Haaretz
1-01-2015

Gli avvenimenti delle ultime 48 ore sono la prova più evidente della difficile posizione di Israele nella comunità internazionale.
di Barak Ravid
Traduzione di Amedeo Rossi

Le grida di vittoria che si sono sentite nell'ufficio del Primo ministro e del ministro degli Esteri la scorsa notte, dopo che il consiglio di sicurezza dell'ONU ha respinto la risoluzione palestinese per porre fine all'occupazione, sono state premature. Solo qualche ora dopo, quando il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas ha firmato lo Statuto di Roma e ha chiesto di aderire alla Corte Penale Internazionale dell'Aia, si è capito che i problemi di Israele sono appena iniziati.

La frustrazione che ha fatto seguito alla sconfitta alle Nazioni Unite, insieme alle pressioni politiche interne,  hanno obbligato Abbas a fare il passo che aveva evitato di fare negli ultimi sei anni. In tutto questo tempo, gli Stati Uniti e Israele hanno chiarito ai palestinesi che la corte dell'Aia rappresenta la linea da non superare. Ma, nonostante gli avvertimenti di Washingrton e le minacce di Gerusalemme, Abbas ha utilizzato la sua "opzione nucleare", altrimenti nota come la Corte Penale Internazionale.

Molti funzionari dell'establishment politico-militare di Israele sono preoccupati per l'adesione palestinese alla CPI. Hanno rapidamente descritto un copione da film dell'orrore sulle guerre legali contro Israele che non si svolgeranno in corti prive di autorità, ma piuttosto nel sistema giudiziario più rispettato al mondo. Israele potrebbe vedere l'incriminazione di ufficiali dell'esercito, o mandati d'arresto per amministratori delegati di imprese che costruiscono nei territori occupati, o persino accuse mosse contro politici israeliani.

Scenari orripilanti a parte, la realtà è più complessa, non  bisogna farsi prendere dal panico. Come ogni altra "opzione nucleare", è complicata e ci vuole tempo per prepararsi. La macina della giustizia che è l'Aia sforna le sue sentenze molto lentamente ed istruire i capi di accusa richiede molto tempo. Inoltre il pubblico ministero della CPI capisce pienamente il significato degli sforzi palestinesi e non diventerà rapidamente uno strumento nella lotta politico-diplomatica tra le due parti.

Come ogni altra "opzione nucleare", ricorrervi è pericoloso per chi attacca come per chi viene attaccato. Aderendo alla CPI, i palestinesi esporranno anche se stessi a contro-denunce in merito al lancio di razzi da Gaza e attacchi suicidi sugli autobus di Tel Aviv. Come nella Guerra Fredda, il principio della MDA - mutua distruzione assicurata - potrebbe creare un equilibrio della deterrenza. Ognuna delle parti potrebbe bombardare l'altra con denunce fino a che ciascuno non potrà più respirare.

La cosa più importante è come reagirà Israele. Le prossime elezioni non promettono nulla di buono per l'abilità o il desiderio del primo ministro Benjamin Netanyahu, del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, del ministro della Difesa Moshe Yaalon o dell'Economia Naftali Bennett per affrontare la mossa palestinese a loro piacimento. In base alle prime reazioni da parte dei politici alla mossa di Abbas, i partecipanti al consiglio dei ministri che Netanyahu ha convocato oggi faranno ferocemente a gara su chi potrà proporre la punizione più dura.

Anche la richiesta palestinese di associazione all'ONU nel novembre 2012 è avvenuta durante un periodo elettorale. Netanyahu ha sviluppato la sua risposta con i leader della sua campagna elettorale, quasi senza consultare alcun tipo di esperto. Il risultato è stato un'ondata incredibilmente sproporzionata di costruzione di colonie, la dichiarazione di costruire nella sensibilissima area E1 [zona della Cisgiordania che si trova tra Gerusalemme est e la colonia di  Ma'ale Adumim. N.d.tr.] e uno scontro internazionale che è quasi finito con un ritiro degli ambasciatori inglese e francese.

E' in dubbio se Netanyahu abbia imparato la giusta lezione. In base alla sua posizione nei sondaggi, la prevista radicalizzazione della lista del Likud per la Knesset [il parlamento israeliano. N.d.tr.] e la sua brama di conquistarsi i voti della destra, Netanyahu rischia di rispondere in un modo che potrebbe mettere in secondo piano l'adesione dei palestinesi alla CPI e trasformare ancora una volta Israele nel centro di pressioni internazionali, rendendo la prospettiva di sanzioni da parte dell'UE ancora più probabile.

Anche se Abbas non iniziasse il processo di adesione alla CPI, la "vittoria diplomatica" sbandierata da Netanyahu e Lieberman sarebbe stata tattica e di corto respiro. Non risolve il problema, semplicemente lo rimanda. Netanyahu ha cercato di fare quello che gli riesce meglio - prendere tempo. Ma non molto di più. Tra qualche settimana o qualche mese il Consiglio di Sicurezza dell'ONU tornerà, e questa volta con membri più favorevoli ai palestinesi, e la questione verrà riproposta.

Gli eventi delle ultime 48 ore sono la migliore dimostrazione della difficoltà di Israele di fronte alla comunità internazionale. Sono la testimonianza di seri problemi dovuti a sei anni di inazione e di mancanza di un'iniziativa diplomatica creativa. Alla fine, verrà il giorno in cui manovre di intralcio e misure dilatorie semplicemente non saranno più sufficienti.

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