonomie presenta il problema di chi dovrà sostenerne i costi e già Putin si è detto dell’idea che toccherà al governo ucraino, già nel dissesto economico, aprire la borsa.
L’accordo allontana, almeno per il momento, l’ipotizzata fornitura di armi e di addestratori da parte degli Usa all’Ucraina, ma qui aveva già fatto molto il 9 febbraio la cancelliera tedesca recandosi a Washington, dove ha potuto dire ad Obama che “Continueremo a portare avanti la soluzione diplomatica, non vedo una soluzione militare a questo conflitto”.
All’uscita del lungo incontro Putin ha parlato di un’intesa “sull’essenziale”, per cui “Chiediamo alle parti in conflitto di fermare il bagno di sangue e lanciare un vero processo di pace il prima possibile”.

 

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