Fonte: Journal-neo.org

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28 Maggio 2015

 

L’Iraq seguirà la Siria?

di Viktor Titov

commentatore politico sulle questioni mediorientali, in esclusiva per il giornale online New Eastern Outlook

Traduzione di Anacronista

 

L’incontro del 21 maggio a Mosca con la delegazione irachena guidata dal primo ministro Haider al-Abadi è stato dedicato alla cooperazione tecnico-militare, il petrolio, la cooperazione bilaterale e la Siria. Il primo e il quarto punto sono molto importanti per Baghdad, che da quasi un anno combatte senza successo una lotta crudele contro l’ISIS. Essa ha bisogno di armi e coordinazione congiunta con la Siria.

 

E’ significativo che la visita del governo iracheno in Russia abbia avuto luogo in un momento in cui i terroristi dell’ISIS hanno preso la città di Ramadi, situata a 110 km da Baghdad. Il successo dell’ISIS a Ramadi è stato conseguenza diretta dell’importante sconfitta delle truppe governative avvenuta nei pressi della città di Fallujah.

 

Le forze irachene pianificavano di prendere la città tramite due attacchi laterali, ma sono cadute in un’imboscata ben progettata. In seguito alle perdite (200 militari uccisi e 59 catturati) le forze irachene sono state costrette a ritirarsi. Ciò ha fornito all’ISIS una notevole superiorità numerica e gli ha permesso di trasferire una parte delle forze a Ramadi. Questo dimostra non solo la capacità combattiva di questa organizzazione terrorista, ma anche l’incompetenza militare delle autorità irachene.

Non è una coincidenza che due mesi fa gli USA abbiano deciso di ridurre le forniture militari all’esercito iracheno, costituito principalmente da sciiti, visto che esso perde e cede depositi di armamenti ai jihadisti quasi senza combattere. Al contempo a Washington si è notato che Haider al-Abadi, come il suo predecessore Nouri al-Maliki, non intende entrare in una coalizione con le forze sunnite, pronte a cooperare con gli sciiti e di ideologia moderata.

Di conseguenza gli USA hanno di fatto scelto una politica che privilegia lo sviluppo di rapporti con i sunniti (scavalcando il governo di Baghdad) . Così facendo gli americani hanno reso evidente che sono disposti ad accettare in linea di principio la creazione di un’enclave sunnita all’interno dello stato iracheno, o perfino lo smembramento del paese in 3 quasi-stati: uno sciita, uno curdo e uno sunnita. Soprattutto visto che le regioni separatiste sunnite dell’Iraq sono anche supportate dall’Arabia Saudita, mentre l’Iran è di massima pronto per la divisione delle province sciite in un’entità statale separata, supportata da Teheran e verso questa orientata.

Il quadro seguente, ovviamente “disegnato” dagli americani con l’aiuto dell’Arabia Saudita e di altri paesi del Golfo, e forse della Turchia, prevede prima di rovesciare con la forza il regime di Bashar al-Assad in Siria entro maggio di quest’anno, usando una nuova opposizione armata e se necessario con l’intervento militare esterno; poi di dividere l’Iraq in 3 enclavi etnico-religiose, soprattutto per contrastare l’influenza iraniana nella regione; quindi di procedere con il cambio di regime in Iran attraverso una “rivoluzione colorata” o fomentandovi i conflitti inter-etnici; e infine di diffondere l’influenza americana nel Caucaso e in Asia centrale. E’ chiaro che l’obiettivo ultimo degli Stati Uniti è di circondare la Russia con stati ad essa ostili.

Sorge la domanda: come ha potuto un esercito così grande come quello dell’Iraq patire una sconfitta così grave da parte di un gruppo terroristico? Le ragioni principali sono due. In primo luogo l’ISIS non è un gruppo terroristico qualunque, ma una forza militare organizzata e disciplinata. Nei suoi ranghi vi sono ex ufficiali dell’esercito di Saddam. Hanno armi moderne che vanno dai carriarmati ai missili. Sono scrupolosamente devoti alla loro causa: la vendetta sugli USA e sugli stati sciiti, perché nel 2003 questi intervennero militarmente. In secondo luogo il governo e l’esercito iracheni in questo momento sono deboli. Dopo il governo al-Maliki, il primo ministro al-Abadi ha in effetti ereditato uno stato dilapidato.

Il paese è precipitato in un conflitto tra sunniti e sciiti  (sobillato dall’esterno).  

L’esercito non vuole combattere. A Ramadi, e anche a Mosul, i soldati hanno deciso di fuggire anziché battersi.

Il fatto che il governo iracheno abbia perduto Ramadi, al centro della provincia di Anbar, dove la maggioranza della popolazione è sunnita, costituisce una perdita pesante per il governo stesso e per gli Stati Uniti che ufficialmente  lo supportano.

Ora l’ISIS minaccia Baghdad, situata 110 km da Ramadi. Inoltre, come sapete, nelle scorse settimane il governo al-Abadi si era preparato per liberare Mosul, ma ora il piano è fallito. Al momento tutto le forze vengono utilizzate per riprendere Ramadi. Il governo ha subito inviato nella regione milizie sciite. Tutte le speranze sono riposte in questi combattenti sciiti ben armati. Ma per i sunniti della regione, soprattutto per le tribù sunnite, i combattenti sciiti non sono salvatori, ma nemici. L’abisso tra sunniti e sciiti è così profondo che i primi non sono disposti ad aiutare i secondi nella lotta contro l’ISIS. Le tribù sunnite vogliono invece combattere l’ISIS esse stesse e pretendono che il governo di Baghdad le rifornisca di armi.

Se anche le milizie sciite riusciranno a tornare a Ramadi, sarà stata vinta solo una battaglia nella lunga guerra irachena. Per sbarazzarsi dell’ISIS, l’attrito tra sunniti e sciiti deve cessare e il governo di Baghdad deve adottare una politica che prenda in considerazione gli interessi di tutti i gruppi iracheni.

Altrimenti l’ISIS continuerà la sua espansione.

Nel frattempo gli estremisti dell’ISIS hanno preso un’altra città a nord-ovest di Ramadi, Juba, praticamente senza combattere. E Juba è di estrema importanza: questo insediamento ospita qualche centinaio di istruttori americani che addestrano le forze irachene e che all’apparire dei jihadisti si erano ritirati senza entrare in conflitto diretto. Fatto di per sè significativo di come il Pentagono stia cercando di evitare il coinvolgimento diretto delle sue truppe in battaglia.

Intanto il 13 maggio di quest’anno il comando militare di Baghdad ha dichiarato l’avvenuta eliminazione, tramite attacco aereo, del vice capo dello Stato Islamico, Abdel di Rahman Moustapha al-Kaduli (egli è Abu Alla al-Afari) nel villaggio di Al-Liadkhiya vicino alla città di Tell-Afar. Gli americani hanno trovato difficoltà a confermare. In precedenza Baghdad aveva annunciato che Abu Bakr al-Baghdadi era gravemente ferito. Non ha senso entrare nei dettagli di cosa sia vero e cosa solo una mossa di propaganda. E’ più importante capire che questi accadimenti non avranno alcun impatto di rilievo sulla capacità di combattimento dell’ISIS. Prima di tutto perché l’ISIS è un’organizzazione strutturata con funzioni chiaramente assegnate. In tale contesto, l’eliminazione del capo o del suo vice non inficia l’efficacia delle attività del gruppo e delle operazioni militari. Come esempio gli esperti indicano agli eventi al tempo della grandiosa presenza militare americana in Iraq, e la lotta contro al-Qaeda nella stessa provincia di Anbar. Allora, dopo l’eliminazione dei capi di al-Qaeda e di numerosi signori della guerra, i caduti vennero presto rimpiazzati da altri di livello adeguato. Il punto di svolta arrivò solo dopo che la grande maggioranza delle tribù sunnite passò dalla parte americana.

La situazione è estremamente negativa e neanche quella nella vicina Siria è così semplice, come evidenziato dal successo degli islamisti nell’area di Palmyra e Idlib. E questo nonostante il fatto che i turchi e i curdi iracheni, che dovrebbero essi stessi combattere contro i jihadisti, sono spesso coinvolti nel traffico di armamenti verso l’ISIS e nell’acquisto del suo petrolio. Perciò l’ISIS mantiene un efficace sistema di finanziamento.

Un altro indicatore del “benessere” dello Stato Islamico proviene dai dati della CIA (che ha sempre mantenuto i collegamenti con alcuni quadri dello stesso ISIS) che mostrano come l’influsso di jihadisti stranieri nei ranghi dell’ISIS non sia diminuito. Si può quindi prevedere il fallimento degli sforzi  (!?)statunitensi di schiacciare l’ISIS. Tutti i loro piani in Iraq e Siria stanno rapidamente crollando.

 

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