http://www.eastonline.eu/

Martedì, 10 Novembre 2015

 

La morte di Mikhail Lesin è un mistero a prescindere

di Danilo Elia

 

Quando muore un’eminenza grigia russa – suicida, per cause naturali o per un po’ di polonio nel tè – è lecita ogni congettura. E il miliardario re della propaganda di Putin non fa eccezione. Chi era Lesin e perché la sua morte non finisce in una stanza d’albergo a Washington.

Non si poteva evitare. Appena la notizia del ritrovamento di Mikhail Lesin senza vita si è diffusa, tutti hanno pensato alla lunga mano dei servizi segreti russi. Le congetture sul chi era e sul chi lo ha ammazzato sono fiorite sui siti e blog sensazionalistici, mentre i giornali più autorevoli si sono limitati perlopiù a lasciare aperto un interrogativo. Gli unici ad avere certezze sono stati, come sempre, i mezzi d’informazione russi sotto diretto controllo del governo. RT ha titolato “Lesin muore d’infarto a 57 anni”, e così hanno fatto tutti gli altri. Come abbiano fatto a conoscere le cause della morte prima ancora dell’autopsia, non è dato sapere.

Lesin non era una figura di secondo piano. È stato ministro della Stampa prima con Eltsin e poi con Putin e, fino a pochi mesi fa, capo di Gazprom-Media, la holding di stato che controlla di fatto tutta l’informazione russa.

Dicono che ci sia stato lui dietro la resistibile ascesa di Vladimiro alla presidenza della Federazione, dopo Eltsin. Non si sa se è vero, certo Lesin ha svolto un ruolo molto importante nella creazione della macchina da guerra della propaganda russa. Il gigante orwelliano che oggi fa credere alla maggioranza dei russi che a Kiev ci siano i nazisti e che l’A321 Metrojet potrebbe essere stato abbattuto dagli americani è in gran parte opera sua.

C’era lui dietro la nascita di RT, la corazzata della disinformatsija russa in lingua inglese. E c’era sempre lui dietro la stretta di vite su alcuni media non allineati al Cremlino, come il canale tv Ntv e la storica radio Echo Moskvy, facendone incarcerare il proprietario quando era ministro. A dicembre del 2014 si era però improvvisamente dimesso dal vertice di Gazprom-Media. Ragioni di famiglia quelle ufficiali, secondo Forbes Russia sarebbe stato invece dimissionato direttamente da Putin.

A Hollywood

Nonostante avesse fama in Usa di antiliberale, aveva scampato la lista Magnitsky di persone non grate, né era stato sfiorato dalle sanzioni individuali per la guerra in Ucraina, che pure avevano colpito molte persone intorno a lui.

Anzi, si era recentemente trasferito con tutta la sua famiglia in California, dove amava fare shopping di residenze da 28 milioni di dollari. La passione per i media non gli era passata. Dalla sua casa di Beverly Hills, attraverso la casa di produzioni Qed International, finanziava film di Hollywood come Fury, con Brad Pitt, Sabotage, con Arnold Schwarzenegger e Dirty Grandpa, con Robert De Niro.

La sua attività aveva attirato l’attenzione del senatore del Mississipi, Robert Winker, che lo scorso anno aveva scritto al dipartimento della Giustizia per chiedere di indagarlo per corruzione internazionale e riciclaggio di danaro sporco.

Insomma, Lesin era un uomo potente, con amici potenti e qualche nemico. Onestamente un po’ poco, però, per avere il ragionevole dubbio che si sia trattato di assassinio.

Le morti autorevoli fuori dalle mura del Cremlino ci hanno abituato a un linguaggio mafioso e intimidatorio. Lezioni, messaggi e avvertimenti. Un metodo che, se nasconde sempre nell’ombra esecutori e mandanti, non lascia dubbi sulla volontà omicida. È stato così da Anna Politkovskaja e Boris Nemtsov, da Aleksandr Litvinenko a Natalia Estemirova. La lista è lunga.

Non ci sono (ancora) ragioni valide per ritenere che qualcuno potesse volere la morte di Lesin. La scena nella stanza d’albergo è effettivamente quella di una morte naturale. Non si sa cosa fosse andato a fare a Washington, se era lì per incontrare qualcuno. Né se le indagini sul suo conto erano approdate a qualcosa. D’altro canto è singolare la sbrigativa archiviazione del caso come infarto da parte della stampa russa.

In ogni caso, un mistero a prescindere.