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Venerdì, 24 Aprile 2015

 

Le eredità della guerra civile americana: Abraham Lincoln

di Matteo Muzio

 

Forse nessun presidente ha dovuto affrontare quello che ha affrontato Abraham Lincoln. La secessione di undici stati, una guerra su gran parte del territorio nazionale e una questione vecchia come quella della schiavitù con tutto il suo potenziale esplosivo. Problematiche affrontate con un'esperienza quasi nulla (due anni da deputato, tra il 1847 e il 1849), ma risolte con un successo completo, esprimendo leadership e imponendosi sul Congresso usando tattiche spregiudicate come l'assegnazione di cariche pubbliche per ottenere ciò che voleva.

Eppure la sua figura è ancora ingombrante? Chi, tra democratici e repubblicani, meglio ne ha raccolto l'eredità?

 

Lincoln il primo presidente repubblicano. Piace ancora ai suoi eredi?

"Free soil, free labor, free men". Questa, in sintesi, l'ideologia dei repubblicani alla loro fondazione nel 1854. Libero mercato (aiutato però da forti dazi protezionistici) contrapposto alla schiavitù, libertà individuale e libera espansione a Ovest. Un'ala però, quella dei Repubblicani Radicali, proponeva un egualitarismo radicale con i neri e alcune forme di redistribuzione.

Dopo la fine della presidenza di Grant tuttavia, questi si eclissano, lasciando i moderati, eredi della fazione di Lincoln, a guidare il partito.

Dal 1872 al 1932 i repubblicani sono il partito dominante americano e rappresentano in primis gli interessi del big business: già un primo distacco dall'ideologia lincolniana di sostegno allo "small business". Nel corso del Novecento, con l'arrivo dei Progressisti, capeggiati dal presidente Teddy Roosevelt, alcune istanze egualitarie restano, come la maggiore efficienza nella spesa pubblica, la lotta ai grandi monopolisti privati e alla corruzione. Si aggiunge però a questo una nuova ideologia espansiva all'estero, con la nascita dell'imperialismo in America Latina. Ma è con gli anni '20 che il partito repubblicano comincia la sua trasformazione definitiva in partito più marcatamente conservatore, fino alla definitiva acquisizione dei voti dei democratici sudisti, all'interno della cosiddetta "Southern Strategy" di Richard Nixon. E fu questa la vera cesura, la vera mutazione del partito repubblicano.

Con la conquista finale del diritto di voto per i neri, i repubblicani cominciarono ad occultare il loro principale Padre Fondatore, colui il quale si trovò a fare i conti con un nemico terribile che, a differenza della Gran Bretagna di Re Giorgio III, della Germania nazista e dell'Unione Sovietica, non era lontano, ma era dentro di sé, a pochi passi dalla capitale federale. Ora però gli orgogliosi eredi di quel nemico diventavano parte integrante della coalizione reaganiana, attraverso le elezioni del 1980 e il loro definitivo riallineamento nelle fila della "Moral Majority" del reverendo Jerry Falwell. Ma qualcuno avrebbe raccolto l'eredità. E sarebbe stato, ironia della Storia, un altro presidente dell'Illinois.

Obama e il fascino di Lincoln

Sin da quando apparve sulla scena mondiale alla convention democratica del 2004, Barack Obama mostrò le sue eccezionali doti oratorie. La sua retorica, simile a quella di un predicatore evangelico, ricorda da vicino quella di Lincoln, per l'uso di immagini evocative e messianiche. Paradossalmente, anche il principale rivale di Lincoln, il senatore Stephen Douglas, democratico dell'Illinois come Obama, era un grande oratore, e in una serie di dibattiti con Lincoln nel 1858, si batté con passione a difesa della "peculiare istituzione" del Sud.

Obama comunque non ha preso a modello Lincoln solo per la retorica. Con la nomina dei membri della sua prima amministrazione, ha preso a modello quella che la storica Doris Kearns Goodwin ha definito "team di rivali", ovvero prendere nella propria squadra persone con cui in passato si è stati in pessimi rapporti, come la scelta di Hillary Clinton come segretario di Stato e di Tom Vilsack, già campaign manager della Clinton, come segretario all'agricoltura, attualmente unico membro rimasto di quelli scelti nel 2009. Questo, semplicemente, per far fruttare talenti che non si hanno a disposizione e, attraverso il conflitto anche aspro, trovare di volta in volta la giusta soluzione.

Anche Lincoln ebbe il coraggio di andare contro il Congresso, quando bocciò il piano di Ricostruzione del Sud sponsorizzato dai Radicali. Anche Obama, con il decreto esecutivo con cui concede l'asilo temporaneo a milioni di immigrati illegali, ha fatto un'azione costituzionalmente discutibile.

Secondo il professor Kevin Gutzman, costituzionalista della Western Connecticut University, questo aprirebbe la via a un pericoloso precedente: "Cosa accadrebbe se un presidente repubblicano decidesse, usando lo stesso principio, di privatizzare la Social Security, perché il Congresso ha fallito nel farlo?".

Anche Obama, infatti, come Lincoln è un presidente divisivo. Ma ciò non basta a far di lui l'erede di Lincoln, anche perché è ancora presto per dare un giudizio storico sull'attuale presidente. Recentemente Rand Paul, unico tra i repubblicani, ha ricordato la marcia di Selma e tenuto presente che fu proprio il suo partito a iniziare la lotta per i diritti civili e che di questo devono andarne orgogliosi. Ma nel suo stato, il Kentucky, saranno d'accordo?

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