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5 maggio 2015

 

Che cos’è “La tortura del furgone”? L’ultima corsa di Freddie Gray

di Arianna Bertera

 

In America la chiamano “rough ride”, “screen test” oppure “cowboy ride”. Si tratta di una pratica molto semplice che viene messa in atto da alcune polizie locali con i sospetti particolarmente invisi agli agenti.

Ma come funziona questa “tortura del furgone”?

Di solito l’arrestato viene ammanettato, talvolta gli vengono immobilizzate anche le gambe, e infine viene sbattuto sul retro di un blindato della polizia senza essere assicurato ai sedili da nessuna cintura. A questo punto comincia una sorta di gimcana, una guida spericolata con frenate improvvise, curve prese ad alta velocità e una ricerca deliberata di buche nell’asfalto che facciano sobbalzare il retro del mezzo.

Il passeggero comincia ovviamente a sbattere tra una parete e l’altra del furgone, magari arrivando persino a colpire il vetro protettivo posto tra lui e gli agenti e nel frattempo subisce contusioni, ferite e lesioni gravi che in alcuni casi si sono rivelate persino mortali. Il “vantaggio” di questo metodo molto popolare tra gli anni ’80 e ’90 (ovvero quando ancora le telecamere erano raramente utilizzate per controllare la condotta della polizia) risiede nel fatto che gli agenti non sono costretti a sporcarsi direttamente le mani. Colui che si trova in stato di fermo paradossalmente viene maltrattato non tanto dal guidatore, ma dal tipo di guida in sé, e questo garantisce ai veri colpevoli il vantaggio di non poter essere accusati di alcun reato. Tecnica collaudata ma non infallibile.

Nonostante molti loro colleghi negli anni se la siano cavata con qualche richiamo ufficiale, non è andata altrettanto bene ai sei agenti della polizia di Baltimora che il 12 aprile arrestarono Freddie Gray senza apparente motivo. La procuratrice dello stato del Maryland, Marylin Mosby, appena 24 ore dopo la consegna del rapporto della polizia e dell’esito dell’autopsia compiuta sul giovane afroamericano, ha infatti deciso di incriminare i 6 poliziotti con l’accusa di omicidio. La causa della morte del venticinquenne, sopraggiunta dopo una settimana di coma, sarebbe proprio una lesione alla spina dorsale riportata durante il breve viaggio dal luogo dell’arresto alla stazione di polizia. Oltre a questo, sempre secondo l’autopsia, Freddie Gray presentava anche tre vertebre fratturate e un trauma da schiacciamento della laringe. Tutte lesioni che a detta delle forze dell’ordine non sono state inflitte dai sei agenti presenti al momento dell’arresto. Eppure nessuno di loro sembra ricordarsi cosa sia accaduto nel retro del furgone durante l’ultima corsa di Freddie Gray.

Quel 12 aprile, alle 8:39, Gray si trovava all’angolo di North Mount Street in compagnia di un amico, quando alcuni agenti addetti al pattugliamento della zona arrivarono da North West Avenue. Dopo uno scambio di sguardi con la polizia, senza una ragione palese Gray comincia a scappare. Il giovane aveva infatti dei brutti trascorsi con le forze dell’ordine e forse la paura di essere nuovamente perquisito o portato in centrale lo spinge a tentare la fuga. I poliziotti allora, trovandosi in un’area di Baltimora famosa soprattutto per lo spaccio di stupefacenti , cominciano ad inseguire il ragazzo pensando che abbia qualcosa da nascondere. Dopo qualche minuto, alle 8.42, gli agenti riescono a fermarlo presso Presbury Street (una traversa di North West Avenue) e dopo la perquisizione di routine gli trovano addosso un coltello a serramanico, oggetto che diventa il pretesto per il fermo.

Attirati dalle proteste del giovane, alcuni abitanti del quartiere cominciano a scendere in strada per vedere cosa succede. Molti dicono di aver visto gli agenti maltrattare Gray, immobilizzato a terra con un ginocchio premuto sul collo e con le gambe tenute ferme in una posizione innaturale. Secondo altri il ragazzo si sarebbe persino visto negato un inalatore per l’asma, nonostante le ripetute richieste.

A quel punto viene caricato sul furgone della polizia, senza essere legato da nessuna cintura, nonostante la procedura prevista dal regolamento vieti questo tipo di negligenza.

Alle 8.46 la vettura si ferma a Mount and Baker Street perché dal retro cominciano a sentirsi troppe proteste. Gray viene tirato fuori di peso e a quel punto gli vengono legate anche le caviglie, per “precauzione”. Secondo alcuni testimoni, gli agenti lo avrebbero però prima percosso con i loro manganelli per poi ricaricarlo sul furgone in stato di semi-incoscienza. Sul rapporto della polizia si legge in realtà che alle 8:59 l’arrestato era ancora vivo.

Anche se non è dato sapere il tipo di conversazione avvenuta tra i due, uno dei poliziotti avrebbe infatti comunicato con lui assicurandosi che fosse ancora cosciente. Già sulla via della centrale di polizia, il furgone viene poi richiamato a West North Avenue per caricare un altro sospetto. Viene effettuato quindi un terzo stop, ma, nonostante questo, ancora nessuna cintura viene allacciata.

Alle 9:20 il mezzo arriva finalmente alla Western District Station di Baltimora. Quattro minuti più tardi viene effettuata una chiamata al medico della stazione di polizia perché a quanto pare uno dei due uomini arrivati si trova in condizioni gravi. Passeranno altri 21 minuti prima che il venticinquenne venga portato al Maryland Shock Trauma Center, già in stato di coma.

Freddie Gray, per gli amici Pepper, era un giovane afroamericano nato e cresciuto a West Baltimore, un quartiere caratterizzato da un alto tasso di povertà e criminalità, dove un ragazzo, secondo le statistiche, ha più probabilità di essere arrestato piuttosto che di finire il liceo. Qui infatti solo il 25% degli adulti possiede il diploma; la maggior parte dei disoccupati della zona finisce quindi invischiata nel business della droga, l’unica possibilità di guadagno facile contemplata dalla comunità.

E infatti Gray, nonostante la giovane età, aveva circa una ventina di processi alle spalle e una fedina penale macchiata da due anni di prigione e 18 arresti, con accuse pendenti per spaccio e crimini minori.

 

Secondo una relazione risalente al 2012 e compilata dal movimento popolare Malcolm X, un afroamericano viene ucciso dalle forze dell’ordine ogni 40 ore. Oltre il 90% delle persone che vengono fermate dalla polizia non stanno in realtà commettendo alcun reato. Tuttavia, circa il 50% degli individui arrestati sono fisicamente molestati dagli agenti di polizia, e più del 50% del totale sono neri, anche perché di solito nei quartieri popolari di Baltimora più del 90% della popolazione è afroamericana.

In generale la città del Maryland non ha i numeri dalla sua parte.

Dal 2012 sono 109 le morti avvenute negli Usa in seguito ad incontri poco amichevoli con le forze dell’ordine, e circa un terzo di queste si sono consumate a Baltimora. La città inoltre è quinta a livello nazionale per quanto riguardo il tasso di omicidi annuale e conta una popolazione per il 63% afroamericana.

Le relazioni tra la comunità nera e la polizia (spesso accusata di ricorrere a metodi poco ortodossi) sono da sempre piuttosto tese. Gli stessi agenti coinvolti nel caso Freddie Gray, cinque uomini e una donna, sono stati accusati di aggressione, mancata assistenza e omicidio colposo, ad esclusione dell’agente più anziano, Caesar Goodson, 45 anni di cui 23 passati in polizia, che è stato incriminato direttamente per omicidio di secondo grado, in quanto si trovava alla guida del furgone. Ma la disparità di trattamento tra le due fazioni si riscontra anche in un dettaglio fondamentale come quello della cauzione. Per quattro dei poliziotti quest’ultima era stata fissata alla cifra di 350.000 $, mentre per i due più giovani ad “appena” 250.000. Allen Bullock invece, un ragazzo di 18 anni che aveva partecipato alle proteste per la morte di Gray e che alla fine si era consegnato spontaneamente alla polizia, ha visto la sua libertà temporanea prezzata 500.000 $.

Se da una parte la famiglia Bullock non può permettersi di pagare la somma di denaro che equivale alla libertà del loro figlio minore, dall’altra ci pensa il sindacato della polizia a mettere sul piatto la cifra necessaria per garantire ai sei agenti il ritorno alle loro case. Ad ogni modo non è la prima volta che Baltimora sente parlare di “rough rides”.

Dondi Johnson nel 2005 perse l’uso delle gambe dopo una di queste corse e morì in seguito a causa di altre lesioni riconducibili al viaggio nel blindato; nel 2004 Jeffrey Alston rimase addirittura del tutto paralizzato dal collo in giù. Il caso più recente risale al 2012: si tratta di Christine Abbott, una bibliotecaria ventisettenne, arrestata per via di una festa troppo rumorosa. La donna ha poi raccontato di come gli agenti frenassero apposta bruscamente per farla sbattere contro le pareti del blindato, e ha dichiarato: “Era come trovarsi sulle montagne russe, ad eccezione del fatto che le montagne russe sono più sicure perché almeno lì ti legano al sedile”.

Però Baltimora questa volta ha reagito, come dimostrano le numerose proteste che a partire dal 25 aprile hanno interessato la città e che si sono concluse con un bilancio di 201 arrestati e 98 poliziotti feriti. Ed è proprio questa ondata di dissenso che si è poi propagata anche a città come New York, Denver, Washington e Seattle, ciò che forse ha spinto il procuratore di stato ad agire così tempestivamente.

Anche se non ci sono prove certe o filmati abbastanza autorevoli che chiariscano alla perfezione le dinamiche di quel 12 aprile, Baltimora questa volta non ha dubbi: se chi di dovere gli avesse messo una cintura, Freddie Gray sarebbe sceso da quel furgone sulle sue gambe.

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